Contributi

Non sparate sullo UX designer

di Damiano Ceccarelli 12 Aprile 2017

Questo post è l’adattamento di una email che ho mandato a Francesco Varanini qualche settimana fa. Francesco mi chiedeva una riflessione, da designer, su questo bel post pubblicato sul suo blog: http://diecichilidiperle.blogspot.it/2016/11/sulle-insidie-delluser-experience-design.html


 

Caro Francesco,

mi sento di fare una prima critica che è innanzitutto formale al tuo post. Non è una critica nel merito, quindi ero in dubbio se parlartene. Ma te la riporto, perché essendo il post una bozza per il tuo libro, penso che anche questa possa essere un’indicazione utile. Ironicamente, prendila come un’indicazione proveniente da un test di usabilità a cui hai voluto sottoporre questo capitolo del tuo libro. Penso che il tono del post sia più vicino all’invettiva personale che all’argomentazione analitica. Anche in virtù delle conclusioni che trai, interessanti, il tono svilisce le argomentazioni. Eterno dilemma tra forma e sostanza? Probabilmente, ma tagliando corto: Norman sembra starti antipatico quasi quanto Baricco. Magari hai tutte le ragioni del mondo, ma dal post si fa fatica a comprenderle.

Passando al contenuto vero e proprio del post, ci sono diversi passaggi di cui non sono convinto. Al tempo stesso, ci sono secondo me argomenti che hai ignorato e che dovrebbero essere invece centrali in un ragionamento sugli inganni — ma più che altro sui pericoli — dello User Experience design.

In apertura dici tu stesso che le assunzioni di Norman sono condivisibili: progettare un prodotto focalizzandosi su chi realmente lo utilizza e non seguendo qualche moda, ideologia, secondo fine, non può che essere la strada da seguire. Poi però fai un passaggio improvviso: il designer nasconde invece una natura di pericoloso demiurgo liberticida. Capisco il timore, che condivido, soprattutto seguendo il tuo giusto riferimento all’Onlife. Ma non condivido appieno il bersaglio. Anzi, ritengo che tu stia facendo come i poliziotti di Gotham city, che ritengono Batman il vero criminale e non colui che i criminali li combatte. Cito a memoria i contenuti del corso del NNgroup che ho seguito un paio d’anni fa. L’intero impianto didattico del corso di Tognazzini — e praticamente di tutti gli articoli e pubblicazioni del NNg- è basato su un concetto imprescindibile: non esiste UX design se non quello basato su osservazioni dirette di chi utilizza il prodotto, e sui dati di utilizzo che ne derivano. In sintesi, tu tratteggi lo UX designer come il più pericoloso dei demiurghi autoproclamati, mentre io sostengo che il ruolo dello UX designer sia proprio quello di combattere strenuamente contro tutti quelli che agiscono, loro sì, da demiurgi autoproclamati. Praticamente tutti gli informatici in camice, gli architetti software, la totalità dei marketing manager e moltissimi CTO. Questo è il mio lavoro quotidiano ed è quello che fanno tutti gli User Experience designer che conosco: spingere gli stakeholders ad allontanarsi dai propri interessi in virtù degli interessi degli esseri umani che usano il prodotto. Come recitano le nostre roboanti, ed oggi molto di moda, job description: “advocate for users“, sempre e dovunque. La figura mitologica del “creativo artista”, colui che grazie alla sua superiorità è in grado di manipolare le povere menti e guidarle alla verità, non è accettata nella comunità, quella vera, di chi si occupa user experience.

C’è poi un altro passaggio, ripetuto nelle tue argomentazioni, che sinceramente non ho compreso. Citi Norman, però apparentemente invertendone le conclusioni: “Si inizia con la paradossale caffettiera disegnata da Jaques Carleman […]. Tutte queste cose sono state progettate da un Designer che pretende di sapere meglio di noi quale esperienza d’uso desideriamo.”. In realtà quello che sostiene Norman è l’opposto: tutti questi oggetti aberranti sono stati progettati da persone che non hanno tenuto conto l’essere umano, l’uso reale. Sono gli archistar, sono i grafici-artisti. Sono gli informatici in camice. Uno UX designer non deve e non può basarsi su altro se non su come le persone vogliono usare quello strumento. Lo stesso ragionamento è ripetuto in chiusura, quando dici “Le stesse macchine che usiamo, alla fin fine, possono comunque, in qualche misura, essere usate in modo che il Designer riterrà aberrante — ma che a noi piace e torna conveniente.” Ecco, con questa conclusione, stai implicitamente affermando che è Batman il vero cattivo, affibbiandogli le colpe dei suoi nemici. Qualsiasi UX designer ti risponderà che non può esistere un ”uso aberrante”. Il design è aberrante mentre l’uso, qualunque esso sia, è il senso ultimo del prodotto.

Questo mi permette di collegarmi ad un punto importante, sopra ho scritto “come le persone vogliono usare” e non “come le persone dovrebbero usare”. Questo è il fondamento deontologico su cui si deve basare qualsiasi professione legata al design. Tu fai un’analogia tra il web (libero, anarchico) e il mondo delle app (in realtà non lo dici, ma avendone già parlato in passato, capisco che implicitamente ti stai riferendo a quello). Il tema è interessante, e come sai lo condivido, ma in questo caso lo trovo decontestualizzato. L’accusa è giusta ma l’imputato è innocente. Infatti implicitamente stai assumendo che le app siano disegnate da UX designer e il web non lo sia. Sicuramente ci sono stati UX designer, guidati da qualche manager di prodotto e marketing, che hanno disegnato un’esperienza mediocre, al ribasso. Hanno inventato il giardino fiorito delle app. Ma viceversa, altri User Experience Designer hanno fatto sì che chiunque fosse in grado di creare il proprio sito web, concentrandosi su ciò che aveva da dire e non su istruire svariate macchine in cascata a compiere operazioni di basso livello. Il tuo precedente sito non era certo stato fatto da un designer, mentre all’attuale hanno partecipato moltissimi designer (quelli che hanno disegnato WordPress in primis). Quale dei due ti rende più libero? Quale dei due rischiava di impedirti una libera partecipazione e condivisione di idee col resto del mondo? Insomma te la sentiresti di attribuire agli UX designer di WordPress le colpe di cui parli nel tuo post?

Il caso delle app, in ogni caso, ci porta a fare una riflessione leggermente più ampia che è, ad oggi, un grande problema dello UX design: la troppa “usabilità”, che è in fondo un grande male. Parlo malvolentieri di usabilità, che è ben diversa dall’esperienza. Una grandiosa esperienza può essere inusabile, basta pensare ai videogiochi. Una legge di Murphy riassume bene il concetto “fai un prodotto che anche un idiota può usare, e solo un idiota vorrà usarlo”. Io aggiungo che la ricerca spasmodica di una semplicità idiota è negativa per lo sviluppo del genere umano. Come dici giustamente tu, noi siamo parte dell’utensile e viceversa. Disegnare nell’ottica del raccapricciante “less is more” o dell’”insanely simple” è quanto di peggio un designer possa fare. Perché la vera semplicità, parola orribile che mi piacerebbe sostituire con “naturalezza”, nasce dall’accettazione della complessità, non dalla sua negazione. Tutto questo però non è nato da malvagi UX designer, quanto dal miglior uomo di marketing dei nostri tempi, Steve Jobs. Ecco mi piacerebbe pensare che il design di un’esperienza sia realmente il tentativo di rendere la macchina un prolungamento dell’arto dell’essere umano e non una gabbia dorata a prova di imbecille. Lo zenware di cui ti parlavo anni fa, rimane ancora oggi il mio principale obiettivo come UX designer (https://balsamiq.com/zenware/).

Arriviamo così all’incirca a trattare degli stessi timori: con l’aumentare della complessità — direi delle potenzialità- del software aumenteranno proporzionalmente le “illusioni” a cui lo UX designer dovrà ricorrere. Perché è vero, noi designer creiamo illusioni: icone che nascondono milioni di calcoli, movimenti delle mani che scrivono centinaia di record in un database che a sua volta viene memorizzato ai quattro angoli del mondo. Tutto ciò però è qualcosa da vigilare non con preoccupazione, ma con spirito critico. Negare l’illusione significa andare verso una specie di ascetico neo luddismo. Ancora peggio, può significare avvalorare le deliranti tesi complottiste anti-elités a cui sempre più mediocri si appigliano per cercare di non sentirsi così tremendamente inadeguati di fronte ad una realtà che corre molto più di loro. Quale professione può dirsi al riparo dai rischi connessi al miglioramento delle macchine? Probabilmente nessuna. Tornando ai fumetti: “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. E’ quindi necessaria un’etica del design? Ovviamente, così come è necessaria una rinnovata etica per medici, giornalisti, programmatori e gestori di dati in cloud. Mi pare che proprio Tognazzini avesse detto durante quel corso che non possiamo rifuggere dal fatto che “to design is to decide”. Ed è vero, l’analisi dei dati e l’osservazione dei problemi non ci esime dal nostro lavoro, ovvero di interpretare le informazioni e ricavarne soluzioni. In questo lo UX designer ha un grande potere, al pari di un ingegnere che progetta un ponte o di un medico che giunge ad una diagnosi. Ecco, questa è una delle immagini che preferisco quando cerco di far capire al mio team che neanche la semplice analisi dei dati ed il testing possono bastare: il nostro ruolo è simile a quelle del medico, si raccolgono i sintomi e l’anamnesi per giungere a una diagnosi e predisporre una terapia. Etica e fiducia, con un parallelo che mi ricorda il travagliato 2016 politico. Sottrarci alle nostre responsabilità sarebbe come lasciar vincere il populismo dell’antipolitica. In questo caso, permettimi di lasciarmi andare, dell’antidesign.

Concludo citando alcuni argomenti che invece penso dovresti trattare, più che sugli inganni, sui futuri pericoli dello User Experience design. La disciplina è agli albori e il fiorire di ruoli, titoli e personaggi senza preparazione è fisiologica. Ma lo User Experience designer è il primo candidato a diventare il futuro Non-human designer o, se vuoi, Existance designer. Se in un futuro non troppo lontano qualcuno creerà percorsi conversazionali non banali come quelli del pappagallo Siri, con cui gli umani interagiranno, quello è proprio lo User Experience designer. Di recente è stata trasmessa una serie TV, Westworld, tratta da un romanzo di Crichton. Io al momento ho visto soltanto la serie (sic) ma l’ho trovata involontariamente illuminante. Come tu mi hai insegnato, la fantascienza del passato è rivelatrice del presente. Nel racconto, un parco tematico è popolato da automi perfetti. I visitatori visitano il vecchio West e si calano nelle vicende sceneggiate per i robot da demiurghi — i gestori del parco- che li osservano da un alto castello. Si vede la programmazione neurologica delle conversazioni, delle reazioni, degli algoritmi che dovranno regolare le vite, gli intrecci, le esistenze di questi umanissimi automi. Tramite tablet, i nostri demiurghi calibrano ogni aspetto della personalità di ciascun robot, creando un enorme testo vitale in cui umani paganti si calano senza effettiva soluzione di continuità rispetto alla realtà.

E’ in questo scenario che l’”illusione” di cui parlavo prima è condotta alle estreme conseguenze e la realtà si dissolve nell’esperienza. Non c’è etica, non c’è “patto sociale del design” qui, per tornare ad analogie politiche. L’uomo disegna esperienze che sono esistenze. Il designer diventa più che demiurgo, divinità. Ma con lui c’è il programmatore, lo sceneggiatore. Tutti quelli insomma che sono chiamati a progettare nel senso più lato del termine.

Io però, anche di fronte a questo scenario, non me la sento di lasciarmi andare alla reazione. Preferisco continuare a pensare che l’etica e la comunità del design possano garantire uno User Experience design che contribuisca allo sviluppo e al miglioramento del genere umano.

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Sono specializzato in Knowledge Management, e mi interesso in particolare agli impatti del web sulle organizzazioni. Dopo aver lavorato nella direzione ICT di una grande multinazionale, occupandomi di architetture applicative, collaboration e Knowledge Management, sono adesso User Interaction Designer e Product Owner del catalogo web di una realtà italiana fortemente orientata all'innovazione. Tengo un blog su temi legati al web e al Knowledge Managament (http://www.damianoceccarelli.net). Altre informazioni su ciò che faccio le potete trovare sul mio profilo Linkedin: http://it.linkedin.com/in/damianoceccarelli

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