BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 01/12/2003

CULTURA DELL'ASCOLTO E CONTRATTI ATIPICI
di MC
con un commento di Davide Storni

Sono una studentessa di Psicologia che lavora provvisoriamente con contratto co.co.co presso un'azienda di servizi .

Sono giunta casualmente su Bloom e ho apprezzato molto alcuni contributi che ho trovato .

In particolare  l'articolo faq14.htm si lega ad una mia recente esperienza.

Ho purtroppo constatato dalla mia esperienza quanto nelle piccole aziende manchi la cultura dell'ascolto e della valorizzazione delle risorse umane.

Anche in casi in cui la direzione sia composta da persone giovani (sotto i 40) resta molto radicata la filosofia del "padrone" che impartisce ordini.

E' triste constatare che questo atteggiamento non solo causa scontento tra il personale, ma anche problemi nella ottimizzazione del lavoro.

Attingendo alle mie esperienze e a quelle altrui mi trovo a considerare che la gestione troppo autoritaria del personale genera sentimenti di svilimento, mancanza di motivazione , di entusiasmo e quindi di impegno.

L'insorgere di questi sentimenti nel lavoratore finisce per provocare scarsa collaborazione e pregiudica la capacità di iniziativa, insomma genera quello che spesso si riassume nel 'chi se ne frega'.

Dove non vi sia una figura apposita, l'ascolto dei dipendenti da parte del datore di lavoro dovrebbe servire come feedback per comprendere se l'azienda persegue nel migliore dei modi gli obbiettivi voluti dalla dirigenza e come continuo strumento per monitorare la motivazione e l'impegno dei lavoratori.

Tralasciando per ora l'enorme argomento che riguarda la motivazione, che non può certo essere ridotta al semplice parallelismo stipendio-impegno, vorrei portare l'attenzione su alcuni degli effetti che genera la "mancanza di cultura dell'ascolto" nelle organizzazioni.

Ogni dipendente si occupa spesso di uno solo dei vari settori in cui si divide l'organizzazione e esso, nello svolgere la sua mansione, si trova così a stretto contatto con specifici problemi piccoli o grandi.

La conoscenza di tali problemi da parte della direzione può facilitare la correzione di una procedura o la modifica di uno schema di lavoro in modo tale da migliorare la produttività nel suo insieme.

Prendiamo l'esempio di un dipendente che abbia costanti e continui rapporti con la clientela di un'azienda.

Grazie alla sua mansione si trova a conoscere i bisogni e le necessità dei clienti, ma anche i progetti di sviluppo e le decisioni prese dalla dirigenza.

Nel momento in cui il lavoratore ipotizzi che tali scelte non incontrerebbero i desideri della clientela, cosa dovrebbe fare?

In una situazione di dialogo verrebbe naturale pensare che il dipendente possa segnalare le sue osservazioni, ma se da parte della dirigenza non ci fosse la volontà di ascoltare?

Nella migliore delle ipotesi l'azienda si troverebbe ad introdurre un cambiamento non apprezzato dai clienti che protesterebbero, magari costringendo l'azienda a tornare sui suoi passi.

In questo caso 'perdere' 5 minuti nell'ascolto porterebbe ad un risparmio di tempo e lavoro inutile evitando inoltre di compromettere l'immagine dell'azienda stessa.

Prendiamo ancora un altro esempio: un operaio che deve costruire un qualsiasi bene seguendo il disegno di un ingegnere.

Durante il suo lavoro l'operaio riscontra che le istruzioni presenti sul progetto non permettono la corretta realizzazione del prodotto, cosa deve fare se l'ingegnere non si 'confonde' con gli operai?

Nella peggiore delle ipotesi l'operaio 'adatta' la realtà in modo da finire il suo lavoro, questa procedura però può compromettere la sicurezza del prodotto senza che nessun responsabile ne sia al corrente e non risolve certo l'errore riscontrato.

Ascoltare l'operaio porterebbe alla costruzione di un prodotto migliore.

 

Ma il tempo dedicato all'ascolto sembra sempre essere tempo perso, e' vero che ci si può trovare a ricevere suggerimenti o idee incompatibili con gli obbiettivi da perseguire, ma questo e' il prezzo da pagare quando si mira ad una buona riuscita del sistema azienda.

A questo punto le domande da porsi in proposito sarebbero molte!

Cosa causa tali rigidità nei rapporti di lavoro? Quanto gli status sociali influiscono?

La paura di perdere l'autorità' quanto conta?... 

Personalmente credo molto nel lavoro di gruppo come risorsa e nella comunicazione come strumento

per ottenere un costante miglioramento della produttività.

Come futura psicologa mi trovo ad avere alcune conoscenze che mi permettono di capire quali siano gli effetti sui colleghi della mancanza di autentica comunicazione,  ma come lavoratrice mi scontro con la realtà di un tipo di contratto (co.co.co) che per la sua natura precaria impedisce ancora di più la possibilità stessa di un confronto e di una partecipazione critica al lavoro a causa della minaccia costante di licenziamento.

Il lavoratore con contratto precario, non ha gli stessi diritti del lavoratore con contratto a tempo indeterminato.

Per definizione esso e' temporaneo, sostituibile senza preavviso e spesso e' anche poco informato sui suoi diritti.

Per capire meglio basta fare una piccola ricerca sul web.

In questi giorni usando lo strumento 'Gruppi' di Google e ricercando la parola chiave: co.co.co , si trovano molti interventi. A scopo esemplificativo, ne riporto qui sotto una piccola parte del primo trovato:

"...(co.co.co), quella figura contrattuale in cui si trovano sia lavoratori para-subordinati che illustri professionisti. Tecnicamente i co.co.co sono lavoratori autonomi, ma molto spesso forniscono

prestazioni analoghe a quelle dei lavoratori dipendenti, senza però alcuna protezione del posto di lavoro, e con bassissimi contributi previdenziali."

Newsgroups:it.politica

Da www.lavoce.info

Leftorium, Il blog Riformista

http://clik.to/leftorium

 

Questo è uno degli interventi più misurati che si possono trovare, ma cercando ancora si arrivano a trovare

testimonianze di vero disagio.

Il lavoratore precario porta il suo contributo senza sentirsi mai effettivamente parte di un progetto durevole,

a questo si aggiunge l'incertezza sul proprio futuro economico e sulla possibilità di progettare la vita privata a lungo termine.

Sono infatti frequenti le lamentele verso il sistema bancario che non eroga mutui a chi non possiede una busta paga regolare.

 

Proprio per questi motivi mi chiedo se sia possibile aprire una discussione che abbia come argomento oltre che il problema dell'ascolto esteso a tutte le situazioni professionali, anche il caso particolare delle problematiche legate all' integrazione dei lavoratori con contratti atipici e  in particolare quanto questo tipo di lavoro precario possa influire sulle dinamiche comunicative interne ad un ambiente lavorativo.

 


COMMENTO
di Davide Storni

MC ci propone alcune riflessioni riguardanti due aree di malessere organizzativo che hanno punti in comune, ma che in questo momento vivono momenti di celebrità molto diversi.

Mentre infatti l’avvento della legge Biagi ha portato a sviluppare il tema dei contratti atipici, aprendo una discussione che si protrarrà anche nei prossimi anni visto che la legge rimanda in molti casi alla contrattazione fra le parti per una sua effettiva attuazione, il tema dell’ascolto e più in generale del coinvolgimento non è tra i più gettonati.

In parte questa differenza è dovuta alla diversa natura dei due temi, l’uno contrattuale, l’altro solamente (?!?) manageriale/relazionale. Nel nostro paese la dimensione contrattuale ha sempre avuto una significativa prevalenza, forse in conseguenza della erronea ed ingenua credenza che le dimensioni del vivere organizzato potessero essere gestite e regolamentate contrattualmente.

Il tema proposto da MC relativamente ai co.co.co. è importante in quanto, anche dopo la sparizione di questa figura prevista dalla legge Biagi, è prevedibile un aumento dei lavoratori inseriti in contratti atipici che hanno tradizionalmente meno capacità di aggregazione e quindi minor “presenza” politica e forza contrattuale. La legge Biagi risponde ad effettive esigenze di flessibilità nel mondo del lavoro e in qualche modo dovrebbe ridurre le aree di illegalità (a cominciare dall’improprio uso dei co.co.co.). Tuttavia sancisce di fatto l’esistenza di fasce di lavoratori più deboli e si presta ad un uso strumentale dei nuovi istituti.

In altre parole è possibile che le aree di disagio che MC ben rappresenta nella sua mail, senso di precarietà e di esclusione dalla realtà aziendale, incertezza, difficoltà di programmare il futuro, siano destinate ad aumentare.

Nel tempo, se i lavoratori con contratti atipici aumenteranno, le aziende dovranno imparare a gestire queste risorse come parte del patrimonio aziendale e non solo in chiave tattica e opportunistica. Ma questo è ben lontano dal realizzarsi e non solo per la novità di queste nuove forme contrattuali. Infatti la maggior parte degli strumenti di gestione è rivolta ai dipendenti a contratto indeterminato, si pensi solamente ai percorsi di carriera e ai correlati assessment center.

Non basterà quindi una corretta e non opportunistica visione di queste nuove forme contrattuali, ma serviranno anche nuove tecniche e un diverso approccio al patrimonio intellettuale dell’azienda. 

L’ascolto è un tema insieme meno dibattuto e più importante. Implica rispetto e riconoscimento dell’altro anche e soprattutto quando portatore di una cultura e/o di idee diverse. Naturalmente ognuno di noi è portato a vedere le cose dalla propria prospettiva culturale e dalla propria posizione sociale. Questo crea incomprensioni anche clamorose, allontanamento, esclusione, odio. Pensiamo solo ai casi estremi, al fondamentalismo e all’estremismo che negano qualsiasi forma e possibilità di comunicazione e generano odio e morte. Gli stessi meccanismi sono presenti in ogni ambito sociale e culturale sia pur con minor virulenza e effetti meno inquietanti. Lo svilimento, il senso di impotenza, la rinuncia alla possibilità di influire sul proprio futuro e sul proprio lavoro sono però fenomeni gravi, anche se meno riproposti dai media.

L’ascolto è la via per ridurre e disarmare questi meccanismi culturali e per costruire un sistema di relazioni più bilanciato e rispettoso dell’altro, in altre parole più umano.

Ma ascoltare è difficile perché implica una apertura che può essere generatrice di ansie e dolore. Inoltre crea aspettative che non sempre possiamo soddisfare, anche volendolo. Ancor maggiore è l’ansia derivante dal riconoscere la relatività delle nostre idee e dei nostri valori.

Ma forse il peggior killer dell’ascolto è il tempo, in un momento di continua accelerazione e di sempre più strenua lotta per gli obiettivi, per la carriera o più semplicemente per sopravvivere.

Eppure ascoltare fa risparmiar tempo. Innanzitutto perché permette, come evidenziato da MC, di evitare errori clamorosi, ma anche perché è il primo passo verso la motivazione e il coinvolgimento delle persone, dell’attivazione della loro energia, per l’aumento della capacità complessiva dell’organizzazione, passaggi fondamentali per ridurre il tempo in coordinamento e controllo, il tempo dedicato ai rifacimenti e il tempo di auto-sospensione o resistenza passiva (il chi se ne frega).

E l’ascolto non limita il potere del leader, anzi lo amplifica. Ma questo si scopre solo dopo. 

Penso che questi due temi, l’ascolto e il vivere da “lavoratore atipico” siano importanti e mi aggrego a MC nel sollecitare altri contributi da parte di tutti i lettori di Bloom.

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