BANCHE E INNOVAZIONE: VECCHIE E NUOVE LOGICHE NELL'ANALISI ORGANIZZATIVA
Quindici anni fa lasciavo una grossa realtà aziendale del modo assicurativo, già allora dinamico, snello e con ampi margini di autonomia operativa, per iniziare una nuova esperienza in campo bancario, in una realtà locale, poi divenuta regionale.
All’inizio le affinità tra i due mondi erano limitate al fatto che entrambi erogassero servizi; molte invece le differenze nell’approccio al lavoro.
E ciò soprattutto in considerazione del fatto che da un’attività di sviluppo del portafoglio clienti sono passato ad occuparmi di organizzazione aziendale ed in particolare di:
q analisi organizzativa;
q normativa interna;
q definizione/razionalizzazione dei vari processi di lavoro;
q
rilascio di talune procedure informatiche;
q
attività didattiche e supporto agli utenti interni.
Il settore bancario si è poi andato qualificando per una progressiva liberalizzazione, provocando il cambiamento radicale di un mercato, quello italiano, a lungo caratterizzato da una bassa concorrenzialità e dalla presenza di realtà aziendali poco organizzate, efficienti e innovative.
Evidentemente la mia fortuna è stata quella di iniziare a lavorare in una banca che, sebbene con un limitato ambito territoriale di operatività, già allora aveva una struttura solida ed una direzione ed un management lungimirante ed in grado di:
q affrontare adeguatamente il passaggio da un sistema sostanzialmente fondato sulla stabilità ad uno maggiormente teso alla competitività ed al recupero di redditività;
q superare indenne anche i più recenti interventi del legislatore e delle autorità di controllo volti a favorire, attraverso fenomeni di concentrazione bancaria e di aumento delle dimensioni medie delle banche italiane, ancora molto al di sotto di quelle di altri paesi:
§ la realizzazione di economie di scala e di scopo;
§ la difesa di quote di mercato già acquisite;
§ l’ingresso in nuovi segmenti di mercato.
La mia stessa esperienza personale è passata attraverso una fusione per unione ed un paio di incorporazioni, processi dai quali è venuta fuori una delle poche banche del meridione sopravvissute ai fenomeni di aggregazione ed ancora orgogliosamente autonoma.
La tendenza dello scenario, peraltro, è verso una sempre maggiore complessità ed un crescente dinamismo a causa della globalizzazione, del crescente tasso di innovazione e del profondo e frequente cambiamento del contesto competitivo.
Ora, infine, anche in seguito all’azione delle associazioni dei consumatori,
a noi bancari viene chiesta sempre maggiore trasparenza
per rendere la clientela pienamente consapevole dei propri
bisogni e, quindi, capace di informarsi sulle caratteristiche
dell’offerta, operando consapevolmente tra alternative di
acquisto (v. recente lancio del Progetto PattiChiari).
Il ruolo sempre più attivo del cliente nel confronto tra concorrenti
ha spinto via via il management
bancario e gli analisti di organizzazione a:
q
spostare il proprio punto focale della progettazione organizzativa
dalla dimensione macro della struttura gerarchico – funzionale
alla dimensione micro del processo;
q
considerare ogni possibilità di accorciare i tempi di ciclo, snellire
le strutture ed istituire efficaci meccanismi di coordinamento
tra le diverse unità, legate da quella particolare sequenza
di attività correlate che costituiscono appunto i processi
aziendali.
Per fronteggiare le citate nuove tendenze del mercato, alle banche
non resta, infatti, che:
q
tarare i propri prodotti/servizi sulle esigenze dei clienti e verificare
continuamente la propria struttura dei costi e, quindi,
l’efficienza della propria organizzazione;
q
basare le strategie ed i propri obiettivi economico – finanziari sulla
fedeltà del cliente, sempre più esigente, avveduto e consapevole
dei suoi diritti, anticipandone bisogni ed esigenze;
q
pensare a “ristrutturazioni” che permettano di ottenere miglioramenti
sostanziali dal punto di vista del grado di flessibilità
(v. Fig. n. 1).
Ed infatti, l’ultimo decennio di vita delle banche è stato caratterizzato da sostanziali “cambiamenti organizzativi”, finalizzati al raggiungimento di una maggiore produttività, efficienza economica e redditività.
Anche a me è capitato di guidare progetti di esternalizzazione di interi comparti “non core”, quali la gestione del contante, degli archivi cartacei e del servizio di tesoreria e cassa enti.
La razionalizzazione e l’ottimizzazione ha interessato sempre maggiori componenti aziendali, mediante metodologie, tipiche delle imprese industriali ed acquisite da società di consulenza esterne, di ottimizzazione dei processi, quali il Business Process Improvement (BPI), ma soprattutto il Business Process Reengineering (BPR).
In una prima fase, in ambito bancario come in altri, i progetti di BPR non sempre hanno avuto esito positivo:
q perché in Italia certi valori sono più radicati ed è più alta la resistenza al cambiamento (vi è infatti una cultura più paternalistica, conservatrice, orientata all’attendismo e meno razionalistica, innovatrice, orientata alle trasformazioni radicali);
q per la non perfetta gestione della comunicazione del piano alla struttura e, quindi, per il mancato coinvolgimento di tutto il personale;
q perché l’implementazione di taluni progetti elaborati da società di consulenza esterne è stata poi lasciata all’Alta direzione dell’azienda committente che ne ha snaturato alcuni passaggi.
Tra gli altri non trascurabili motivi di fallimento vi è il fatto che i c.d. “reingegnerizzatori interni” (promotori, sostenitori e agenti):
q spesso si sono fermati nella loro analisi ai confini della azienda/banca, mentre i risultati più importanti vengono dall’osservazione dell’intero flusso di valore a monte ed a valle (coinvolgendo fornitori e clienti in una logica di comakership);
q hanno spesso considerato i reparti ed il personale come nemici, utilizzando delle “teste di cuoio” (i consulenti esterni appunto) per eliminare entrambi.
Il risultato più frequente è stato la demotivazione di chi è sopravvissuto alla reingegnerizzazione ed un ritorno alla mediocrità non appena i consulenti sono andati via ed il progetto si è concluso.
Anche sulla scorta di queste prime esperienze di sistema, negli ultimi
anni una parte delle banche, ivi
compresa quella in cui ora lavoro, ha cominciato
ad analizzare le proprie attività in un’ottica di processo
acquisendo strumenti metodologici tipici di questo approccio,
fino ad acquisire l’analisi dei flussi di valore come:
q cultura di base e patrimonio non solo del top management, ma gradualmente di tutta la struttura;
q strumento interno di ottimizzazione e di miglioramento dei livelli di servizio, attraverso la costituzione di team interni interfunzionali, temporanei o permanenti, focalizzati su specifiche criticità dei vari processi aziendali di volta in volta identificate.
Vivere in una logica di processo non è facile in un ambito lavorativo come quello bancario abituato a lavorare per anni a compartimenti stagni, anche perché occorre:
q adottare un nuovo modo di essere e di lavorare, in cui ciascuna unità deve cogliere il proprio doppio ruolo, di volta in volta, di “cliente interno” e di “fornitore interno”;
q generare maggiori interazioni organizzativo - funzionali all’interno della banca;
sviluppare il concetto di “interdipendenza”.
E’ ormai dimostrato dall’esperienza, mia personale come di tutto il sistema, che il risultato desiderato si ottiene con maggiore efficienza quando tutte le risorse e le attività sono gestite come un processo; la gestione aziendale per processi, infatti, con la sua insita trasversalità, si qualifica per i minori costi ed i tempi di ciclo più brevi.
Ma se è tanto importante che l’organizzazione di una azienda veda tutto quello che viene fatto in un’ottica di processo, quali sono le peculiarità del sistema bancario che in alcuni casi hanno fatto sì che questo strumento operativo e gestionale rimanesse un semplice enunciato, rallentandone l’acquisizione e la metabolizzazione?
Caratteristiche dei servizi bancari.
Una parte del management di settore ritiene che il mondo bancario presenti
delle peculiarità tali (es. modello di business diverso
per requisiti di sicurezza e privacy, regolamentazione del
mercato, ecc.) e delle differenze, rispetto al settore industriale,
da impedire l’applicazione di approcci tipici di questo
mondo.
Nel mondo bancario, tra l’altro, il processo produttivo coincide con l’erogazione del servizio stesso. La deperibilità dei servizi, che per loro natura una volta erogati non possono essere conservati nel tempo, crea non pochi problemi alla sintonizzazione dell’offerta con una domanda sempre oscillante. La loro intangibilità, inoltre, rende difficile ogni tentativo di standardizzazione e controllo della qualità.
Il tutto è reso più complesso dalla presenza del cliente durante lo stesso processo di erogazione.
Nella realtà bancaria un fattore molto importante nell’ottimizzazione del costo del processo produttivo è costituito dal saper indirizzare il cliente, fornendo istruzioni precise e chiare che minimizzano l’assistenza post – vendita e fidelizzano il rapporto.
Il cliente bancario è particolare e richiede servizi con elevati livelli di personalizzazione; per la risoluzione dei problemi posti dal cliente solo in parte si può fare ricorso a soluzioni già adottate in passato o in altri contesti.
I servizi bancari, come accennato, a differenza dei beni prodotti dal settore industriale, sono di tipo intangibile; essendo essi non degli oggetti ma il risultato di molteplici attività è difficile accertare quali sono le fasi lavorative a cui il cliente attribuisce maggior valore.
A sostegno di questa tesi si portano i dati relativi alla diffusione, assai contenuta, soprattutto nelle piccole e medie realtà bancarie, di tool per il disegno e la gestione dei processi.
Per questa parte di management più scettica, nel settore bancario, più che i processi, assumono rilevanza le procedure organizzative, in molti casi relative a processi mandatory, imposte e già definite nei dettagli da enti/organismi superiori (Associazione Bancaria Italiana, Banca d’Italia, S.I.A., ecc.)
E ciò, in quanto tra le diverse funzioni che le banche esercitano, spicca l’attività di intermediazione creditizia, tra coloro che offrono capitali e coloro che li richiedono.
Detta funzione ha un importante contenuto economico – sociale, cristallizzato nell’art. 47 della Costituzione, per via dello stimolo alla formazione del risparmio e del suo indirizzo verso le attività produttive, favorendo così l’espansione dell’intero sistema economico.
La Banca d’Italia e la CONSOB, in prima linea, impongono adeguate procedure
organizzative ed efficaci sistemi di controllo a garanzie
dei mezzi di terzi amministrati.
Ma per riuscire a capire le ragioni degli scettici sulla possibilità di estendere “sic et simpliciter” in ambito bancario approcci di tipo industriale e di togliere il primato alle procedure organizzative, occorre subito sgomberare il campo da un grossolano equivoco: una cosa è l’organizzazione, un’altra cosa sono le sue componenti, ossia:
q i processi operativi e gestionali;
q le procedure organizzative;
q le procedure informatiche a supporto degli uni e delle altre.
Volessimo, infatti, individuare le principali componenti o variabili di un’organizzazione (trascurando volutamente la strategia, lo stile direzionale, le capacità distintive aziendali) dovremmo parlare almeno delle seguenti:
q struttura;
q sistemi, procedure e processi;
q cultura.
Spesso al riguardo viene usata la metafora dello sgabello a tre gambe:
se ne viene tolta una cade tutto.
Le procedure organizzative possono essere definite come la codificazione di mansioni, compiti e comportamenti (regole di svolgimento e sequenze) da attuare in relazione all’accadere di determinati eventi.
In altre parole, sono il metodo di svolgimento di un’operazione o di tutto o parte di un processo di business (primario e/o di supporto) finalizzato alla realizzazione di un prodotto o servizio.
Lo standard ISO 9000 stabilisce che solo le procedure scritte hanno rilevanza in azienda e fuori (ad es. nei confronti di certificatori), in quanto sono le uniche a poter essere “trasferite”, quale conoscenza esplicita.
Si tratta di regole scritte, definite in seguito ad una analisi accurata di coerenza organizzativa, la cui formalizzazione presenta i seguenti vantaggi:
q consente chiarezza di responsabilità (mediante l’attribuzione di singole attività a determinate figure e l’assegnazione di ruoli di controllo);
q agevola la conoscenza e la comprensione dei compiti;
q rende comune il patrimonio di conoscenze aziendali, in modo tale che queste non siano prerogativa di un singolo individuo, ossia dell’analista di organizzazione che le ha elaborate mentalmente.
A supporto delle procedure organizzative, nella gran parte dei casi, intervengono le procedure informatiche, idealmente collocate su un gradino più basso.
A mio modo di vedere, convinto sostenitore della necessità che l’azienda bancaria debba essere vista come un fitto intreccio di processi (il suo vero e proprio sistema circolatorio) e gestita di conseguenza, anche le procedure informatiche hanno la loro rilevanza, sopratutto in un ambito dove:
q l’operatività ed i servizi sono fortemente legati all’infrastruttura tecnologica di supporto;
q è difficile trovare aree in cui il conseguimento degli obiettivi di business prefissati non sia influenzato dalla tecnologia adottata.
Le procedure informatiche e le loro continue ottimizzazioni semplificano notevolmente i processi operativi e gestionali di una azienda, sia essa di servizi, come quella bancaria, o industriale.
Sono, inoltre, particolarmente convinto che se le procedure e la tecnologia supportano adeguatamente le persone, queste possono diventare l’elemento più facilmente combinabile e flessibile di un’azienda.
Sono, infine, dell’avviso che un impulso definitivo all’adozione in ambito bancario della nuova logica di gestione delle attività per processi, lo abbia iniziato a dare proprio lo sviluppo delle tecnologie informatiche e la rivoluzione telematica.
Nuova filosofia organizzativa nelle banche.
A mio modo di vedere, l’avvento dell’Information & Communication Technology (ICT), che ha portato ad una sempre maggiore convergenza tra informatica e telematica, ha gradualmente:
q costretto a lavorare per processi richiedendo applicazioni di “groupware” e operazioni di “groupworking” trasversali che contribuiscono ad eliminare la distanza tra le diverse funzioni e ad eliminare i noti “effetti regno” che sono inevitabili a causa della mancanza di responsabilità sugli spazi “interfunzionali”;
q abbattuto ogni vincolo spaziale e temporale tra cliente e banca (v. le varie realizzazioni di banca virtuale), costringendo questa a selezionare ed offrire servizi che il cliente, a parità di costi e prezzo, percepisce come a maggiore valore.
Pur tuttavia, la vera spinta a focalizzare l’attività quotidiana di una banca sui suoi processi interni verrà, molto a breve, da altre direzioni.
Un sistema gestionale basato sui processi è un valido punto di riferimento, metodologico e culturale, per dare risposte esaurienti e operative a quattro ordini di problemi.
1) Il primo è rappresentato dalla ricerca di modalità risolutive della crisi, in scenari di mercato sempre più dinamici, dei sistemi di controllo di gestione di tipo tradizionale, non più in grado di fornire al management le informazioni necessarie per prendere delle decisioni.
Anche in quello bancario,
sulla scorta dell’esperienza maturata in altri settori,
occorre rivedere il concetto della contabilità industriale,
secondo il quale i prodotti/servizi
consumano risorse (e costano in proporzione ad esse)
e sostituirlo con il nuovo, secondo il quale le attività
consumano risorse ed i prodotti/servizi consumano attività.
Occorre, in altre parole, implementare in azienda strumenti operativi di Activity Based Management (ABM), basati sulla gestione per processi, che utilizzano operativamente l’Activity Based Costing (ABC).
Utilizzando le metodologie
dell’ABM e dell’ABC, il controllo di gestione diventa in
grado di:
§ controllare i risultati ed i costi dei processi primari e di supporto;
§ determinare ed attribuire in modo affidabile i costi alle attività e quindi ai prodotti/servizi.
2) Il secondo problema è ravvisabile nel ruolo centrale che deve essere riconosciuto al cliente in qualsiasi strategia commerciale della banca o in qualsiasi programma di Total Quality Management (TQM) che preveda la focalizzazione di tutto il personale sulla qualità intesa come:
§ conformità delle procedure di erogazione (qualità tecnica o formale) a determinati standard internazionali (sopra tutti gli standard ISO – International Organization for Standardization);
§ soddisfazione strategica del cliente (customer satisfaction), con iniziative sistematiche a carattere organizzativo, culturale e gestionale tese, attraverso una stretta collaborazione di tutte le funzioni, al perseguimento del costante miglioramento del rapporto tra prezzo e valore per il cliente.
La gestione per processi
è la modalità operativa propria del sistema di TQM.
3) Il terzo problema è rappresentato dalla necessità, sperimentata personalmente, di dover prima assimilare logiche di processo (mappatura, scomposizione delle attività complesse in fasi lavorative più elementari, analisi delle interrelazioni, quantificazione delle unità di risorse assorbite, individuazione delle attività a basso o nessun valore aggiunto, misurazione degli output, ecc.) per poter poi applicare logiche di “cost saving” tese alla:
§ riduzione dei costi del personale;
§
ricerca di una maggiore efficienza - operativa ed economica
- della struttura organizzativa.
Se queste logiche non vengono metabolizzate da tutta la struttura, sarà difficile razionalizzare e/o ottimizzare le singole fasi lavorative o attività che di un processo, per sua natura trasversale, sono parte.
Da un’indagine condotta
dall’A.B.I. e presentata il 18 e 19 novembre dello scorso
anno nell’ambito del convegno “Costi & Business 2003”,
su un campione di 86 banche rappresentative del 50% in termini
di totale dell’attivo e di dipendenti, è emerso che nessuna
delle banche intervistate attuava l’analisi del valore ed
il controllo dei costi attraverso i processi.
4) Il quarto problema è secondo me ravvisabile nel fatto che, nella società in cui viviamo, in cui l’elemento umano è ormai fondamentale, informazione e conoscenza sono diventate fattori critici di successo.
Le gerarchie aziendali, che limitano o vincolano la circolazione dell’informazione entro canali definiti, devono giocoforza attenuarsi.
Il vecchio modello burocratico – funzionale, a fronte di un maggior coordinamento e controllo dell’intera organizzazione e di una maggiore chiarezza della gerarchia e dei ruoli:
Devono trovare più spazio nuove strutture organizzative più adatte ad agevolare la circolazione trasversale delle informazioni e l’integrazione di tali flussi nell’ambito dei processi produttivi (v. le applicazioni di GED ed i sistemi di gestione integrata della comunicazione e di Knowledge management a supporto della forza vendita e per rendere più fruibile la normativa interna).
Occorre, pertanto, giungere ad un modello di “Learning Organization”, ossia ad una organizzazione nella quale:
La “learning organization” non è altro che quella particolare forma organizzativa organica, snella, piatta e flessibile (che si contrappone logicamente all’organizzazione tayloristica), utilizzata dalle aziende per competere in ambienti in rapida evoluzione, che grazie all’attivazione di alcune particolari leve (v. Fig. n. 2), favorisce l’impegno di tutti quanti vi lavorano, a qualsiasi livello.
In altre parole, la “learning organization” costituisce la configurazione, culturalmente ed organizzativamente parlando, delle aziende in regime di TQM avanzato.
Nella mia realtà lavorativa, per quanto di dimensioni contenute, queste logiche di interdipendenza e trasversalità in alcune aree sono già ben radicate, mentre in altre cominciano appena a prendere piede, in modo ancora molto timido.
Così come, ad una analisi più attenta ed approfondita, mi pare di intravedere i primissimi nuclei del prospettato modello di “learning organization”.
Gestione
del cambiamento e strumenti di controllo organizzativo.
Promuovere una cultura organizzativa orientata all'operare per processi non è facile anche perché a mio avviso significa sviluppare una sensibilità, comune, verso la ricerca continua e sistematica di una maggiore efficienza e produttività.
Per la buona riuscita di una azione di diffusione delle nuova logica premesse importanti sono:
q una diagnosi corretta della cultura aziendale e delle eventuali disfunzioni che da questa derivano;
q una puntuale analisi almeno dei processi prioritari che caratterizzano la “mission” aziendale.
Per
la promozione di un cambiamento di
successo devono, inoltre, essere rispettate le seguenti
regole:
q
l’organizzazione a tutti i livelli deve credere che il cambiamento sia
importante per il suo futuro;
q
deve esserci una visione dell’assetto futuro, chiara, trasparente e condivisa
da tutti;
q
l’Alta Direzione deve costituire l’esempio per tutti;
q
gli ostacoli, esistenti e potenziali, devono essere identificati e rimossi;
q
devono essere previste due azioni di supporto fondamentali: formazione
e comunicazione.
Il successo di un progetto di tale portata è infatti legato alla comprensione, al coinvolgimento ed alla partecipazione indistinta di tutte le risorse umane presenti in azienda, indipendentemente dal ruolo o dalla collocazione gerarchica.
La formulazione di un chiaro e mirato piano di comunicazione alla struttura che contenga i nuovi obiettivi e le nuove modalità operative è, quindi, un passaggio necessario, della massima delicatezza.
Ma non è ancora sufficiente.
Oltre alla fase di avvio è secondo me importante presidiare e monitorare continuamente le fasi successive alla “messa a regime”.
In
altre parole, è necessario che la sensibilità verso la ricerca
continua e sistematica di tutte le possibili ottimizzazioni
dei processi interni nel tempo non diminuisca.
Per
garantirsi questo, diventa indispensabile avere un sistema
di guida manageriale in grado di:
q
controllare tutti gli strumenti organizzativi;
q
influenzare il comportamento e indirizzarlo
verso gli obiettivi prefissati.
Diventa,
quindi, necessario riconsiderare in chiave unitaria le fasi
della:
q
pianificazione strategica e programmazione
operativa;
q
organizzazione;
q
misurazione e feedback, ossia della raccolta
dei dati relativi ai risultati raggiunti e della loro restituzione
ai responsabili della varie unità interessate;
q
valutazione e ricompensa, in seguito all’interpretazione
dei risultati;
q
formazione e sviluppo del personale.
La presenza di un valido sistema di controllo organizzativo nell’ambito di una azienda dipende tuttavia dalla rilevanza che questa attribuisce al presidio dei processi interni, per il controllo dell’evoluzione delle diverse variabili organizzative e dei comportamenti, al fine di mantenere coerente nel tempo l’organizzazione con l’orientamento strategico dell’azienda.
Un valido sistema di controllo organizzativo, infatti, oltre ad assicurare che le diverse unità operino in modo coordinato e cooperino così da ottenere le risorse necessarie e la loro allocazione ottimale lungo i processi, influenza ed orienta i comportamenti individuali e collettivi:
q determinati dalle esigenze competitive;
q condizionati dal vincolo di base della limitatezza delle risorse.
Per le realtà aziendali più piccole il compito è più agevole in quanto il controllo organizzativo è concentrato nelle mani dell’Alta Direzione; nelle restanti, medio – grandi, invece, si presenta più arduo in quanto il controllo organizzativo, pur essendo sempre riconducibile a sistema, è diffuso nella struttura e non gestibile nell’ambito di una specifica unità organizzativa (sia essa la Funzione Organizzazione o la Funzione Personale).
IL
SALTO DI QUALITA’ NECESSARIO PER CREARE
LE
CONDIZIONI RICHIESTE DAL NUOVO MODELLO PROSPETTATO
|
OGGI |
DOMANI |
Modello
Organizzativo |
Gerarchico – funzionale che utilizza le procedure formali a scopo di controllo |
Più appiattita con eliminazione di
alcuni livelli di management; divisionale
per aree territoriali; basata sui valori e
la flessibilità per mobilitare le risorse |
Comunicazione |
Verticale |
Orizzontale (disponibilità delle informazioni, ricerca del feed – back) |
Processi decisionali |
Accentrati, con autorità definite e stretta supervisione |
Sulla linea operativa, con maggiore autonomia e attribuzione di poteri ai livelli adeguati (empowerment) |
Direzione del lavoro |
Rapporto Capi–Collaboratori |
Lavoro di squadra; il responsabile
di unità organizzativa deve sempre più diventare un
coordinatore |
Organizzazione
del lavoro |
A compartimenti stagni, con attenzione alle mansioni |
Più interfunzionale e partecipativa, in cui il lavoro di gruppo ed i gruppi autonomi e semi – automoni sono gli assi portanti; attenzione alle capacità ed alle competenze |
Rapporti organi di staff – organi di linea |
Indipendenza |
Partnership (consulenza, assistenza) |
Sistema incentivante |
Premi individuali |
Premi al gruppo interfunzionale sulla base di obiettivi e performances |
Carriere |
Pressoché esclusivamente verticali |
Anche orizzontali con allargamento e arricchimento delle mansioni |
Formazione
|
Più incentrata sulle conoscenze |
Vanno rafforzate le competenze manageriali quali capacità organizzativa, gestione degli uomini, lavoro di gruppo, ecc. |
Valori |
Predefiniti |
Più condivisi e interiorizzati |
Fattori culturali |
Individualismo; attenzione agli adempimenti di competenza |
Cooperazione, spirito di corpo, appartenenza; efficienza e spirito imprenditoriale |
Attitudine nei confronti del cambiamento |
Stabilità, avversione al rischio |
Anticipazione, adattamento al cambiamento, innovazione |
Figura
2