Contributi

La nostra soggettività conta molto. Qualche dato insolito e incoraggiante

di Luisa Pogliana 05 Agosto 2018

Nel 2016 per la prima volta l’Istat ha fornito una rilevazione sulla forza lavoro nelle grandi città italiane (1), da cui emerge la straordinaria situazione di Milano. L’occupazione femminile è altissima (70%) superando per quantità e qualità dei posti occupati le altre grandi capitali europee. La metà delle persone che lavorano sono donne, molto più istruite degli uomini (laureate 60% vs 35%). E sono presenti in misura più o meno uguale agli uomini in quasi tutti i settori e livelli di qualificazione. Si può dire, con piacere, che le donne nel lavoro -almeno in questa città- sono dappertutto. O quasi dappertutto. Infatti le donne restano sottorappresentate nelle posizioni di vertice, pur raggiungendo una presenza buona e superiore alla situazione generale. E’ un segmento di mercato piccolo (3,4% del totale occupati), qualcuno fa notare. Ovviamente la massa dei posti di lavoro sta altrove, ma questo piccolo segmento è -appunto- l’élite. L’ambito dove si decide per il restante 96,6% di persone che lavorano e per i destini delle aziende.
Questo scenario ci permette qualche riflessione.
Certamente a Milano il lavoro c’è più che in altre zone d’Italia, e ci sono più servizi sociali: ma questo vale anche per le altre metropoli europee, che non raggiungono però lo stesso livello di occupazione. E ancora, le donne sono più qualificate perché ci sono più soldi per studiare: ma questo non porta a un’uguale istruzione tra gli uomini. Sono solo due elementi indicativi del fatto che non tutto si spiega con fattori strutturali, di contesto esterno. Contano molto anche gli atteggiamenti soggettivi.
Possiamo pensare che se le donne a Milano più che altrove sono nel mercato del lavoro e in buone situazioni è anche perché il lavoro lo vogliono con determinazione. Altrimenti, per esempio, perché studierebbero tanto? Questo desiderio, che va oltre il bisogno economico, influisce sulla capacità di cogliere le opportunità del mercato, o di crearne. Non abbiamo misure di questi atteggiamenti, ma possiamo fondarci su come vediamo agire le donne intorno a noi. Anche la loro soggettività ha fortemente contribuito a creare questa realtà.
Queste evidenze ci incoraggiano a fare anche altri passi verso i livelli alti, mettendo in campo la nostra volontà di assumere quei ruoli e a modo nostro. Se più donne con una testa diversa entrano in quel ‘segmento’, possono influire anche sul lavoro di tutte e tutti gli altri.

(1) “A Milano il lavoro è donna” Italialavoro.it, Banche Dati Documentali e statistiche, 1.6.2016. Lì si trova un’eccellente analisi di Lorenza Zanuso e l’interpretazione di Anna Maria Ponzellini.

(Questo contributo è stato pubblicato su L’Impresa, luglio 2018, come box annesso all’articolo di Luisa Pogliana “Il valore innovativo delle donne al potere”.)

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