BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 09/06/2003

DALL'ECONOMIA DEL FERRO ALL'ECONOMIA DELLA CONOSCENZA.... CON UN PO' DI CORAGGIO IN PIU'!

di Aleph V.

Abbiamo per anni ascoltato e dando credito alle stupidaggini che ci stanno rovinando il futuro.

Ora basta è necessario avere il coraggio di dire al re che è nudo. Senza timori reverenziali. Altrimenti saremo destinati a vivere quella recessione che, se proprio ce la mettiamo tutta, diventa davvero inarrestabile….

Dobbiamo cominciare a smantellare miti …

Ah chi sono io, che sto inveendo contro il mondo ?

Ecco mi chiamo Aleph V. di professione faccio il fantalico!

Vivo nel 2112.

Il 2112 non è un bel mondo. E’ un mondo buio, crudo … ma non posso descrivervelo perché non ci credereste. E continuereste nella strada che avete intrapreso. Così quel mondo si realizzerà davvero. Un mondo assurdo generato da una assurda voglia di recessione, invece che da una voglia di sviluppo.

Il mio compito è quello di raccontare la storia delle cose che accadranno…

E rivelare le idee che hanno guidato l’accadere dei fatti. Racconterò l’assurdità di queste idee perché vi convinciate che i fatti non sono accaduti per caso, ma sono stati frutto del credere in idee assurde. E poi nel praticarle.

La mia speranza è che buttiate a mare subito queste idee. E ne costruire altre. In modo che le cose che sono accadute (per voi: le cose che dovranno accadere) non accadano più…

Ecco se cambierete idee meschine in idee di speranza .. ebbene …. ve ne accorgerete subito. Perché io scomparirò … insieme a quel mondo che mi ha generato e che per fortuna, invece, non accadrà più….

Il primo mito è costituito dalle dottrine economiche. E dalle politiche che esse suggeriscono. E’ necessario cambiare dottrine per poi cambiare politiche. Così gli eventi che stanno accadendo non accadranno….

All’inizio del terzo millennio si era diffusa una dottrina economica che suonava più o meno così:

Poiché siamo in una economia sempre più competitiva, allora è necessario investire in scuola, ricerca e infrastrutture.

Per far questo è necessario ridurre le spese correnti degli Stati perché così sarà possibile avere risorse per scuola, ricerca e infrastrutture.

Come si riduce la spesa corrente? Ad esempio riducendo le pensioni!

Di fronte a questa proposta si scatenò il finimondo. Ma un finimondo stranissimo: dove le due parti in conflitto condividevano le stesse idee di fondo. Mentre sarebbe stato necessario cambiare proprio quelle.

La comune idea di fondo era la seguente: le risorse disponibili sono finite e costanti: se le acquisisce qualcuno non le acuisce qualcun altro.

Se le spendiamo da una parte non possiamo spenderle da un'altra.

Partendo da questo principio fu inevitabile che si generassero conflitti. Infatti, queste risorse costanti dovevano essere distribuite. Ma non ci si metteva d’accordo sul criterio. C’era che proponeva che fossero distribuite in base al merito. E chi invece in base al bisogno.

Al merito. Chi aveva accumulato in gioventù poteva godere in vecchia.

Al bisogno: non importa quanto un uomo abbaia accumulato. Una società avanzata deve garantirgli dignità di vita in ogni caso. Rinuncino i più “forti” ai loro privilegi.

Insomma un conflitto tra libertà e giustizia.

Questa diatriba diventò così violenta che si spesero tutte le energie e le risorse nella battaglia tra due ideologie. Dimenticandosi di guardare (tutt’e due le parti! Allegramente alleate nel chiudere gli occhi) da qualche altra parte che permettesse di ottenere ambedue gli obiettivi (la libertà e la giustizia. Una ricchezza così abbondante che potesse essere diffusa) insieme.

Io vi dico che è stata quella battaglia ideologica che ha messo una solidissima prima pietra (una vera e propria “testata d’angolo”) alla edificazione di un futuro di recessione.

Ora già il fatto di essere costretti a combattere tra libertà e giustizia (cioè tra due valori forti e irrinunciabili) doveva essere un segnale sufficiente a capire che c’era qualcosa che non andava.

Ma, poi, si potevano anche comprendere l’assurdità di quello che stava accadendo anche facendo considerazioni più terra terra. Contaminando le ideologie.

Supponiamo che l’obiettivo sia quello di rilanciare la produzione e uscire dalla recessione. Che senso ha ridurre le risorse disponibili ad una fascia di consumatori che diventa sempre più rilevante? I pensionati appunto? Se riduciamo le risorse disponibili per il consumo, poi chi comprerà i nuovi prodotti che la ricerca, fatta dagli uomini che la scuola ha formato, ha immaginato e che infrastrutture avanzate permettono di comunicare e distribuire?

Permettetemi anche di aggiungere una osservazione etica. Anche quando si immagina una soluzione che sembra funzionare occorrerebbe attivare un filtro “etico”.

Infatti è stato dimostrato da tutta la storia che una soluzione fondata sulla ingiustizia non produce risultati di sviluppo. E vi sembra etica una soluzione che dice più o meno questo: il futuro per le nuove generazioni è costruibile solo sulla disperazione (perché è di questo che si sta parlando quando si dice di ridurre invece di aumentare le pensioni) di coloro che ci hanno generato. Ci hanno dato la vita questo paese e la sua libertà?

Le osservazioni etiche sono in realtà intuizioni profonde: è evidente che i costi delle pensioni dovrebbero essere considerate un investimento.

Perché non li si considera un investimento? . Perchè dietro ci sta la convinzione che gli anziani non possano dare nulla… Certo se si cerca la forza bruta che serviva nelle fabbriche fordiste non possono darla. Ma se per esempio si cerca la saggezza….

Diciamola in termini più generali: perché di un investimento non sappiamo valutarne i ritorni in conoscenza ….

Ecco abbiamo introdotto la parola chiave: conoscenza.

E’ questa parola che ci può permettere di costruire un futuro di sviluppo.

Essa ci permette di  buttare a mare il principio che sostiene le due ideologie colpevoli di aver scatenato il conflitto ideologico che a impoverito il futuro è necessario.

Si quello che dice che le risorse sono finite e costanti. E che, poi, continua dicendo che se queste risorse le si da a qualcuno non si può più darle a qualcun altro.

Ecco questo principio vale per il ferro. Ma solo per esso. Non vale ad esempio per il software. Perché se qualcuno lo possiede e lo da ad un altro, non per questo se ne privava. Anzi può ragionevolmente sperare che dall’suo di un altro ne nascessero miglioramenti

Vale ancora meno per la conoscenza. Essa è generata soprattutto dallo scambiarla! Voglio dire che se qualcuno ha un’idea e la “cede” deve raccontarla. E nel raccontarla la trasforma l’arricchisce. Almeno perché utilizza un linguaggio ed ha in mente un interlocutore!

Allora proviamo a immaginare un’economia fondata sulla conoscenza….

E’ completamente diversa… Non voglio descriverla teoricamente. Ma descrivo la politica economica che essa può ispirare.

Come risolvere la crisi attuale? Ecco, sostanzialmente battendo moneta! Ed usandola, liberamente ed abbondantemente, per investimenti in ricerca, scuola infrastruttura e per incrementare i consumi. Le tasse? Ecco logicamente occorrerebbe dire che sarebbe meglio eliminandole usando la moneta che si batte anche per i servizi, i supporti e le infrastrutture che uno stato moderno deve garantire. Ma per non spaventare troppo diciamo che le tasse vanno abbattute pesantemente. Detto con il linguaggio economico di oggi (che, però, indebolisce la proposta): aumentare il debito pubblico e ridurre le tasse.

Ma è subito pronta una obiezione che sembra ridicolizzare la proposta: battendo moneta si scatena inflazione…. E qui sta l’errore! Nell’economia del ferro accade che battendo moneta si genera inflazione. Infatti nell’economia del ferro, il ferro è una certa quantità. E il valore complessivo della moneta è legato a questa quantità.

Nell’economia della conoscenza, la conoscenza non è una certa quantità. Ma è una quantità “potenziale” che, quando la si vuole “attualizzare” (scambiandola), si scopre che continuamente cresce. Più la si scambia più cresce. E allora la quantità di moneta deve inseguire questo continuo crescere.

Insomma occorre attivare una economia fondata sul fatto che quando si spende si spende una moneta che è legata ad una quantità che autonomamente cresce. Questo ripetiamolo accade per la conoscenza, ma non per il ferro. Ed allora occorre cominciare ad accettare che stiamo entrando in una società che moltiplicando la conoscenza disponibile moltiplica anche le risorse utilizzabili.

Ecco, è una proposta che sembra assurda! No! E’ una proposta che già stiamo attuando. Il problema è che non abbiamo il coraggio di dirlo! E quando la pratichiamo così spudoratamente che ci sentiamo vicino a doverlo ammettere, allora torniamo indietro. E distruggiamo tutto il valore (valore non del ferro, ma della conoscenza) costruito.

La stiamo attuando, ad esempio, nei mercati finanziari. Dove il valore dei titoli è ufficialmente legato agli scambi di quei titoli e non al valore del “ferro” delle imprese che, in ultima istanza rappresentano.

Lo avevamo attuato più completamente nella new economy. Dove si era cominciato a riconoscere valore alla conoscenza. E si era costruito valore per tutti. Poi ci si è spaventati. E si tornati a guardare al ferro delle imprese della new economy. Valutando queste imprese in termini di ferro .. ecco il loro valore è scomparso! Erano nate per produrre conoscenza. E poi improvvisamente le si è valutate in termini non di conoscenza, ma di ferro prodotto. Questo ferro non c’era perché non doveva esserci. Ma non abbiamo avuto il coraggio di accettare questa realtà. Ed allora è partita quella assurda distruzione di tutto. Che poi è finita (come accade sempre quando è necessario scegliere che deve perderci) per penalizzare i più deboli.

Se di quella economia si fosse riusciti a valutare quelli che si definiscono intangibili, si sarebbe dovuto addirittura aumentare il valore di quelle imprese che ad un certo punto sono apparse sopravalutate.

Se si può fare un appunto alla new economy è che ha prodotto conoscenza un po’ banalotta. Non che non ha prodotto ferro!

Conclusione … be’ io vivo nel futuro. Purtroppo mi è dato di parlare al vostro presente, ma non di agirvi.

Allora non mi resta che sperare che le mie parole scatenino dibattiti ed azioni.

Non chiedetemi di concretizzare meglio le mie proposte. Non ci riuscirei. Sono figlio di una storia che si è incancrenita nella paura del futuro. Posso raccontarvi come si è costruita questa paura del futuro. Indicarvi una direzione diversa. Ma poi sarà solo il vostro cammino che potrà davvero costruire una diversa strada. E sarà un camminare che io non riuscirò né ad immaginare. E neanche a vedere.

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