BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 16/04/2007

ORGANIZZAZIONE E DINTORNI: CULTURA E INNOVAZIONE

di Davide Storni

Finalmente una buone notizia. È stata messa sul mercato la prima auto elettrica realmente utilizzabile. Qualche dato: da 0 a 100 in poco meno di 6 secondi (come una Ferrari), 210 km/h, ma soprattutto oltre 400 km di autonomia con un pieno, cioè quanto basta per un normale utilizzo giornaliero. Viaggi lunghi sconsigliati, infatti per fare il pieno ci vogliono 4 ore, ma per andare e venire dalla città va benissimo. In Giappone poi stanno sperimentando delle batterie con ricarica in 10 minuti. Anche con questi limiti comunque questa si configura come la prima auto elettrica che consenta un utilizzo quotidiano e reale. Un altro piccolo problema, il costo, si aggira attorno ai 100.000€. ma anche qui è solo questione di tempo, infatti nei prossimi anni sono previsti modelli più adatti alla famiglia (quella attuale è un coupè due posti) e a prezzi via via decrescenti. E comunque la produzione dei prossimi due anni è già stata venduta.

Ma perchè di interessa questa notizia? Per prima cosa perchè il poter disporre di un'auto elettrica allevierebbe i miei sensi di colpa nei confronti dell'ambiente; poi perchè rappresenta un caso  interessante per chi si occupa di organizzazione.

In questi giorni siamo infatti sottoposti ad un vero bombardamento mediatico che spinge a favore di soluzioni volte a diminuire l'inquinamento dovuto ai motori a combustione interna. I costruttori sono ormai tutti orientati verso le cosiddette ibride, cioè auto con motore a benzina o gasolio con il supporto ausiliario di uno o più  motori elettrici. Quanto agli ambientalisti, essi spingono verso l'utilizzo di carburanti alternativi, gas o etanolo proveniente da coltivazioni. Lungi dal rappresentare posizioni innovative queste a mio avviso rappresentano gli ultimi tentativi di difendere un modello di sviluppo e una tecnologia che, affermatasi all'inizio del secolo scorso, ha dominato il XX secolo attraverso successivi affinamenti e malgrado i suoi limiti ben evidenti fin dall'inizio: il motore a scoppio.

Ancor più delle carrozzerie, quello che ha sempre esercitato un fascino al limite del fanatismo negli uomini moderni e post-moderni è sempre stato il motore, macchinario capace di suscitare l'idea di potenza e di estendere le capacità dell'uomo a livelli impensabili solo 100 anni fa. Gli odierni costruttori di automobili sono figli dell'amore per il motore e tutti i loro sforzi si concentrano sull'evoluzione di questo meccanismo, in verità ancora oggi, malgrado l'elevatissimo livello di sofisticazione, poco efficiente visto l'enorme spreco di energia sotto forma di calore che esso genera. E “leggermente” dannoso per l'ambiente. La loro cultura è cultura ingegneristica e meccanica. Ed è così che ancora oggi tendono a rispondere alle richieste sempre più pressanti di rispetto ambientale con una ancor maggiore sofisticazione ingegneristica/elettronica. Non più un solo motore, ma due o tre che collaborano fra di loro. Oppure carburanti che consentano di utilizzare le meraviglie tecnologiche senza cambiare paradigma: idrogeno, gas, etanolo. Ma qui c'è un problema, o meglio due. Per produrre idrogeno si consuma molta energia, così anche se la macchina non inquina, l'inquinamento viene a monte, al momento della produzione di idrogeno che non viene pensato da elettrolisi dell'acqua, ma da estrazione da idrocarburi (così si salva anche la industria petrolifera).
Quanto all'etanolo per far circolare il parco macchine italiano servirebbe una superficie coltivata pari a 4 volte la superficie complessiva della stessa Italia. Impensabile, anche perchè la crescente richiesta di carburanti puliti sta contribuendo alla distruzione dell'Amazzonia e del Mato Grosso molto più della richiesta di legname pregiato. Il gas va un po' meglio, anche se sempre di idrocarburi di prossimo esaurimento si tratta.
Inoltre la tecnologia delle ibride offre ancora soluzioni parziali: in Toyota parlano di risparmi fino al 18% rispetto ad un'auto di pari cilindrata tradizionale. Un po' poco e comunque non sufficiente a riportare aria pulita nelle nostre città e a risolvere il problema del riscaldamento del pianeta.

Abbiamo detto però in apertura che l'auto totalmente elettrica è arrivata, e qui interviene la riflessione sulle organizzazioni; chi ha sviluppato questa prima auto elettrica, la prima speriamo di una grande famiglia di veicoli realmente a zero emissione? Non la Fiat, non i costruttori tedeschi, né quelli giapponesi. La madre di questo piccolo miracolo è una piccola azienda californiana, la Tesla (1) (mai sentita!). Vedete www.teslamotors.com. A proposito l'auto si può acquistare anche on line, per chi avesse 100.000 euro da spendere per il gusto di circolare a emissione zero.
Come è possibile che questa notevole innovazione sia venuta da uno scononsciuto, almeno per il  settore auto,  produttore e non da una azienda automobilistica?
Cultura, e interesse naturalmente.
Intanto cominciamo dalla cultura: tutte le aziende automobilistiche hanno una cultura di base di tipo ingegneristico/meccanico e tendono quindi a sviluppare l'innovazione all'interno di determinati filoni ricercando una sempre maggiore sofisticazione tecnica. Ora il motore elettrico è di una semplicità disarmante (2) . Il motore che spinge la Tesla a 210 km/h pesa trenta (30) chili. I motori elettrici ausiliari della Lexus 400 stanno nei mozzi delle ruote posteriori. Niente a che vedere con gli scintillanti motori Alfa, BMW o Ducati, niente fascino, niente sofisticazione e soprattuto un costo decisamente inferiore. Quindi anche meno valore e meno profitti. L'auto elettrica non è cosa da meccanici, ma da chimici. Il punto chiave è infatti costituito dalla batteria, prima solo accessorio per consentire l'avvio del motore a scoppio, ora elemento centrale delle nuove auto elettriche. L'attuale freno alla loro diffusione viene infatti dai limiti delle odierne batterie, limiti che saranno presto superati,  non dai costruttori di automobili, quanto piuttosto dai costruttori di accessori, appunto le batterie. Così se fino ad oggi costruire motori sofisticati e potenti era elemento necessario per imporsi sul mercato della locomozione, da domani sarà vincente il saper produrre batterie di lunga durata e di facile ricarica.
È chiaro che i produttori di automobili basate sul motore a scoppio vedano nell'affermarsi della cultura della batteria una seria minaccia. Così invece di spingere l'innovazione verso la strada più logica intensificano gli sforzi nell'evoluzione dei motori, arte nella quale sono molto bravi (3). Difendono la cultura meccanica, asse portante dello sviluppo economico del XX secolo,  dall'avanzare della cultura chimica di cui non sono certo maestri. Se ricercate su internet il nome dei produttori di batterie vedrete che non figura nessuna della grandi case automobilistiche e che il mercato è molto frammentato, anche se mi aspetto che l'accelerazione  tecnologica che sarà richiesta dal business della locomozione comporterà grandi investimenti e presumibilmente una maggior concentrazione del mercato.
Si capisce il perchè i produttori di automobili resistano alla vera innovazione, cioè al ripensamento totale del motore, ma questo deriva da un'errata concezione di impresa. Essi infatti si pongono sul mercato come produttori di motori e non come erogatori di un servizio di mobilità. Quest'ultimo concetto, ben più ampio, può consentire di rimettere in discussione tutti i pezzi della catena del valore necessaria per consentire al cliente finale di muoversi in libertà con un contenuto costo ambientale. Se invece ci si pone come costruttori di motori a scoppio (4) , si limita lo spazio all'innovazione e si tenderà sempre a produrre motori, sempre più belli e sofisticati, forse un giorno, speriamo presto, inutili.

Ancora una volta (5) siamo di fronte ad un caso di miopia imprenditoriale, che ha portato le aziende leader di un settore a concentrarsi sul punto della catena che garantiva un maggior valore, ma che rischia oggi di farli trovare impreparati al cambiamento tecnologico. Lo shift fra meccanico e chimico rischia infatti di cambiare profondamente l'assetto dell'intero mercato dell'automobile (una volta tanto a favore dell'ambiente e dell'uomo).
Non sorprende che le aziende automobilistiche stiamo cercando di salvare la propria centralità nel mercato, spingendo la bufala delle auto ibride e dei carburanti alternativi.
Sorprende un po' di più che a fare da sottofondo a questa sinfonia fatta di illustri articoli sui giornali specialistici siano anche i giornalisti e addirittura gli ambientalisti.


1 - Tesla è sconosciuta sul mercato automobilistico, ma è suo il brevetto del primo motore elettrico bifase (1888)

2 - È sostanzialmente composto da due parti, un avvolgimento che crea un campo magnetico e un rotore che trasforma l'energia elettrica in energia meccanica.

3 - Si tratta di un evidente esempio di intensificazione, per cui a difficoltà nel modello di azione si tende a rispondere intensificando gli sforzi invece di mettere in discussione il modello stesso. Il fenomeno è stato analizzato in psicologia e ampiamente documentato dall'analisi sistemica (analisi dei loop o circoli viziosi)

4 - Per quanto detto alla 1, i produttori di motori a scoppio non si vedono certo come produttori di motori elettrici, e anche se fosse, il produrre motori elettrici non consente di essere l'azienda leader nel ciclo di produzione così come era oggi per i produttori di motori a scoppio.

5 - La letteratura manageriale è piena di casi di innovazione fatte da aziende che non provengono dal settore e che proprio per questo portano idee nuove e spiazzano il mercato.

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