BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 03/01/2005

LA FUNZIONE ORGANIZZATIVA ED IL CONTROLLO ORGANIZZATIVO IN BANCA: RUOLO E COMPETENCY PER UNA PERFORMANCE SUPERIORE DI FRONTE ALLA SFIDA DELLA INNOVAZIONE

di Luigi Adamuccio

Il futuro non è ciò che ci viene incontro, ma ciò verso il quale noi stiamo andando

Jean Marie Guyau

Premessa

Origini dell’attività di organizzazione ed evoluzione della teoria organizzativa
Banche e mercato: lo scenario evolutivo e le nuove rotte
Le nuove professionalità degli “analisti di organizzazione” per un compiuto sistema di performance management
La realtà dei rapporti e l’apparenza delle strutture formalizzate
La nuova configurazione della Funzione Organizzazione ed il sottostante modello delle competenze 

 

Premessa

Sono ormai quindici anni che lavoro in banca e la domanda più frequente che mi viene posta da conoscenti ed amici è: “Di cosa ti occupi?”.

Sarebbe bello poter rispondere: “Faccio il Cassiere!”, oppure “Sono un Addetto commerciale!” o “Sono il Responsabile di Filiale!”.

Tutto, infatti, sarebbe più facile.

Nell’immaginario della gente, infatti, il bancario è colui che maneggia i soldi e fa quadrare i conti od il referente capace di fornire informazioni utili e tempestive in ambito economico – finanziario, anche se i recenti scandali finanziari hanno attenuato la fiducia dei clienti versobanche, banchieri ebancari.

Quando, invece, si lavora presso un ufficio centrale, la spiegazione dei propri compiti e delle proprie mansioni, soprattutto ai “non addetti ai lavori”, si complica terribilmente.

Se infatti è ancora relativamente facile, anche per la gente comune, immaginare di cosa di regola si occupi in banca uno specialista della Funzione Legale o Crediti, quando, come nel mio caso, si risponde genericamente che ci si occupa di organizzazione, la replica più scontata degli interlocutori più curiosi è: “ … e in che cosa consiste questo lavoro?”.

Allora, nel tentativo di essere sintetico e, nel contempo, il più possibile completo ed esaustivo, aggiungi che un tecnico/professional di organizzazione, quello che per semplicità viene definito un “analista di organizzazione”, in banca, come in una qualsiasi altra azienda, di norma:

  • progetta e modula strutture e sistemi operativi;
  • mappa ed analizza tutte le attività svolte in azienda e le loro interrelazioni;
  • produce la normativa interna;
  • definisce e razionalizza i vari processi di lavoro;
  • rilascia procedure informatiche;
  • svolge attività didattica a beneficio degli utenti interni.

Ed è solo allora che ti rendi realmente conto di svolgere un lavoro complesso, con compiti difficilmente definibili, dai contorni vaghi forse persino per chi rientri nel circuito dei cc.dd. “addetti ai lavori”.

Qualcosa del genere mi è capitato nuovamente di recente, ma questa volta, forse per l’esperienza frattanto maturata o per via delle sempre maggiori responsabilità gradualmenteassunte, la domanda ha immediatamente scatenato in me una serie di profonde riflessioni e, come in una sorta di gioco del domino, ha generato altre domande, portandomi, forse per la prima volta in modo non superficiale, a considerare:

  • quali solo e quali invece dovrebbero essere le aree di responsabilità di una Funzioneperché possa dirsi che in banca si occupi veramente di “Organizzazione”, prescindendo dalle scelte “tattiche” e/o “strategiche” dell’Alta Direzione;
  • quale dovrebbe essere, nella struttura e nell’organigramma aziendale, l’inquadramento, la configurazione ed il ruolo di questa Funzione Organizzazione;
  • quali dovrebbero essere le qualità indispensabili delle risorse chiamate a farne parte;
  • quali potranno essere le future evoluzioni di una figura professionale che, chiamata ad affrontare nuove sfide in un mercato sempre più globalizzato e dominato dal cambiamento, dovrà necessariamente avere delle peculiarità in grado di predirne sin da subito l’attitudine al particolare lavoro ed al successo (quella che, con termine anglosassone, viene definita la “competency”).

A questa raffica di domande, come si può intuire, non è facile trovare delle risposte immediate.

Pur tuttavia, quantunque sia alto il rischio di tediare con un inutile ed ozioso contributoche non arricchisce alcun dibatitto, sono fortemente convinto che chi ha il privilegio di vivere l’esperienza concreta di un impiego stimolante e policromo come il mio, ha nel contempo il dovere, se nutre una qualche ambizione di poter contribuire al miglioramento dello “status quo”, di valutare la situazione attuale, alla ricerca di una pratica ritenuta migliore.

L’esperienza maturata, infatti, va capitalizzata nel tentativo di formulare in modo induttivo valideosservazioni e riflessioni al fine di tirar fuori un modello, al quale fornire linfa vitale e dare sempre più forza, nella speranza che venga interiorizzato e, appena ne nascano le condizioni, tradotto operativamente, nella consapevolezza che:

  • una più chiara definizione della posizione lavorativa dell’“analista di organizzazione” avrà come conseguenza immediata una più trasparente gestione ed una maggiore motivazione del personale in servizio presso la specifica Funzione;
  • l’impostazione di un sistema di valutazione delle posizioni come quello più avanti descritto tornerà utile in fase di reclutamento, di individuazione delle necessità di formazione nell’ambito di piani di sviluppo individuale, di costruzione di adeguati percorsi di carriera.

Prima di avviare un minimo di analisi occorre, però, effettuare un indispensabile chiarimento terminologico.

Il termine “competency” è qui inteso come attitudine o propensione e non solo come competenza nel senso più comune, ossia come esperienza, autorità per svolgere determinate funzioni, frutto delle conoscenze teoriche e pratiche (derivanti dal titolo di studio, dalla cultura generale e dall’ esperienza lavorativa), combinate con capacità concettuali di problem solving e comportamentali di decision making.

L’aspetto più criticato di questo approccio è il prendere a modello prestazioni vincenti avvenute nel passato per definire modelli eccellenti per il futuro.

Ciò nonostante,mi pare che il metodo, se opportunamente corretto con un minimo di analisi prospettica, rappresenti una buona base di partenza, una volta definito di cosa dovrebbeoccuparsi una Funzione Organizzazione, per individuare quali caratteristiche personali sono associabili al successo nella mansione.

Peraltro, a sostegno di questa tesi è sufficiente utilizzare l’abusata metafora del tacchino e dello scoiattolo: “se l’obiettivo è raggiungere il ramo più alto, si può anche insegnare al tacchino come arrampicarsi sull’albero, ma si impiegano di sicuro meno risorse se si utilizza uno scoiattolo, non necessariamente il migliore sul mercato ma il più agile tra quelli disponibili nel proprio parco”.

Pertanto, sulla base di queste premesse, dopo un breve accenno generale introduttivo all’evoluzione teorico-pratica dei fenomeni organizzativi in senso lato, verranno messi in evidenza i prevedibili mutamenti nel contesto competitivo in cui le banche dovranno muoversi nei prossimi anni.

In tale prospettiva, passeremo alla definizione dei compiti da attribuire e, esplorando aspetti scarsamente investigati in precedenza, individueremo le leve di cui la Funzione Organizzazione dovrebbe disporreal di là del velo degli apparenti ordinamenti generali della forza lavoro e degli organigrammi, fino a selezionare le nuove professionalità richieste e le caratteristiche ideali che le forze personali destinabili ad una tale specifica area funzionale dovrebbero avere.

Origini dell’attività di organizzazione ed evoluzione della teoria organizzativa

Quella organizzativa è una componente estremamente complessa che permea tutta la vita aziendale, interessando la disposizione più efficiente delle risorse umane e tecniche necessarie alla funzionalità dell’azienda.

Autorità di primo piano nel campo degli studi manageriali si sono spinte indietro nel tempo fino a trovare i primi chiari riferimenti all’attività di organizzazione e di progettazione organizzativa nella Bibbia, nell’Esodo, laddove Jethro, il suocero di Mosè, osservando il genero costantementeassorbito nell’attività di ascoltoe di risoluzione dei vari problemi del popolo di Israele, propose di individuare un rappresentante ogni mille persone, ogni cento, ogni cinquanta e ogni dieci con il potere di decidere in vece di Mosè sugli argomenti di minore importanza, riportando direttamente a lui ogni decisione significativa.

Questo salto nel passato è per certi versi divertente ma sicuramente interessante, perché ci fa capire come l’uomo, sin dalla notte dei tempi, si occupi, più o meno consapevolmente, di organizzazione.

Dal lato dottrinale, studiosi appartenenti a discipline diverse (ragioneria, economia, sociologia, psicologia, statistica, ecc.) hanno nel tempo alimentato la teoria organizzativa con saggi critici ed una feconda letteratura manageriale.

Detti studiosi, tuttavia, hanno analizzato i fenomeni organizzativi con gli approcci e gli schemi concettuali tipici delle discipline di provenienza e, quindi, con la scontata parzialità.

Nel nostro paese tale situazione è stata ulteriormente aggravata da una tradizionale assenza di studi organizzativi nelle Università, che solo in parte mi risulta gli aziendalisti italiani abbiano colmato in questi ultimi tre lustri, ossia da quando ho smesso gli abiti dello studenteper tuffarmi nel modo finanziario delle assicurazioni prima e del credito poi.

Sulla base dalla mia personale storia professionale, quale dato di esperienza organizzativa concreta, ormai più che decennale ma pur sempre relativa, posso affermare di aver partecipato a diversi seminari focalizzati su questa specifica area aziendale e letto innumerevoli testi e monografie sulle strategie di adattamento organizzativo e di mutamento che un processo di continuo cambiamento comporta nel sottosistema umano, senza riscontrare alcunché al riguardo che non si fermasse alla semplice astratta teoria.

Nella pratica quotidiana, poi, vittime della viscosità della routine gli operatori organizzativi hanno poco tempo per riflettere compiutamente sugli obiettivi di lungo termine e su adattamenti strutturali impegnativi e dall’esito molto incerto, finendo per lavorare più comodamente, ma in modo miope, con quello di cui si dispone al momento.

Eppure, la Funzione Organizzazione, da sempre potremmo dire, costituisce una delle più importanti aree complementari del top management, tanto da aver subito una serie incessante di spinte innovative – sia di carattere operativo che gestionale – che negli anni hanno concorso a ridefinirne struttura e ruolo.

La scarsa chiarezza sulla parte che l’“Organizzazione” dovrebbe recitare come area funzionale nella complessa gestione di un’impresa è, a mio avviso, in gran parte ascrivibile:

  • all’evoluzione, con contorni e contenuti incerti, degli studi in materia di organizzazione aziendale;
  • a top managers, decion – makers ed uomini di azienda in posizioni-chiave che, a causa della loro formazione, mantengono una visione parziale delle attività che concorrono ad un processo di produzione e ben difficilmente mettono in discussione la loro visione, tradizionale, della Funzione che dovrebbe coordinarle compiutamente.

Fino a che ai fenomeni organizzativi non verrà dedicata la necessaria attenzione, utilizzandoconoscenze e approcci tipici di più discipline, l’incertezza si rifletterà sia sull’inquadramento e sulla configurazione della Funzione Organizzazione che sulla professionalità dei suoi “analisti”.

Anche nella quotidiana pratica operativa, paradossalmente, di organizzazione si occupano, nella gran parte delle aziende di tutto il mondo, tante figure a diversi livelli, più o meno elevati: a seconda delle dimensioni e della tipologia di azienda, ad occuparsi di tale materia sono direttamente i vertici aziendali, personale con le estrazioni più disparate e, di tanto in tanto, anche consulenti esterni.

Solo in pochi casi, chi si occupa di “Organizzazione” ha maturato e coltivato una sufficiente sensibilità verso problematiche di organizzazione che permetta loro di agire sia sugli aspetti “hard” che su quelli “soft” che più coinvolgono e motivano il personale, per ottenerne il consenso in vista del perseguimento di comuni obiettivi economico – finanziari.

Banche e mercato: lo scenario evolutivo e le nuove rotte

Staticità e scarsa reattività ai mutamenti dell’ambiente esterno, trasformatasi poi in scarsa propensione all’innovazione, hanno caratterizzato per moltissimi anni il sistema bancario italiano.

Oggi, però, il contesto è profondamente cambiato.

In uno scenario complesso e dinamico ed in un mercato caratterizzato da una concorrenza sempre più spinta e da un crescente tasso di innovazione tecnologica:

  • il cliente ha ormai un ruolo sempre più attivo;
  • le capacità distintive, che fanno la differenza nel confronto con i competitors, sono assurte a leva fondamentale di successo per rispondere all’evoluzione della domanda dei consumatori.

Nonostante ciò, gran parte delle banche continuano ad avere tempi di reazione non in linea con l’evoluzione del mercato.

Per recuperare efficienza e redditività, il sistema bancario da tempo ha intrapreso azioni di razionalizzazione, le quali però da sole potrebbero risultare non sufficienti se non accompagnate dall’utilizzo di idee nuove e conoscenze in grado di soddisfare bisogni di mercato già esistenti o futuri.

Come messo in evidenza in un workshop organizzato qualche mese fa dal Centro di tecnologie informatiche e finanziarie (CETIF) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, mentre in un recente passato le organizzazioni in ambito bancario miravano ed una riduzione dei costi attraverso l’automatizzazione dei processi ed oggi si assiste alla reingegnerizzazione degli stessi per aumentare la produttività, in un futuro molto prossimo, per creare valore nel medio – lungo periodo, sarà indispensabile imboccare la strada dell’innovazione (tecnologica, di processo, di canale, di prodotto/servizio).

In questa direzione, la continua evoluzione della tecnologia finalizzata al miglioramento delle performance aziendali deve procedere parallelamente alla necessità delle organizzazioni di strutturare la conoscenza per non perdere preziose informazioni.

La formalizzazione della conoscenza, come dimostrato da un numero crescente di banche, deve avvenire attraverso la mappatura dei processi e la regolamentazione delle procedure organizzative.

Mappare i processi e regolamentare le procedure, infatti, significa:

  • poter descrivere il proprio sistema organizzativo e mettere tutto il personale in grado di conoscere il proprio modo di operare;
  • mettere tutta la banca (unità centrali e periferiche) in grado di rispondere ad una serie di vincoli normativi in materia di governo dei rischi operativi;
  • misurare le performance delle diverse aree aziendali per essere in grado di migliorarle, recuperando efficienza e sviluppando una migliore profilatura degli utenti.

L’arma vincente dell’innovazione e della formalizzazione delle conoscenze richiede alle banche lo sviluppo al loro interno di:

  • una nuova filosofia gestionale;
  • un nuovo approccio al cliente;
  • nuove competenze.

La nuova attenzione alle strategie relazionali (tese a vincolare la clientela alla struttura dell’offerta), ha comportato dei pesanti adeguamenti gestionali, quali:

  • l’implementazionedi sistemi di CRM (in grado di trasformare il bagaglio di informazioni che si hanno sull’operatività dei clienti in reale conoscenza dei loro bisogni);
  • lo sviluppo di una multicanalità integrata (per abbassare i costi di distribuzione e per liberare risorse da destinare ad attività a maggior valore aggiunto quali la consulenza);
  • l’adeguamento strutturale alle direttive di PattiChari (in vista di una prima certificazioneistituzionale della qualità a livello di sistema).

Basta pensare a queste tre sole modifiche per capire gli impatti che una più efficace personalizzazione dell’offerta avrà a livello di:

  • numero di processi con impatto sulla clientela da rivisitare;
  • tempo e risorse da impiegare per revisionare le tante procedure di Filiale a supporto.

Inoltre, sebbene al momento lo sportello tradizionale rimanga ancora il canale principale, perché più utilizzato e redditizio, nel prossimo futuro una serie di fattori, quali:

  • lo sviluppo della banda larga, con incremento in modo sensibile dell’utilizzo di retiinnovative;
  • un sempre più spinto “down-rightsizing”, con la trasformazione delle succursali in veri e propri punti vendita “lean”, cuiaffiancare figure mobili vecchie e nuove,

potrebbero coerentemente richiedere a livello centrale la costituzione di una adeguata Funzione Organizzazione, che si qualifichi per:

  • l’unitarietà di indirizzo;
  • la disponibilità nel proprio ambito di risorse umane costantemente impegnate nell’identificazione e nella soluzione di problemi per certi versi assolutamente nuovi;
  • la spinta all’incremento delle conoscenze, alla ricerca del miglioramento in maniera continua ed alla sperimentazione libera da “vincoli” provenienti dall’alto.

In altre parole, un’applicazione pratica di quella teorizzata “Agile organization”, ossia di quel nuovo e più recente modello post-fordista di organizzazione flessibile, basato sulle “core competence”, sull’uso intenso dell’IT e su un’alta versatilità della forza lavoro.

Le nuove professionalità degli “analisti di organizzazione” per un compiuto sistema di performance management

Considerate le accennate caratteristiche del sistema di riferimento italiano sino ad un paio di decenni fa (regime protetto e scarsamente concorrenziale per via delle diverse forme di intervento da parte delle autorità centrali), non meraviglia il fatto che ad oggi, dopo un processo di ristrutturazione e di riallocazione proprietaria di notevole ampiezza, non tutte le banche siano ancora riuscite a mettere in atto strategie, strutture e sistemi in grado di fronteggiare adeguatamente le nuove tendenze del mercato.

La crescente complessità dell’attività, la gestione sempre più orientata all’esterno nel tentativo di moltiplicare le opportunità di affari, i nuovi scenari di rischio, la normativa sempre più articolata e stringente sia nazionale che sovranazionale (es. D. Lgs. N. 231/01, Basilea 2), hanno messo in evidenza l’esigenza per le banche, partendo dalla identificazione dei processi aziendali critici, di:

  • definire per ciascuno di essi misure tecnico - organizzative e di “performance management” commisurate ai livelli di rischio ed alle attese del mercato di riferimento;
  • verificare costantemente la conformità e l’adeguatezza dei propri regolamenti e del proprio sistema deicontrolli interni.

Realizzare ciò non è semplice se non si dispone di competenze specifiche e consolidate, indispensabili se si vuole nutrire un minimo di speranza di restare sul mercato.

La maggiore attenzione alle esigenze della clientela (anche non dichiarate, non espresse) dovrebbe portare le banche a focalizzare la loro attenzione sull’intreccio di attività trasversali (i processi aziendali) e sulla valorizzazione delle attitudini degli “analisti di organizzazione”, ai quali affidarne il presidio ed il governo compiuto mediante sistemi di performance management.

Infatti, in un sistema ormai caratterizzato dalla scarsità di risorse, il costante monitoraggio delle prestazioni, mediante degli indicatori in grado di misurare sia i risultati di tipo economico – finanziario che più intangibili, è divenuto un fattore chiave per assicurare l’efficace realizzazione della strategia d’impresa.

La valorizzazione delle attitudini e l’utilizzo mirato degli “analisti di organizzazione”, così come di tutte le risorse in genere, fino a pochi anni fa fatti quasi esclusivamente per alimentare i circuiti di potere all’interno della struttura, oggi cominciano ad essere affrontati in maniera meno “artigianale” ed “approssimativa”.

La valutazione delle prestazioni ha smesso di essere solo un’incombenza per assolvere alle note di qualifica per diventare, in maniera più o meno diffusa, uno strumento di pianificazione dei sentieri di carriera, suddividendo il personale e destinandolo ad incarichi diversi secondo le sue effettive capacità potenziali ed attitudinali (metafora del tacchino e dello scoiattolo).

Poiché in imprese “labour intensive” come le banche, le persone rappresentano la risorsa primaria, l’asset intangibile, la parte più preziosa del capitale d’impresa, il motoreper raggiungere gli obiettivi di business fissati dall’Alta Direzione, questa ha compreso il ruolo sempre più strategico che va assumendo la sperimentazione di ogni possibile strumento disponibile per ottenere il massimo dal proprio personale.

E ciò, anche a costo di consistenti sacrifici economici e qualche “effetto collaterale”, quale la perdita di margini di potere, la delega forzata di autorità e la minore distanza e chiarezza nei livelli gerarchici.

Gli “analisti di organizzazione” del sistema bancario, sulla scorta di quanto da tempo già avvenuto nel settore industriale, devono sempre più:

  • trasformarsi da ingegneri di processo ad agenti di “continuous improvement” (miglioramento continuo) secondo logiche gestionali e approcci di “process managemernt” (kaizen, CPI e TQM);
  • fornire soluzioni che creino valore aggiunto (in termini di margini di contribuzione relativi più elevati) e assicurino eccellenza operativa (secondo logiche di “cost saving”);
  • essere in grado di comprendere il mercato, seguirne le evoluzioni di business, anticiparne le esigenze;
  • sviluppare la gamma di nuovi servizi da offrire alla clientela per rispondere ai “business need”, mediante una preventiva analisi dei costi – benefici, sfruttando a pieno le potenzialità offerte dalla tecnologia e creando interazioni tra i soggetti coinvolti in una logica di “value chain” (ossiaintegrando le fasi lavorative in una logica di processo).

Per essere più chiari, potremmo sintetizzare il salto di qualità richiesto dai punti 1 e 2 nello slogan a me tanto caro: “dall’Organizzazione che esegue all’Organizzazione che apprende e propone” e quello richiesto dai punti 3 e 4 nello slogan: “più Marketing in Organizzazione”.

Questa vera e propria conversione, che non potrà che essere graduale, pone l’esigenza di pensare quanto prima, per non accumulare fatali ritardi rispetto ai concorrenti più diretti, ad una nuova e diversa Funzione Organizzazione e ad un nuovo ruolo degli “analisti” che professionalmente sono chiamati a farne parte.

Un corretto inquadramento ed un più chiaro ruolo della Funzione Organizzazione rappresentano le leve indispensabili per garantire, attraverso la precisa definizione di compiti, obiettivi e metodi di lavoro, la traduzione stabile della strategia in coerenti, equilibrate ed armoniche attività.

Ma il collegamento tra compiti da svolgere e professionalità da mobilitare per avere una performance superiore della Funzione deve necessariamente risultare da un’analisi preliminare tesa a valutare le aree di responsabilità da attribuire ed i requisiti minimi richiesti per portarle a termine con successo.

Così come, per identificare le forme di comportamento sul lavoro più adatte alla nuova cultura imposta dal mercato, non si può prescindere dalla implementazione di un sistema in grado di:

  • analizzare una posizione di lavoro delicata e variegata come quella di “analista di organizzazione”, con i suoi compiti e le sue mansioni;
  • individuare gli attributi che occorre possedere per interpretarla al meglio.

Nelle prossime pagine, quindi, verrà proposto per la Funzione Organizzazione un modello innovativo e nel contempo sufficientemente elastico (in modo da non ingessare eccessivamente il sistema operativo e gestionale della banca) basato sulle seguenti premesse generali:

  • in un mercato sempre più variabile ed esigente, requisiti essenziali di un “analista di organizzazione” devono giocoforza essere specializzazione e competenza, ma anche duttilità e flessibilità;
  • in un ambiente economico sempre più dinamico, le prestazioni potranno essere adeguate solo se l’“analista di organizzazione” è in possesso di capacità di analisi e di tempestiva reazione.

La realtà dei rapporti e l’apparenza delle strutture formalizzate

Il successo o il fallimento di un’azienda è spesso attributo alla sua cultura. Società come Johnson & Jonhson e 3M sono state lodate per la loro cultura innovativa; società come la Kodak e la Kellog, tanto per continuare a citare aziende rinomate, hanno fatto del cambiamento di cultura la loro vera chiave del successo.

La cultura è l’insieme di valori, conoscenze, modi di pensare che sono condivisi dai membri di un’azienda, a tutti i livelli, e che vengono “insegnati” ai nuovi membri come esemplari.

Della cultura aziendale, tuttavia, esistono due livelli: quello “hard”, ossia visibile (simboli osservabili, slogan, comportamenti, arredamento, abbigliamento, ecc.) e quello più profondo, più radicato, ossia “soft” (processi mentali, valori fondamentali, orientamenti del vertice non comunicati alla struttura, assunti taciti e condivisi e per questo più difficili da sdradicare).

Questo secondo livello, meno superficiale, di più difficile individuazione, rappresenta la vera cultura e spesso accade che la struttura aziendale, con il suoraggruppamento funzionale o divisionale, con le sue apparenti aree di responsabilità sia solo un velo al di là del quale la realtà dei rapporti è ben diversa, segnando una netta distanza tra valori dichiarati e valori reali.

Accede, quindi, spesso che all’interno delle aziende e nel loro organigramma esista una ben individuabile Funzione deputata, almeno apparentemente, ad occuparsi di “Organizzazione”, dalle denominazioni piùdisparate (Organizzazione, Organizzazione & Sviluppo Organizzativo, Organizzazione & Personale, Organizzazione Sistemi & Tecnologie, Sistemi & Servizi Organizzativi, Procedure & Sviluppo, Studi & Organizzazione, Risorse), con compiti e aree di responsabilità solo in piccola parte sovrapponibili (come quando si confonde l’“Organizzazione” con una delle sue tante componenti o variabili e, abusando del termine, viene attribuita la denominazione di Funzione Organizzazione ad una unità che invece si occupa solo di sistemi informativi).

L’identificazione e la confusione delle attività di “Organizzazione” con quelle dei vecchi CED (Centri Elaborazione Dati) è, in effetti, retaggio dei periodi passati:

  • caratterizzati da ambienti a bassa incertezza in cui era possibile sopravvivere con strategie difensive, di lento adattamento caso per caso;
  • in cui, senza alcuna precisa strategia, venivano intraprese le più diverse azioni, semplicemente perché sembravano rispondere alle necessità del momento;
  • in cui, in seguito al boom dell’automazione, si dava rilevanza alle applicazioni informatiche più che alla progettazione organizzativa.

Nessuno sottovaluta la rilevanza delle procedure informatiche in azienda: l’operatività ed i servizi sono fortemente legati all’infrastruttura tecnologica di supporto; è difficile trovare aree in cui il conseguimento degli obiettivi di business prefissati non sia influenzato dalla tecnologia adottata; le procedure informatiche e le loro continue ottimizzazioni semplificano notevolmente i processi operativi e gestionali di una azienda; le procedure e la tecnologia, se utilizzate per supportare adeguatamente le persone, rendono queste ultime l’elemento più facilmente combinabile e flessibile di un’azienda.

Pur tuttavia, le procedure informatiche non esauriscono l’ampio concetto di “Organizzazione” ma rappresentano solo:

  • una leva da porre nelle mani degli “analisti di organizzazione”;
  • uno strumento di applicazione delle scelte e delle decisioni aziendali, talvolta vincolate da norme di legge e regolamentari, e non di guida e condizionamento (anche se la sempre più diffusa e spinta esternalizzazione dei sistemi informativi rende particolarmente problematica l’applicazione pratica di questo principio e sono le strutture ed i processi a doversi adeguare alle procedure informatiche).

Il vero problema è che, soprattutto nelle aziende di dimensioni più piccole e con una cultura più accentratrice e conservatrice, la Funzione preposta ad occuparsi di problematiche organizzative solo fittiziamente e nominalmente faceva e, purtroppo, continua ancora a fare“Organizzazione” nel senso pieno e vero della parola, mentre nella realtà l’”Organizzazione” edil “Controllo organizzativo” sono ben stretti nella mani dell’Alta Direzione.

In questi casi la Funzione Organizzazione, quasi sempre in linea, ha compiti prevalentemente operativi ed esecutivi.

Per chiarire sin dall’inizio il senso di quello che da qui in avanti verrà detto, dobbiamo necessariamente partire da un assunto: in banca, come in qualsiasi altra impresa, esistono tre livelli:

  • un primo livello strategico;
  • un secondo livello organizzativo;
  • un terzo livello operativo.

Il riconoscimento nei fatti alla Funzione Organizzazione del secondo piuttosto che del terzo livello, dipende molto dalla qualità delle persone ivi impiegate, dalle dimensioni dell’azienda, dalla struttura organizzativa esistente, dalla strategia e dai fini prevalenti di ciascuna banca, dalle condizioni ambientali e, non da ultimo, dalle esperienze passate del Top management e dalla cultura/volontà dell’Alta Direzione, che in una sorta di spirale autoreferenziale trova più naturale cristallizzare le scelte passate, piuttosto che ricercare nuovi faticosi equilibri e correre i rischi che un cambiamento radicale porta con sé.

Inoltre, il riconoscimento del secondo livello (quello organizzativo) in luogo del terzo (operativo) alla Funzione di cui si tratta, per via della contiguità con il primo livello (la sfera strategica propria dell’Alta Direzione), crea problemi di sovrapposizione, ingerenza e contaminazione, che possono comunque essere facilmente superati se si definisce chiaramente ed una volta per tutte chi ha il dovere di proporre di volta in volta gli strumenti organizzativi più adeguati e chi il potere di elaborare il piano industriale, di fissare obiettivi a medio – lungo termine e prendere le decisioni.

Compito specifico dell’Alta Direzione, infatti, non è quello di definire gli strumenti organizzativi da adottare ma di formulare la strategia e creare le condizioni affinché:

  • il sistema aziendale si adatti all’ambiente mediante la pianificazione e l’aggiornamento delle scelte strategichenelle diverse situazioni competitive;
  • sia ben conosciuta e condivisa la “mission” e la “vision” aziendale, dalla quale la Funzione Organizzazione deve ricavare in modo coerente la “vision” dei processi prioritari, da porre in essere per l’attuazione della strategia;
  • il personale sia sempre a conoscenza e condivida le strategie impostate, per poterle correttamente tradurre operativamente;
  • le risorse siano distribuite in modo ottimale tra le varie unità operative (direzione economica unitaria).

Tra il livello strategico e quello operativo deve, pertanto, necessariamente esserci un livello intermedio, ben individuato e distinto, al quale l’Alta Direzione, per non essere distratta dai suoi compiti istituzionali, deve demandare il coordinamento deiseguenti sottosistemi (componenti e/o variabili organizzative – v. figura n. 1):

  • struttura;
  • gestione o operatività (processi e procedure);
  • risorse umane;
  • tecnologia.

Il sottosistema della struttura si realizza mediante la scelta di precise modalità di aggregazione o di differenziazione delle funzioni, ossia dello schema più adatto - in considerazione dell’ambiente, delle strategie di sviluppo e dello stato delle tecnologie - entro il quale dovrà estrinsecarsi il sottosistema della gestione o dell’operatività.

Il sottosistema della gestione o dell’operatività viene coordinato grazie al governo deiprocessi operativi e gestionali e la definizione delle procedure di guida e controllo delle attività coordinate.

I sottosistemi umano e della tecnologia servono per rendere operativa la struttura e, nell’ambito dell’ordinamento generale delle forze personali, per svolgere le previste attività secondo criteri armonici, di trasversalità e interdipendenza e metodologie sempre più efficienti.

Nel sistema aziendale, dunque, al livello organizzativo deve essere riconosciuta, senza alcuna ambiguità, una posizione centrale, di snodo tra la strategia e l’operatività, soprattutto in considerazione della constatazione che un business in costante evoluzione, per garantire il successo, esige specializzazione continua (che può essere garantita solo da risorse focalizzate sui compiti di analisi e diagnosi organizzativa) e tollera sempre meno errori.

Peraltro, un’Alta Direzione continuamente assorbita e distratta da problematiche di livello organizzativo finirebbe per svolgere male anche i propri compiti.

Dunque, perché una Funzione Organizzazione possa qualificarsi tale deve avere il governo unificato dei quattro accennati sottosistemi, ossia di tutte le componenti in grado di influenzare il comportamento e di indirizzarlo verso gli obiettivi fissati dall’Allta Direzione nelpiano strategico.

In altri termini alla Funzione in parola spetta il c.d. “Controllo organizzativo”, ossia quella particolare guida manageriale in grado di:

  • condurre entro uno schema unificato tutti gli “strumenti organizzativi”;
  • riconsiderare in chiave unitaria le fasi della programmazione operativa e, in stretto accordo con la Funzione Pianificazione & Controllo e con l’area commerciale, le fasi di valutazione e ricompensa delle risorse, in seguito all’interpretazione dei risultati raggiunti;
  • orientare maggiormente la banca alla flessibilità, all’efficacia (ovvero al cliente), alla responsabilizzazione delle risorse umane (empowrement) ed alla competitività.

In genere, invece, alla Funzione Organizzazione viene affidata la sola guida manageriale della tecnologia e la definizione deiprocessioperativi e gestionali; di questi ultimi quasi mai si giunge al loro governo in senso stretto, ossia al controllo, alla misurazione, al monitoraggio ed al miglioramento continuo (v. figura n. 2) secondo un vero e proprio sistema di gestione della qualità (che ha appena cominciato a muovere i primi passi nel settore bancario).

Il livello operativo, quello più diffusamente riconosciuto nella pratica, non è però il più adatto alla Funzione Organizzativa,che in tal modo resta prigioniera della viscosità della routine (per avere un’idea della diffusione di questo fenomeno distorsivo basterebbe effettuare un’indagine a livello di sistema, soprattutto tra le banche di medie e piccole dimensioni, dove in alcuni casi risulta addirittura assente nella struttura una unità, benché minima, chiamata ad occuparsi in modo organico almeno di processi e procedure).

C’è un metodo molto veloce e pratico per individuare, nell’ambito di cui si tratta (“Organizzazione” e “Controllo organizzativo”), eventuali differenze tra valori dichiarati e valori reali: alla Funzione Organizzazione viene riconosciuto semplicemente un ruolo operativo se la Funzione si occupa prevalentemente di processi e procedure (informatiche ed organizzative); se la Funzione Organizzazione, invece, si occupa anche di:

  • architettura aziendale, macro – strutture, meta-modelli e organigrammi (flessibilità strutturale);
  • sviluppo organizzativo e gestione e sviluppo delle risorse umane,

leviene riconosciuto il ruolo naturale, di cinghia di trasmissione delle strategie dal primo livello al livello operativo.

In questi casi, la Funzione Organizzazione ed il “Controllo organizzativo” (non i processi e meno che meno le procedure informatiche) hanno il ruolo organizzativo che compete loro.

Se all’“Organizzazione” viene riconosciuto un ruolo semplicemente operativo, come è nella gran parte dei casi soprattutto nelle piccole realtà, c’è evidentemente una incoerenza di base, un disegno preordinato volto a creare l’apparenza di un inesistente potere decisionale diffuso o, nella peggiore delle ipotesi, la precisa volontà di sottrarre la gestione delle risorse umane ad una Funzione che altrimenti assumerebbe un ruolo sempre più scomodo.

C’è un metodo infallibile per capire subito chi si occupa di “Controllo organizzativo” in banca, indipendentemente dagli organigrammi e dai valori dichiarati: se la Funzione Organizzazione è in linea, il “Controllo organizzativo” come sopra definito è ben stretto nelle mani dell’Alta Direzione in una sorta di spirale dell’autoreferenzialità (in parte condiviso più o meno fittiziamente con il Personale o la P & C); se la Funzione Organizzazione è in staff, venendoriconosciuto alle sue risorse quell’innegabile ruolo di consulente specializzato, viene messa nella condizioni ottimaliper guidare e gestire, dandogli unitarietà di indirizzo, il “Controllo organizzativo”.

La tipologia di aree di responsabilità assegnatele e la sua collocazione in linea o in staff fanno capire l’importanza ed il livello (organizzativo od operativo) assegnato alla FunzioneOrganizzazione e, quindi, la maggiore autonomia od il maggiore decentramento vigente in una determinata azienda. 

La nuova configurazione della Funzione Organizzazione ed il sottostante modello delle competenze

La strategia è il più importante fattore che influisce sulla progettazione organizzativa, ma la struttura di un’azienda è il risultato di numerose circostanze.

L’enfasi posta dall’Alta Direzione sulla stabilità ed il controllo piuttosto che sull’innovazione e la flessibilità, così come la dimensione, il luogo in cui un’attività viene svolta, le condizioni esterne e la tecnologia sono altri fattori contingenti che influenzano la struttura organizzativa di quel particolare sistema dinamico e aperto, l’azienda, che acquista input dall’ambiente (persone e risorse), li trasforma e li restituisce allo stesso ambiente sotto forma di output (prodotti e servizi).

La struttura organizzativa di un’azienda, dunque, altro non è che il risultato di una scelta, sempre modificabile, effettuata in un determinato momento, in un determinatoluogo, da un determinato management sulla base delle condizioni in cui l’azienda si trovava ad operare, al mercato di riferimento, al tipo di prodotto/servizio offerto, alla maggiore o minore differenziazione e – non da ultimo – al tipo ed alla complessità dei processi produttivi ivi esistenti.

In estrema sintesi, potremmo dire che la realizzazione di una particolare struttura in luogo di un’altra è una questione legata alla sopravvivenza della stessa azienda.

La crescente complessità gestionale che le banche stanno vivendo in questi anni rende, in molti casi, sempre più palese l’assenza al loro interno di una funzione forte in grado di coordinare in modo ordinato il livello operativo orientandolo verso un comune obiettivo, con frequenti ed enormi difficoltà nel “mettere insieme” le diverseparti e nell’armonizzare e sincronizzare gli sforzi di organi che spesso lavorano in modo strettamente “settoriale”, senza una chiara consapevolezza delle esigenze del sistema in cui sono inseriti.

Diventa, pertanto, necessario un sensibile cambiamento nel tipo, nella modalità e nei tempi di risposta dell’organizzazione aziendale modificando l’interdipendenza esistente tra le diverse unità.

Nel tentativo di dare soluzione a taluni problemi, stante il ritardo delle banche da quella particolare modalità gestionale, individuata nel cosiddetto “Management by processes” (che porta ad una struttura organizzativa basata sulla gestione per processi), ossia da quel particolare sistema gestionale e di miglioramento continuo che:

  • opera “interfunzionalmente”, sommandosi alla tradizionale “gestione per funzioni”;
  • ha il suo punto di arrivo nel “Cross Functional Management”, destinato al presidio, alla gestione ed al miglioramento continuo dei fattori di business che interessano trasversalmente diverse funzioni aziendali,

occorre quanto meno mettere mano al loro organigramma.

In tal modo si salvaguarda il più possibile la struttura esistente ma, nel contempo, perrispondere alle esigenze di adattamento che la realizzazione degli obiettivi ed i vincoli interni ed esterni determinano, la si rimodula e la si adegua:

  • all’ambiente;
  • alle strategie di sviluppo;
  • allo stato delle tecnologie.

Ma per passare al vero e proprio momento progettuale del sistema organizzativo, ovvero alla definizione del nuovo schema entro il quale la gestione delle attività dovrebbe estrinsecarsi, occorre sgomberare definitivamente il campo da ogni equivoco sul concetto di “Organizzazione”, diffusamenteintesa, in modo troppo restrittivo, semplicemente come area aziendale dedita al rilascio di procedure automatizzate ed alla analisi dei nuovi processi di lavoro ed alla loro regolamentazione con apposita normativa interna (le cc.dd. procedure organizzative).

Abbiamo visto come di “Organizzazione” in banca devono occuparsi esperti in staff, che assistano e consiglino l’Alta Direzione e, nel contempo, in forza della loro competenza specialistica, esercitino autorità sulle Funzioni in linea.

Accorpare tutte le attività di “Organizzazione” in un’unica funzione in “staff” (che potrebbe denominarsi “Controllo e Sviluppo Organizzativo”), significa mettere in grado una fondamentale area aziendale di produrre servizi di supporto all’attività delle funzioni in “line”:

  • assorbendo in sé l’eventuale funzionein “line” responsabile, nella gran parte dei casi, di soli processi e sole procedure;
  • rispondendo dunque alla logica del cliente interno.

Inoltre, secondo il concetto qui introdotto di “Controllo organizzativo”, non vanno sottovalutati glievidenti legami esistenti tra i risultati individuali e quelli dell’azienda nel suo complesso e tra questi ultimi ed i meccanismi di incentivazione simbolici, retributivi e di carriera.

La Funzione Organizzazione, dunque, deve altresì guardare con sempre maggiore interesse allo studio della motivazione al lavoro: l’analisi del sistema organizzativo non può limitarsi agli aspetti strutturali, tecnologicie gestionali; per una compiuta diagnosi di tale sistema è necessario analizzare in modo unitario anche le determinanti del comportamento.

La stessa analisi dei meccanismi operativi (trasversali ed interfunzionali) non può essere condotta con efficacia se si trascurano i meccanismi motivazionali attraverso i quali si attuano iprocessi operativi.

Appare pertanto sempre più evidente come il processo di avvicinamento alla nuova ideale configurazione della Funzione Organizzazione debba andare di pari passo con la crescente tendenza verso l’empowerment dei dipendenti dell’intera azienda, con l’obiettivo di distribuire e condividere il potere all’interno dell’organizzazione.

Tale concetto consiste nel dare ai dipendenti del livello operativo ma soprattutto organizzativo il potere, la libertà e le informazioni per prendere decisioni e partecipare pienamente alla vita aziendale. 

In un ambiente caratterizzato da un’intensa competizione globale e da nuove tecnologie, sempre più top managers sono dell’avviso che delegare faciliti la velocità, la flessibilità e la capacità decisionale.

In altre parole, chi ha le leve del comando deve:

  • essere più partecipativo, più orientato al consenso e alla comunicazione;
  • attribuire meno valore a comportamenti autoritari, autocratici o imperativi.

La tendenza è chiaramente quella di far uscire il potere dagli uffici dell’Alta Direzione e metterlo nelle mani delle Funzioni aziendali fondamentali, di dotarsi di soluzioni organizzative e strumenti gestionali che:

  • consentano di migliorare le prestazioni interne ed i rapporti con i diversi stakeholders attenti ai risultati dell’azienda (azionisti, clienti , fornitori, ecc.);
  • diano pari importanza alla creatività ed all’efficienza.

Ricapitolando, dunque, in un tale contesto, alla Funzione Organizzazione, nel suo nuovo inquadramento (v. “organization chart” di cui alla figura n. 3), devono essere riconosciute le seguenti leve:

  • analisi e ottimizzazione dei processi organizzativi, operativi e informatici;
  • allineamento dell’informatica con gli obiettivi di business dell’azienda (in modo che i sistemi informatici supportino i processi di business);
  • analisi delle determinanti del comportamento sul lavoro.

A detta nuova Funzione spetterebbe: 

  • analizzare in prima battuta la normativa proveniente dagli enti istituzionali (Banca d’Italia, ABI, U.I.C., etc.) e coinvolgere di volta in volta le altre Funzioni interessate in relazione agli argomenti trattati;
  • analizzare ed attivare metodologie e procedure operative finalizzate al miglioramento dell’efficienza produttiva e alla razionalizzazione del lavoro individuale e d’ufficio;
  • fornire un monitoraggio sull’evoluzione delle tecnologie informatiche e proporre soluzioni di ammodernamento dell’hardware e dei sistemi di comunicazione;
  • attivare verifiche organizzative presso le unità centrali e periferiche finalizzate all’analisi e alla soluzione di criticità organizzative;
  • dimensionare gli organici in funzione del piano di sviluppo e delle evoluzioni tecnologiche ed organizzative della banca;
  • monitorare l'assetto organizzativo ed il servizio reso a utenti interni;
  • analizzare e rimodulare le macro strutture organizzative e le relative responsabilità in coerenza con gli obiettivi, le funzioni e le attività svolte.

Nella prospettiva del conseguimento degli accennati obiettivi strategici ed operativi, il monitoraggio dell’evoluzione:

  • delle caratteristiche della struttura organizzativa e dei meccanismi operativi;
  • della tecnologia di processo;
  • della cultura aziendale e degli stili di leadership prevalenti;
  • delle competenze e dell’apprendimento organizzativo;
  • della situazione motivazionale,

rappresenta un fabbisogno complesso ed articolato che non può prescindere dalla disponibilità di una Funzione in grado di garantire un “Controllo organizzativo” forte ed unitario.

Basti pensare al ruolo crescente che in un’azienda assumono le componenti della sua struttura tecnologica – reti, sistemi, archiviazione, sicurezza – per capire la necessità di concentrare nella Funzione Organizzazione competenze in grado di gestire tali componenti in modo completo (considerata la crescente complessità dell’IT), economico (considerati gli elevati costi di gestione e l’incidenza sul “cost income ratio”) e allineato con le priorità di business.

Avremmo in tal modo una “Organizzazione” a tutto tondo, intesa come Funzione in grado di affrontare tematiche relative a:

  • gestione e sviluppo del personale (formazione, sviluppo delle carriere, sistemi incentivanti);
  • controllo di gestione(governo dei costi, dimensionamento degli organici, parametri di efficienza ed efficacia);
  • processi operativi e procedure,

ed attuare:

  • una più stretta collaborazione con la Funzione Pianificazione & Controllo, con continuo e reciproco scambio di informazioni e dati;
  • una maggiore sincronia con l’area commerciale per la massimizzazione della customer profitability, attraverso una attenta valutazione dei costi nella fase di pianificazione delle campagne di lancio.

Lo sforzo è quello di creare un linguaggio comune e non penalizzante per nessuna tra le dueparti (business e informatica), migliorando l’adattabilità al cambiamento.

Qualora la Funzione Organizzazione non dovesse inglobare dentro di sé anche la Funzione Personale, a quest’ultima andrebbero lasciati solo gli aspetti amministrativi e sindacali ed altri compiti residuali (reclutamento, piani di successione) che, pertanto, in un’ottica di riduzione dei costi non strategici, potrebbero essere terziarizzati, ossia affidati in outsourcing a società specializzate, con sensibili economie di spesa.

In merito alla indispensabile maggiore collaborazione tra le Funzioni P & C e Organizzazione, basti pensare alla prossima adozione dei principi contabili internazioni (IAS), in particolare allo IAS 14 - peraltro raccomandato dalla CONSOB – ed alle informazioni che devono essere fornite in bilancio in merito all'andamento della gestione nelle diverse categorie di attività ed aree geografiche nelle quali le banche operano.

Tutto ciò comporta la messa in atto in tempi brevi di un sistema in grado di:

  • controllare i costi mediante i processi (vero punto dolente del sistema, stando agli atti del convengo “Costi & Business 2003” tenutosi in ABI alla fine dello scorso anno);
  • mappare le diverse fasi del processo;
  • attribuire a ciascuna di esse i costi, non secondo metodologie tradizionali ma implementando in azienda strumenti operativi di Activity Based Management (ABM), basati sulla gestione per processi, che utilizzano operativamente l’Activity Based Costing (ABC);
  • determinazione il margine di contribuzione relativo, in buona sostanza un indice significativo della maggiore redditività e, quindi, del maggior successo/gradimento presso il pubblico diun prodotto/servizio rispetto ad un altro.

Poiché l’esistente struttura organizzativa, per evitare spiacevoli fenomeni di rigetto, va trasformata gradualmente, le nuove aree di responsabilità ed il nuovo inquadramento/la nuova configurazione della Funzione Organizzazione vanno introdotti attraverso fasi successive che assecondino l’evoluzione della assetto organizzativo della banca stessa.

Il processo evolutivo anzidetto presenta dei vantaggi, ma anche alcuni inconvenienti.

Per quanto concerne questi ultimi, il processo potrebbe essere caratterizzato da una eccessiva lentezza che mal si adatta alle esigenze di un mercato sempre più dinamico: anche la azioni meglio concepite, se innestate su una struttura obsoleta, rischiano di perdere efficacia.

Per quanto concerne i vantaggi è evidente come la struttura non subisca, almeno nell’immediato, delle modificazioni radicali, risultando così attenuata l’opposizione all’innovazione da parte di coloro che detengono potere decisionale in ordine a scelte di carattere tecnico, finanziario e soprattutto gestionale delle risorse umane.

E’ reso più facile, inoltre, il graduale trasferimento di professionalità eventualmente al momento non presenti all’interno del modello di partenza della Funzione Organizzazione.

Vi è un chiaro limite a detto modello: il responsabile della nuova Funzione Organizzazione, passata in “staff” al Direttore Generale, deve occupare un posto elevato nella gerarchia bancaria per avere potere reale nei confronti dei responsabili finanziari, tecnici, commerciali ed amministrativi.

Il responsabile dellanuova Funzione Organizzazione, infatti, deve:

  • definire e gestire tutti i sottosistemi aziendali (le variabili/componenti organizzative), con collaboratori preparati (cc.dd. “business process owners”), a cui lasciare la cura dei dettagli;
  • formulare una politica organizzativa in armonia con gli obiettivi generali dell’azienda;
  • indicare le linee principali della programmazione operativa e controllarne l’esecuzione;
  • diffondere il significato e l’importanza della nuova filosofia gestionale presso i responsabili di altre funzioni aziendali, affinché tutti siano coscienti degli obiettivi aziendali e delle modalità secondo le quali raggiungerli.

Inoltre, per alleggerire la Funzione Organizzazione, in “staff” e non più in “linea”, dell’operatività ordinaria, occorremettere in atto una vera e propria “gestione trasversale dei processi” in cui agli “analisti di organizzazione” spetta:

  • attivarsi, convocando all’occorrenza i gruppi di lavoro interfunzionali;
  • coinvolgere le altre unità organizzative per la definizione di attività e piani;
  • redigere un piano della attività con indicazione dei tempi di loro ultimazione;
  • occuparsi del monitoraggio dello stato di avanzamento dei lavori;
  • supportare le unità operative mettendo a loro disposizione informazioni complete e mezzi tecnici e tecnologici adeguati per le fasi di test;
  • preoccuparsi di aggregare le informazioni per la definizione/ridefinizione del processo.

Per il segmento di processo di loro pertinenza le altre Funzioni devono necessariamente collaborare all’analisi ed alla stesura della procedura operativa.

Il nuovo modello, dunque, si basa sui concetti di “processo “ e "gestione trasversale dei processi", un approccio manageriale che si caratterizza per il riferimento sistematico ai processi attivi internamente all'azienda, il cui svolgimento richiede la partecipazione di diverse unità operative tra loro collegate in una logica "fornitore - cliente" interni.

E’ ormai dimostrato dall’esperienza che il risultato desiderato si ottiene con maggiore efficienza e, quindi, con minore spreco di tempo e denaro quando tutte lerisorse e le attività sono gestite come un processo; una gestione per processi trasversale, in cui tutte le risorse devono avere un loro ruolo ben definito, si qualifica per i minori costi e per i cicli di realizzazione più brevi.

Pur tuttavia, promuovere e dare pratica realizzazione ad una cultura organizzativa orientata all'operare per processi non è la cosa più facile a questo mondo, anche perché significa:

  • far comprendere a tutti l’interdipendenza del proprio lavoro con quello svolto presso le altre unità operative;
  • sviluppare una sensibilità comune verso la ricerca continua e sistematica di una maggiore efficienza e produttività.

Per la promozione di un cambiamento di successo devono, pertanto, essere rispettate le seguenti regole:

  • l’organizzazione a tutti i livelli deve credere che il cambiamento sia importante per il suo futuro;
  • deve esserci una visione dell’assetto futuro, chiara, trasparente e condivisa da tutti;
  • l’Alta Direzione deve costituire l’esempio per tutti;
  • devono essere previste mirate azioni di formazione e comunicazione;
  • gli ostacoli, esistenti e potenziali, devono essere identificati e rimossi.

Una volta che il cambiamento è stato realizzato, il nuovo stato può essere salvaguardatosolo con la presenza di un valido sistema di “Controllo organizzativo” (del tipo di quello qui prospettato e posto nelle mani della nuova Funzione Organizzazione), in grado di:

  • assicurare che le diverse unità operino in modo coordinato e cooperino così da ottenere le risorse necessarie e la loro allocazione ottimale lungo i processi;
  • seguire l’evoluzione delle diverse variabili organizzative e dei diversi comportamenti;
  • influenzare ed orientare i comportamenti individuali e collettivi, allo scopo di mantenere coerente nel tempo l’organizzazione con l’orientamento strategico dell’azienda.

Si può essere fiduciosi: la crescente attenzione ai costi ed all’efficienza porterà le banche, prima o poi, a fare gioco forza delle scelte prima impensabili, sposando logiche tipiche del comparto industriale!

In buona sostanza è finito il tempo in cui le banche prima sparavano contro il muro e poi vi disegnavano intorno dei cerchi concentrici, sostenendo in ogni caso di aver raggiunto il bersaglio.

Fuor di metafora,in un sistema di risorse sempre più scarse, occorre sperimentare ogni utile strumento teso al raggiungimento degli obiettivi prefissati, passando da validi e sperimentati sistemi di misurazione delle eventuali cause di scostamento e, in seguito all’interpretazione dei risultati raggiunti, da obiettivi sistemi di valutazione e di eventuale ricompensa del personale, intervenendo, se necessario, con appositi piani di formazione e, in ogni caso, conpiani di suo sviluppo calibrati alle effettive necessità aziendali che solo una Funzione Organizzazione così congegnata può garantire.

Va da sé, per finire, come, in sintonia con la descritta nuova configurazione, più razionale e coerente con i tempi, della Funzione Organizzazione, alla stessa debba essere assegnato personale da selezionare in base a precise propensioni o attitudini, ossia uomini in possesso di determinate caratteristiche personali che facciano conoscere in anticipo quale possa essere il loro comportamento, si spera il più adeguato all’ampia gamma di situazioni di lavoro in cui si troveranno di volta in volta ad operare.

A tal fine, qui di seguito riportiamo in modo molto schematico l’elenco delle variabili di “competency” che, se possedute, sono in grado di predire una performance superiore degli “analisti di organizzazione”.  

Pensiero concettuale

  • riconoscere modelli in una massa indistinta d’informazioni

Pensiero analitico

  • riuscire ad elaborare conoscenzeed informazioni e di stabilire relazioni di causa – effetto
  • riuscire a scomporre i problemi nei loro elementi costitutivi
  • riuscire a prevedere conseguenze, implicazioni, ostacoli non evidenti ad altri e programmare il modo di superarli

Consapevolezza organizzativa

  • riuscire ad identificare i veri responsabili delle decisioni e le persone in grado di influenzarli
  • capacità di prevedere le ripercussioni di nuove situazioni sui singoli individui e sui gruppi
  • capacità di prevedere le ripercussioni di nuove situazioni sullaposizione della azienda all’interno del mercato di riferimento
  • conoscere la struttura formale e quella informale dell’azienda in cui si lavora
  • conoscere le politiche aziendali
  • conoscere sia gli aspetti hard che gli aspetti soft della cultura aziendale

Orientamento al risultato

 

  • misurarei risultati e la performance nel tentativo di migliorare continuamente, anche sulla base della valutazione degli errori commessi nel passato
  • fissare obiettivi sfidanti ma realistici, da rendere più stimolanti ricorrendo anche ad una sana e amichevole competizionecon i colleghi di funzione
  • introdurre continue novità, apportare cambiamenti nel sistema

Attenzione all’ordine ed alla qualità

  • ricercare la chiarezza dei ruoli, delle aspettative, dei compiti
  • imporre adeguate procedure organizzative ed efficaci sistemi di controllo
  • codificare mansioni, compiti e comportamenti (regole di svolgimento e sequenze) da attuare in relazione all’accadere di determinati eventi

 

  • essere attenti alla qualità del proprio output (input per il collega od il cliente)

Lavoro di gruppo e cooperazione

  • sollecitare il contributo degli altri
  • comprendere l’interdipendenza del proprio lavorocon quello svolto presso lealtre unità operative, tuttecollegate tra loro in una logica "cliente – fornitore" interni
  • comprendere gli atteggiamenti, gli interessi ed i bisogni degli altri
  • essere capace di operare attivamente nell’ambito di un gruppo di lavoro conservando la leadership e restando indipendenti all’interno dello stesso
  • avere una buona disposizione a rapporti cordiali senza tuttavia avere nei confronti del gruppo di lavoro un atteggiamento di sudditanza

Fiducia in se stessi

  • ricerca di ulteriori responsabilità e dell’indipendenza nel proprio lavoro
  • coraggio di mettersi sempre in discussione
  • flessibilità e capacità di apprendere dagli errori
  • capacità di far accettare le proprie richiestee di porre un limite a quelle degli altri
  • assertività (attitudine al comando)

Persuasività e influenza

  • riuscire ad ottenere il consenso dei superiori argomentando, documentando e fornendo dati, esempi, dimostrazioni, fatti e cifre
  • essere interessati all’effetto delle proprie idee e ad affermare la propria credibilità professionale, migliorando la capacità di relazionarsi con l’organizzazionee di svolgere il proprio ruolo, grazie anchealla “job rotation”/“job enrichment“/“job enlargement”

Spirito d’iniziativa

  • affrontare i problemi prima che qualcuno ne faccia esplicita richiesta
  • insistere fino a che non viene trovata una soluzione, persistere con tenacia fino a che un problema non viene risolto (problem – solving)
  • essere disposti a fare più del proprio dovere
  • accattare anche compiti che esulano dalla propria mansione

Ricerca delle informazioni

  • controllo dell’attendibilità delle informazioni mediante uguali domande poste a più persone
  • consultare molte fonti
  • leggere riviste professionali

Capacità tecnica o expertise

  • avere una larga preparazione di base
  • dimostrare entusiasmo per gli aspetti tecnici del lavoro
  • conservare ed allargare le conoscenze tecniche attraverso riviste, conferenze e corsi
  • condividere le conoscenze
  • utilizzare le proprie conoscenze per aiutare gli altri, risolvere i problemi e guidare e sollecitare i colleghi

Orientamento al cliente

  • scoprire e soddisfare anche i bisogni non dichiarati dei superiori, dei colleghi e della rete periferica

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