BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 05/03/2007

LA FLESSIBILITA' COME VALORE

di Luigi Adamuccio

 

Se vogliamo essere soggetti, e non oggetti, ciò che noi vediamo in questo momento, ossia la nostra percezione, deve essere più un prevedere che un guardarsi alle spalle.
Heinz von Foerster

Premessa

Tutte le aziende, private o pubbliche, produttrici di beni o servizi, di dimensioni ridotte o  più ampie, a causa della crescente pressione competitiva, proveniente anche dai mercati esteri,  sono chiamate a  predisporre programmi di cambiamento organizzativo che, pur salvaguardando i livelli occupazionali, ricerchino economie nell’impiego della forza lavoro e permettano di raggiungere migliori risultati dal punto di vista reddituale.

Non avvertire quest’esigenza e, quindi, gli stimoli esterni che, in un quadro di crescente e generalizzata attenzione ai costi operativi, premono per una maggiore flessibilità ed efficienza, significa avviarsi irrimediabilmente verso il proprio declino.

Lo sviluppo di capacità in grado di elaborare risposte rapide, alle volte anche anticipando le tendenze, diventa, dunque, un obiettivo che assume una ruolo centrale e strategico nelle decisioni dei vertici aziendali, da perseguire tenacemente.

Ma ancorché la flessibilità organizzativa appaia come il più importante punto di riferimento nell’evoluzione delle strutture organizzative, non esiste una soluzione  preconfezionata  per raggiungere l’obiettivo in modo semplice e con il minimo dispendio di energie; neppure la teoria economica e quella manageriale può accorrere in soccorso di chi è chiamato a prendere una tale decisione.

La scelta macrostrutturale di un modello organizzativo piuttosto che un altro (struttura orizzontale per processi piuttosto che a matrice, struttura a rete dinamica piuttosto che funzionale), così come la soluzione di affidare in outsourcing interi comparti “no core”, sicuramente aiuta.

Così come un’evoluzione normativa, come quella che ha caratterizzato questi ultimi anni, che, ispirata ad un utilizzo il più razionale possibile delle risorse umane, ha dato vita ad una feconda elaborazione di nuovi modelli per gli enti pubblici, fino all’ipotesi estrema, ispirata alle teoria del “New Public Management”, dell’“organizzazione destrutturata” o “evanescente” o “per obiettivi”.

Punti di forza: rende finalmente elastica la risorsa “personale” dell’ente grazie al ricorso alla “mobilità interna”; la struttura  organizzativa viene costruita di volta in volta in relazione gli obiettivi programmati e viene eliminata quando gli obiettivi vengono raggiunti.

Punti di debolezza: sebbene sia compatibile con la normativa in vigore, incontra delle difficoltà applicative dal confronto con le organizzazione sindacali; è difficilmente attuabile per forti resistenze culturali. 

Di fatto, le strategie che, nell’ambito di un’azienda, si focalizzano sull’introduzione di un’accentuata flessibilità richiedono una maggiore enfasi sugli aspetti che possiamo definire più “soft” (cultura aziendale,  meccanismi di interscambiabilità e multifunzionalità che fanno leva sulla motivazione individuale)  rispetto a quelli più “hard”, quali la scelta del più appropriato assetto organizzativo o del più razionale utilizzo di dotazioni strumentali (basti pensare all’investimento in ICT, leva, quest’ultima, insostituibile per aumentare la produttività dei singoli e dell’azienda nel suo complesso).

Ma se è vero che la modularità e la duttilità gestionale può diventare il vero volano di uno sviluppo equilibrato e duraturo, quali sono concretamente questi strumenti di flessibilità (flexibility drivers)? 

Qui di seguito, dopo aver effettuato un’indispensabile precisazione terminologica, tesa a meglio distingure le differenze tra i concetti di ruolo, posizione lavorativa, mansioni e compiti, basata sulla tecnica di “job analysis”, vengono forniti alcuni spunti di risposta a tale quesito, prescindendo da ogni riflessione di economia e di legislazione del lavoro e immaginando uno scenario complesso, come quello attuale, caratterizzato da dinamismo e incertezza e attenzione assoluta ai vincoli di bilancio.

 

Il driver della destrutturazione delle mansioni 

Nell’ambito delle organizzazioni più o meno spinte nella ricerca di una maggiore flessibilità, la tendenza in atto è verso una sempre maggiore destrutturazione delle mansioni.

In altre parole, nell’organizzazione del lavoro di ogni giorno si lasciano sempre meno definiti i  confini delle mansioni, invertendo la rotta seguita nel passato, in modo da far crescere il livello di discrezionalità, di responsabilizzazione, di delega e autonomia della persona. 

Meno appropriatamente si parla anche di destrutturazione dei ruoli, in quanto, partendo da una specializzazione tayloristica, che comporta una delimitazione netta dell’organizzazione del lavoro, si tenta di ridisegnare e rendere più sfumata una determinata posizione lavorativa, incidendo sulla parte prescritta del ruolo.

Le ragioni di questo fenomeno stanno tutte nella sperimentazione di soluzioni operative che portino ad una maggiore economicità dei processi e flessibilizzazione delle risorse, stante la sempre meno netta separazione delle mansioni rispetto al passato e la loro maggiore interdipendenza e correlazione.

Le conseguenze di quanto fin qui detto possono essere così riassunte:

 

 

Il driver della riprogettazione e della razionalizzazione dei ruoli

La ricerca di una maggiore flessibilità, come valore aziendale, inevitabilmente passa anche da una riprogettazione e razionalizzazione dei ruoli.

Detta linea, a sua volta, passa:

 

In tal modo viene tradotto in pratica il “profilo professionale” che deve essere posseduto da chi è chiamato a ricoprire un ruolo, sia in termini di sapere (conoscenze), che di saper fare (insieme di skill o capacità operative) e di saper essere (insieme di competenze o propensioni professionali).

Oltre che definire la indispensabilità di un ruolo, detta tecnica consente di definire semplificazioni e accorpamenti, nonché di disporre di uno strumento utile ai fini del reclutamento, della selezione, dell’individuazione delle necessità di formazione nell’ambito di piani di sviluppo individuale, per costruire percorsi di carriera in linea con una vera gestione strategica del personale.  

Conclusioni

 

Per quanto detto, ridetto, letto e sentito, non pare superfluo ricordare, in questa sede, che il successo di un’azienda dipende da un insieme di fattori (mezzi, risorse e immagine) e che per avere maggiore flessibilità, quello che si vuole trasmettere all’esterno deve corrispondere a quello che nel concreto  l’azienda possiede al proprio interno: il suo know-how, la sua storia, la sua cultura fatta di maggiore o minore attenzione al cliente, ma soprattutto il suo personale che, nell’ambito di progetti orientati alla creazione di una maggiore flessibilità, paga il più alto contributo in termini di disponibilità a mettersi in discussione e che, quindi, va adeguatamente coinvolto e motivato.

E’ il fattivo contributo professionale di ciascuna risorsa umana, senza eccezioni ed al di là della sua collocazione gerarchica, che aiuta a creare l’anima, l’identità vera della azienda e delle sue unità centrali o periferiche, anima e identità senza le quali ogni buona intenzione, compresa quella di creare l’immagine di un’azienda dinamica, sempre tesa a soddisfare ogni esigenza della clientela, può fare niente o poco.

Peraltro, se manca nel personale la volontà di affrontare e risolvere i problemi, anche se supportato da adeguate procedure e tecnologie, i risultati saranno sempre ben al di sotto delle aspettative.

La vera flessibilità si potrà ottenere solo se i singoli individui:

Occorre, in buona sostanza, riuscire a creare in azienda uno spirito di “entrepreneurship”, ossia riuscire ad attivare comportamenti imprenditoriali pur muovendosi nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente.

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