CULTURA
DELL'ASCOLTO E CONTRATTI ATIPICI
di MC
con un commento di Davide Storni
Sono
una studentessa di Psicologia che lavora provvisoriamente con
contratto co.co.co presso un'azienda di servizi .
Sono
giunta casualmente su Bloom e ho apprezzato
molto alcuni contributi che ho trovato .
In
particolare l'articolo
faq14.htm si lega ad una mia recente esperienza.
Ho
purtroppo constatato dalla mia esperienza
quanto nelle piccole aziende manchi la cultura dell'ascolto
e della valorizzazione delle risorse umane.
Anche
in casi in cui la direzione sia composta
da persone giovani (sotto i 40) resta molto radicata la filosofia
del "padrone" che impartisce ordini.
E'
triste constatare che questo atteggiamento non solo causa scontento
tra il personale, ma anche problemi nella ottimizzazione del
lavoro.
Attingendo
alle mie esperienze e a quelle altrui mi trovo a considerare
che la gestione troppo autoritaria del personale genera sentimenti
di svilimento, mancanza di motivazione ,
di entusiasmo e quindi di impegno.
L'insorgere
di questi sentimenti nel lavoratore finisce per provocare scarsa
collaborazione e pregiudica la capacità di iniziativa, insomma
genera quello che spesso si riassume nel 'chi se ne frega'.
Dove
non vi sia una figura apposita, l'ascolto
dei dipendenti da parte del datore di lavoro dovrebbe servire
come feedback per comprendere se l'azienda persegue nel migliore
dei modi gli obbiettivi voluti dalla dirigenza e come continuo
strumento per monitorare la motivazione e l'impegno dei lavoratori.
Tralasciando
per ora l'enorme argomento che riguarda la motivazione, che
non può certo essere ridotta al semplice parallelismo stipendio-impegno,
vorrei portare l'attenzione su alcuni degli effetti che genera
la "mancanza di cultura dell'ascolto" nelle organizzazioni.
Ogni
dipendente si occupa spesso di uno solo dei vari settori in
cui si divide l'organizzazione e esso,
nello svolgere la sua mansione, si trova così a stretto contatto
con specifici problemi piccoli o grandi.
La
conoscenza di tali problemi da parte della direzione può facilitare
la correzione di una procedura o la modifica di uno schema di
lavoro in modo tale da migliorare la produttività nel suo insieme.
Prendiamo
l'esempio di un dipendente che abbia
costanti e continui rapporti con la clientela di un'azienda.
Grazie
alla sua mansione si trova a conoscere i bisogni e le necessità
dei clienti, ma anche i progetti di sviluppo e le decisioni
prese dalla dirigenza.
Nel
momento in cui il lavoratore ipotizzi che tali scelte non incontrerebbero
i desideri della clientela, cosa dovrebbe fare?
In
una situazione di dialogo verrebbe naturale pensare che il dipendente
possa segnalare le sue osservazioni, ma se da parte della dirigenza
non ci fosse la volontà di ascoltare?
Nella
migliore delle ipotesi l'azienda si troverebbe ad introdurre
un cambiamento non apprezzato dai clienti che protesterebbero,
magari costringendo l'azienda a tornare sui suoi passi.
In
questo caso 'perdere' 5 minuti nell'ascolto porterebbe ad un
risparmio di tempo e lavoro inutile evitando inoltre di compromettere
l'immagine dell'azienda stessa.
Prendiamo
ancora un altro esempio: un operaio che deve costruire un qualsiasi
bene seguendo il disegno di un ingegnere.
Durante
il suo lavoro l'operaio riscontra che
le istruzioni presenti sul progetto non permettono la corretta
realizzazione del prodotto, cosa deve fare se l'ingegnere non
si 'confonde' con gli operai?
Nella
peggiore delle ipotesi l'operaio 'adatta' la realtà in modo
da finire il suo lavoro, questa procedura però può compromettere
la sicurezza del prodotto senza che nessun responsabile ne sia
al corrente e non risolve certo l'errore
riscontrato.
Ascoltare
l'operaio porterebbe alla costruzione di un prodotto migliore.
Ma
il tempo dedicato all'ascolto sembra sempre essere tempo perso,
e' vero che ci si può trovare a ricevere suggerimenti o idee
incompatibili con gli obbiettivi da perseguire, ma questo e' il prezzo da pagare
quando si mira ad una buona riuscita del sistema azienda.
A
questo punto le domande da porsi in proposito sarebbero molte!
Cosa causa tali rigidità nei rapporti
di lavoro? Quanto gli status sociali influiscono?
La
paura di perdere l'autorità' quanto
conta?...
Personalmente
credo molto nel lavoro di gruppo come risorsa e nella comunicazione
come strumento
per ottenere un costante miglioramento
della produttività.
Come
futura psicologa mi trovo ad avere
alcune conoscenze che mi permettono di capire quali siano gli
effetti sui colleghi della mancanza di autentica comunicazione,
ma come lavoratrice mi scontro con la realtà di un tipo
di contratto (co.co.co) che per la sua natura precaria impedisce ancora
di più la possibilità stessa di un confronto e di una partecipazione
critica al lavoro a causa della minaccia costante di licenziamento.
Il
lavoratore con contratto precario, non ha gli stessi diritti
del lavoratore con contratto a tempo indeterminato.
Per
definizione esso e' temporaneo, sostituibile senza preavviso
e spesso e' anche poco informato sui suoi diritti.
Per
capire meglio basta fare una piccola ricerca sul web.
In
questi giorni usando lo strumento 'Gruppi' di Google
e ricercando la parola chiave: co.co.co , si trovano molti interventi. A scopo esemplificativo, ne
riporto qui sotto una piccola parte del primo trovato:
"...(co.co.co), quella figura contrattuale
in cui si trovano sia lavoratori para-subordinati che illustri
professionisti. Tecnicamente i co.co.co
sono lavoratori autonomi, ma molto spesso forniscono
prestazioni analoghe a quelle dei lavoratori
dipendenti, senza però alcuna protezione del posto di lavoro,
e con bassissimi contributi previdenziali."
Newsgroups:it.politica
Leftorium,
Il blog Riformista
Questo
è uno degli interventi più misurati che si possono trovare,
ma cercando ancora si arrivano a trovare
testimonianze di vero disagio.
Il
lavoratore precario porta il suo contributo senza sentirsi mai
effettivamente parte di un progetto durevole,
a questo si aggiunge l'incertezza sul
proprio futuro economico e sulla possibilità di progettare la
vita privata a lungo termine.
Sono infatti frequenti le lamentele verso il sistema bancario che
non eroga mutui a chi non possiede una busta paga regolare.
Proprio
per questi motivi mi chiedo se sia possibile aprire una discussione
che abbia come argomento oltre che il problema dell'ascolto
esteso a tutte le situazioni professionali, anche il caso particolare
delle problematiche legate all' integrazione dei lavoratori con contratti atipici e
in particolare quanto questo tipo di lavoro precario
possa influire sulle dinamiche comunicative interne ad un ambiente
lavorativo.
di
Mentre infatti l’avvento della legge Biagi
ha portato a sviluppare il tema dei contratti atipici, aprendo
una discussione che si protrarrà anche nei prossimi anni visto
che la legge rimanda in molti casi alla contrattazione fra le
parti per una sua effettiva attuazione, il tema dell’ascolto
e più in generale del coinvolgimento non è tra i più gettonati.
In
parte questa differenza è dovuta alla
diversa natura dei due temi, l’uno contrattuale, l’altro solamente
(?!?) manageriale/relazionale. Nel nostro paese la dimensione
contrattuale ha sempre avuto una significativa
prevalenza, forse in conseguenza della erronea ed ingenua credenza
che le dimensioni del vivere organizzato potessero essere gestite
e regolamentate contrattualmente.
Il
tema proposto da MC relativamente ai
co.co.co. è importante in quanto,
anche dopo la sparizione di questa figura prevista dalla legge
Biagi, è prevedibile un aumento dei
lavoratori inseriti in contratti atipici che hanno tradizionalmente
meno capacità di aggregazione e quindi minor “presenza” politica
e forza contrattuale. La legge Biagi
risponde ad effettive esigenze di flessibilità nel mondo del
lavoro e in qualche modo dovrebbe ridurre le aree di
illegalità (a cominciare dall’improprio uso dei co.co.co.).
Tuttavia sancisce di fatto l’esistenza di fasce di lavoratori
più deboli e si presta ad un uso strumentale dei nuovi istituti.
In
altre parole è possibile che le aree di disagio che MC ben rappresenta
nella sua mail, senso di precarietà e di esclusione dalla realtà
aziendale, incertezza, difficoltà di programmare il futuro,
siano destinate ad aumentare.
Nel
tempo, se i lavoratori con contratti atipici aumenteranno, le
aziende dovranno imparare a gestire queste risorse come parte
del patrimonio aziendale e non solo in chiave tattica e opportunistica.
Ma questo è ben lontano dal realizzarsi
e non solo per la novità di queste nuove forme contrattuali.
Infatti la maggior parte degli strumenti
di gestione è rivolta ai dipendenti a contratto indeterminato,
si pensi solamente ai percorsi di carriera e ai correlati assessment
center.
Non
basterà quindi una corretta e non opportunistica visione di
queste nuove forme contrattuali, ma serviranno anche nuove tecniche
e un diverso approccio al patrimonio intellettuale dell’azienda.
L’ascolto
è un tema insieme meno dibattuto e più importante. Implica rispetto
e riconoscimento dell’altro anche e soprattutto quando portatore
di una cultura e/o di idee diverse.
Naturalmente ognuno di noi è portato a vedere le cose dalla
propria prospettiva culturale e dalla propria posizione sociale.
Questo crea incomprensioni anche clamorose,
allontanamento, esclusione, odio. Pensiamo solo ai casi
estremi, al fondamentalismo e all’estremismo che negano qualsiasi forma
e possibilità di comunicazione e generano odio e morte. Gli
stessi meccanismi sono presenti in ogni ambito sociale e culturale
sia pur con minor virulenza e effetti meno inquietanti. Lo svilimento, il senso di impotenza, la rinuncia alla possibilità di influire sul
proprio futuro e sul proprio lavoro sono però fenomeni gravi,
anche se meno riproposti dai media.
L’ascolto
è la via per ridurre e disarmare questi meccanismi culturali
e per costruire un sistema di relazioni più
bilanciato e rispettoso dell’altro, in altre parole più
umano.
Ma
ascoltare è difficile perché implica una apertura
che può essere generatrice di ansie e dolore. Inoltre crea aspettative
che non sempre possiamo soddisfare, anche volendolo. Ancor maggiore
è l’ansia derivante dal riconoscere la relatività delle nostre
idee e dei nostri valori.
Ma forse il peggior killer dell’ascolto
è il tempo, in un momento di continua accelerazione e di sempre
più strenua lotta per gli obiettivi, per la carriera o più semplicemente
per sopravvivere.
Eppure ascoltare fa risparmiar tempo. Innanzitutto
perché permette, come evidenziato da
MC, di evitare errori clamorosi, ma anche perché è il primo
passo verso la motivazione e il coinvolgimento delle persone,
dell’attivazione della loro energia, per l’aumento della capacità
complessiva dell’organizzazione, passaggi fondamentali per ridurre
il tempo in coordinamento e controllo, il tempo dedicato ai
rifacimenti e il tempo di auto-sospensione o resistenza passiva
(il chi se ne frega).
E l’ascolto non limita il potere del
leader, anzi lo amplifica. Ma questo
si scopre solo dopo.
Penso
che questi due temi, l’ascolto e il vivere da “lavoratore atipico”
siano importanti e mi aggrego a MC nel sollecitare altri contributi
da parte di tutti i lettori di Bloom.