BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 06/11/2006

PRENDERE SUL SERIO LA COMPLESSITA': LA PROPOSTA DI UN CAMMINO

di Aleph V°

Il mondo e le nostre vite sono pervase dalla sfida del cambiamento “profondo”.

Il mondo: è necessario cambiare il modello di società attuale. Tutti i problemi che ci affliggono nascono da un modello di società che non è più adatto a costruire la felicità dell’uomo. Tutte le opportunità che stanno emergendo contengono la visione, anche se sfuocata e incerta, di un nuovo modello di società.

Le nostre vite: le identità che abbiamo costruito nel passato hanno senso solo all’interno della società industriale. Il disagio esistenziale che stiamo soffrendo è un segno del fatto che le nostre identità stanno perdendo senso insieme alla società che le ha espresse.

Solo un esempio: noi tutti lettori di Bloom, abbiamo identità professionali specialistiche. Identità di questo tipo hanno senso solo all’interno di una società (la società industriale) che è fondata sul concetto di specializzazione. Quando questo modo di organizzare il sociale (la specializzazione) perde di senso anche le nostre professionalità lo seguono.

Allora è necessario cambiare società e vite. Ma come fare? Per riuscirci è necessario cambiare la visione del mondo alla quale ci siamo ispirati per costruire società e vite.

E’ necessario cambiare la visione del mondo tipica della società industriale.

Nel corso del XX secolo sono apparsi una serie di stimoli rilevanti per costruire una visione del mondo alternativa. Ma la nostra voglia di conservazione ha fatto sì che i nuovi stimoli rimanessero specialistici ed interstiziali. Li abbiamo utilizzati per rinnovare la facciata le nostre professioni. E non per tentare di cambiare il mondo, accettando la sfida di cambiare noi stessi.

Questa nostra difesa ha emarginato la vera classe dirigente. Cioè coloro che hanno la responsabilità di sistemi complessivi. La responsabilità complessiva di una impresa, responsabilità di gestione di attori sociali e politici, responsabilità complessive di governo locale, nazionale o internazionale.

La vera classe dirigente è, così, rimasta immune dalla complessità. E, quindi, non ha potuto sfruttarne tutte le potenzialità per costruire un nuovo mondo.

Mi si permetta di fare un caso solo: il management. Esso è diviso in rigorose specializzazioni. Soprattutto per quanto riguarda consulenti e formatori. L’avvento della complessità ha inqualche modo rafforzato questa strutturazione specialistica. I formatori hanno cominciato a fare corsi su qualche dettaglio della complessità (con grandi imprecisioni perché molte metafore della complessità richiedono forti competenze scientifiche). Ma non l’hanno usata per immaginare una nuova modalità di gestione aziendale. E’ accaduto qualcosa di simile a quanto sta accadendo con i bilanci di sostenibilità. Invece di essere occasioni per ripensare la strategia dell’impresa, sono diventati “atti dovuti”. Da delegare a specialisti che, per autorealizarsi, li giocano alla roulette dei premi.

La via alternativa? Che la metafora della complessità suggerisse nuove modalità per ridisegnare e gestire imprese, attori sociali etc nella loro complessità.

Ci siamo impegnati seriamente a depotenziare la metafora della complessità, a banalizzare il suo potenziale, ma non è ancora tutto perduto. “Non è mai troppo tardi” diceva una fortunata trasmissione che negli anni ’50 ha dato un rilevante contributo alla alfabetizzazione di questo paese.

Per fari sì che la metafora della complessità diventi una risorsa per costruire una nuova visione del mondo che ci permetta di cambiare la nostra società e le nostre vite abbiamo iniziato un percorso di ricerca fondamentale. Non ricerca applicata, ricerca fondamentale. Il mondo professionale italiano ha sempre sottolineato l’importanza della ricerca. Ma per gli altri. Sono le industrie che devono fare ricerca tecnologica. Le professioni sono fatte di esperienza. O di imitazione di esperienze e ricercuncole altrui.

Il nostro obiettivo è quello di socializzare i primi risultati di questa ricerca. Perché lungo questo cammino si aggiungano a noi molto altri per alleviare la fatica e per fornire entusiasmo. Ma anche perché si otterrà un risultato fecondo se questo risultato sarà sociale. E non il frutto di qualche genio, anche molto genio, che non può che scrivere romanzi e non storie sociali.

I risultati della ricerca

I risultati sono si seguenti.

La complessità come metafora dello sviluppo

Innanzitutto abbiamo tentato un “censimento” di tutti quei modelli e metafore che stanno sotto il cappello della complessità. Abbiamo scoperto che esistono almeno cinque “mondi” che possono essere ricondotti alla complessità:

E’ mancato uno sforzo di finalizzazione, di immersione nel reale. La complessità non è diventata cioè la cultura di riferimento delle classi dirigenti perché non ha fornito nuove chiavi di lettura ai problemi più rilevanti del nostro tempo

Per costruire una nuova cultura di sviluppo è necessario innanzitutto sintetizzare ed immergere nel reale la metafora della complessità.

La metafora dell’isola può essere la sintesi più adeguata per comprendere le dinamiche dello sviluppo.

Un processo di sviluppo nasce da attori trasgressivi che hanno in uggia per qualche ragione il presente e che riescono ad immergersi nella rete di opportunità e di risorse nuove o che non sono ancora utilizzate. Solo con la voglia di trasgredire il mondo che esiste, si riesce a surfeggiare liberamente e gioiosamente tra le onde. 

Le risorse e le opportunità sono solo potenzialità, sono volghi dispersi che si muovono con il ritmo di onde, che a volte si alzano orgogliose, ma, poi, ritornano mare e piangono il loro orgoglio effimero. 

Perché il surfeggiare non sia un vagare senza fine che fa perdere senso alle onde, è necessario che qualche onda speciale riesca a profetare. Cioè ad immaginare quello che ancora non c’è: che queste onde possano stabilizzarsi in isole. Così questo surfista audace e generoso raduna il popolo delle onde raccontando il suo sogno di una nuova isola. E le onde accorrono perché non aspettano altro: dopo tutto ogni onda, alla fine,vuole trasformarsi in un’isola. 

Ma il profeta non disegna i dettagli dell’isola. Non ne stabilisce le coste, non ne eleva i monti, non ne convoglia i fiumi. Egli riesce ad immaginare che le onde di un tratto di mare possano stare insieme alte ed orgogliose per sempre, trasformando la loro spuma in roccia perenne. Ma poi lascia che le onde disegnino l’isola! Che ogni onda decida se diventare roccia, sabbia, monte o fiume!  

Egli fa solo in modo che questo disegnare sia sempre coerente e porti ad un’isola bella per lui e per le onde. Un isola nella quale ogni onda senta l’orgoglio di essere fiore o sabbia. L’orgoglio di essere quel fiore o quella sabbia che ha dato senso al suo navigare nel mare e che trasforma la sua voglia di trasgressione in un nuovo presente. 

Il profeta che è riuscito, profetando, mobilitando e portando ad unità, trasformare un volgo di onde in un’isola, ne diventa il naturale re. Il problema è che le onde, quando diventano isola, poi si dimenticano di essere state onde … 

La metafora dell’isola è stata sviluppata partendo dalla metafora nascosta della complessità, cioè dalla meccanica quantistica. Che, invece di essere una metafora nascosta ne è (nascostamente forse) la metafora di fondo.

Questa sintesi può essere immersa nel reale. Lo si può fare usando come attore di riferimento l’organizzazione che sta a metà strada tra individuo e ambiente.

Lo sviluppo “strategico”

La metafora della complessità ci permette di gettare nuova luce sui processi di sviluppo strategico.

La natura dei processi di sviluppo strategico

Un processo di sviluppo strategico è un processo imprenditoriale che crea “mondi”: sia ambienti che organizzazioni che prima non esistevano. O trasforma profondamente quelli e quelle che esistono.

Concettualmente, è un processo di creazione sociale di conoscenza. I processi imprenditoriali sono sempre stati processi di creazione sociale. Lo è stato il miracolo economico italiano dopo la seconda guerra mondiale. E lo è stato anche il Rinascimento.

Questo significa che un processo di sviluppo strategico non può essere unprocesso di ricerca della competitività. La ricerca della competitività è un processo di progressiva chiusura, invece che di creazione.La ricerca della competitività attiva quello che abbiamo definito “Effetto stadio”. In breve,

ricercare competitività é come essere allo stadio e guardare una partita. Gli spettatori sono seduti ed hanno una decente visione del campo. Ad un certo istante qualcuno inventa una mossa competitiva brillante: si alza in piedi. A seguito della sua mossa competitiva vede meglio, ma per tre secondi. Dopo quei tre secondi si alzano tutti e tutti vedono esattamente come prima. Tranne che sono più scomodi.

Conseguentemente, un processo di sviluppo strategico non può essere un processo di pianificazione razionale che inizia con l’analisi dell’ambiente in generale e del mercato in particolare, l’individuazione delle minacce e delle opportunità e le progettazione della miglior struttura strategica ed organizzativa per sfruttare le opportunità e sfuggire le minacce.

La natura del processo di sviluppo strategico non può neppure essere ridotta allecollezioni di metafore” proposte dagli studiosi che oggi vanno per la maggiore: da Henry Mintzberg a Steve Cummings. Essi, attraverso queste metafore, hanno descritto solo alcune caratteristiche particolari del processo di sviluppo strategico.

La gestione dei processi di sviluppo strategico

Fino ad oggi i reali di processi di sviluppo strategico sono stati attivati, intuitivamente, empiricamente, dagli imprenditori economici e sociali che hanno generato imprese ed economie, attori politici ed istituzioni. Questo significa che tutto l’insieme di servizi (servizi di strategia) che si candidano a supportare gli imprenditori ad attivare e gestire processi di sviluppo strategico hanno fallito la loro missione. E la ragione è evidente: i servizi di strategia si fondano sull’ipotesi che i processi di sviluppo strategico siano processi di pianificazione razionale. E si propongono come strumenti per aumentare l’efficacia ed efficienza di questi processi. Ma con questa presunzione, in pratica, tendono a sostituire l’imprenditore che non possiede tutto l’armamentario metodologico per attivare una efficace ed efficiente pianificazione razionale.

Fino ad oggi, è, però, anche accaduto che questi processi imprenditoriali (cioè i processi di creazione sociale), dopo essersi attivati empiricamente e spontaneamente alti e forti, siano andati inesorabilmente spegnendosi. Il nostro tempo è un tempo in cui tutto il mondo occidentale sembra spegnersi.

Ora, la metafora della complessità permette di concludere, da un lato, che questo spegnersi non è frutto di volontà perverse, ma è causata dal fenomeno della deriva autoreferenziale.

E, dall’altro, suggerisce anche metodologie che rendono gli imprenditori capaci non solo di superare ogni deriva autoreferenziale, ma anche capaci di attivare processi imprenditoriali sempre più intensi.

Si tratta, quindi, di metodologie che non sono affatto accessorie o, addirittura, controproducenti, ma che sono “esistenzialmente” indispensabili. Concretamente, esse permettono di affrontare in modo radicalmente nuovo le sfide di sviluppo più rilevanti:

Utilizzando queste nuove metodologie si trasforma la professione del fare strategia come la professione chiave per costruire sviluppo.

Lo sviluppo “politico-sociale”

Con questa espressione intendiamo due cose apparentemente diverse, ma tra loro convergenti

La prima è che lo sviluppo strategico sopra descritto ha una valenza molto generale: le metodologie che permettono di gestirlo possono essere applicate infatti non soltanto a imprese manifatturiere e di servizio, ma anche a:

La seconda è che con la terminologia “sviluppo politico-sociale” intendiamo anche indicare lo sviluppo lungo le dimensioni non economiche dell’attività di impresa. Intendiamo cioè riferirci a tutto quel mondo che va sotto il nome di CSR (Corporate Social Responsibility). A questo mondo la complessità offre profonda innovazione. Da un lato, una visione diversa e non accessoria della responsabilità sociale. E, dall’altro e conseguentemente, nuove metodologie per:

Ora queste due accezioni dello sviluppo politico sociale sono, invece che diverse, convergenti. Anzi sinergiche. Esse permettono di comprendere che il fare impresa è sostanzialmente un ologramma del costruire sviluppo. Ed è anche un ologramma di un nuovo modo di fare politica che, invece che basarsi sulla metafora della decisione, si basa sulla metafora della creazione sociale di un nuovo vivere civile.

Dal mito del controllo, all’ecologia del progetto insomma.

Lo sviluppo “organizzativo” 

Lo sviluppo organizzativo “sembra” avere un nemico molto subdolo: le resistenze al cambiamento.

Gregory Bateson ci fornisce una metafora divertente per descriverle …

Una palla, una mazza da croquet ed una porta sono gli strumenti del croquet.

L’obiettivo del gioco è quello di far passare la palla attraverso la porta colpendola con la mazza.

Non è complicato! Per raggiungere l’obiettivo basta usare gli strumenti nel modo corretto: colpire la palla con la mazza, con la giusta forza, nella giusta direzione. Si può certamente sbagliare, ma solo se non si sono utilizzati gli strumenti nel modo opportuno! Dall’errore si può apprendere ed apportare tutte le correzioni che possano permettere di raggiungere il risultato desiderato, l’obiettivo.

Si tratta di un gioco e…il gioco non vale la candela, ma se la posta fosse più alta, basterebbe sostituire il colpitore con un robot, utilizzare un computer per calcolare forza e direzione. E far funzionare il sistema. Non si commetterebbero più errori… 

Arriviamo ad Alice. Bateson nella sua “Verso un’ecologia della mente” si diverte a descrivere le difficoltà di Alice quando cerca di giocare a croquet, ma con un fenicottero come mazza ed un porcospino come palla.

Il fenicottero (la mazza) brandito per le zampe in modo da colpire con la testa il porcospino.

Il fenicottero non è disposto ad accettare questo ruolo e destino e continua a muovere la testa per evitare di colpire (per evidenti motivi) il porcospino. A sua volta il porcospino si guarda bene dall’accettare il ruolo di palla e, per evitare di essere colpito dalla testa beccuta di quell’uccellaccio dalle lunghe gambe semplicemente se ne va. Oppure, se costretto a rimanere, si rinchiude a palla aumentando la determinazione del fenicottero a evitare di colpirlo. 

Ora L. Carroll ammette almeno che il campo ci sia e le porte non si spostino.

Ma immaginiamo che Alice sia così povera da non potersi permettere di frequentare un campo da croquet.

Dovrebbe ridursi ad andare in un parco pubblico con fenicottero e porcospino e, invece delle porte, utilizzare… delle persone a passeggio. Si, quando camminano (le persone) , per un momento hanno le gambe larghe: somigliano a porte! Ma poi non stanno con le gambe larghe, concludono il passo e vanno in una direzione della quale la povera Alice non sa nulla.

Sarebbe un giocare a croquet drammatico!  

Per provare a colpire il porcospino con il fenicottero sperando che questo rotoli tra le gambe di qualcuno che passa per caso dovrebbe usare non certo programmazione, ma invenzione, improvvisazione, fortuna. 

Una organizzazione è oggi certamente un insieme di risorse che occorre utilizzare in modo finalizzato ad un obiettivo, ma somiglia moltissimo non ad un gioco del croquet ordinato, ma ad una versione surreale e poveraccia dello stesso croquet dove le risorse sono fenicotteri porcospini e persone che vanno per i fatti loro.

La metafora della complessità ci insegna che queste resistenze non sono la naturale risposta di un sistema complesso ad uno stimolo di cambiamento. Ma, invece, sono generate dal modo in cui si cerca di generare il cambiamento.

Infatti, gli attori interni all’organizzazione sono sempre meno strumenti e sempre di più protagonisti. Sono attori sempre meno passivi e che “pretendono” non solo di eseguire, ma di partecipare a definire il loro futuro. Laddove un’impresa considera definiti i suoi confini, cioè considera concluso il suo processo di sviluppo strategico, il protagonismo delle persone finisce per riversarsi al suo interno e per trasformarsi in uno sforzo continuo a strutturare/ridefinire costantemente l’organizzazione. Ma in questo modo l’organizzazione che si ottiene è il risultato del confrontarsi dei diversi desideri di autorealizzazione, invece di essere finalizzata alla realizzazione dell’impresa nel suo ambiente.

I processi di cambiamento organizzativo non realizzano il cambiamento progettato, ma un cambiamento molto diverso. Quel cambiamento che viene generato dal rimescolamento di carte attivato dal cambiamento progettato. Il quale funge davvero solo da stimolo di un cammino che porterà certamente verso lidi molto diversi.

Se tutto questo è vero, allora quello che deve cambiare è la figura dell’imprenditore, economico o sociale che sia.

Fino ad oggi questa figura è stata rappresentata da una persona. Oggi questa figura deve essere emozionalmente e razionalmente diversa perché,per evitare fenomeni di disgregazione e di perdita di significato, deveabbracciare l’intera organizzazione.

La metafora della complessità permette di costruire metodologie per sviluppare questa nuova imprenditorialità organizzativa. Sarà questa nuova imprenditorialità organizzativa che riuscirà (finalmente) ad attivare processi di cambiamento che, invece di costringere le risorse dell’organizzazione ad opporsi al cambiamento, le indirizzeranno per progettare un cambiamento che sarà interpretato da tutti come occasione di autorealizzazione.

Chiudendo con un contributo di concretezza: regaliamo queste scoperte e queste metodologie a tutti coloro che provano a “fondere” organizzazioni. Perché riescano in questo intento senza le violenze e gli sprechi che caratterizzano oggi questi processi.

Perché l’organizzazione risultante non sia più piccola e più efficiente delle due organizzazioni iniziali. Ma sia caratterizzata da una nuova capacità di servizio che necessita di più persone e permette di pagarle meglio.

Lo sviluppo del mercato

Il mercato è il parallelo esterno all’organizzazione. Se l’impresa decide di considerare “fisso” il suo sistema d’offerta, rinunciando al cambiamento e all’innovazione, allora il mercato se ne fugge per i fatti suoi, guidato dall’azione di altri imprenditori, locali o internazionali.

La cultura del mercato attuale deve essere ripensata e rifatta. E le practices di gestione del mercato pure.

Il mercato non è fatto di esigenze ma solo di esigenze potenziali che possono trasformarsi o meno in esigenze reali. Chi guida questa trasformazione è l’imprenditore che non realizza un suo disegno precostituito, ma stimola e coordina il processo emergente attraverso il quale il mercato si struttura attualizzando alcune esigenze e facendone morire altre.

Detto diversamente: il successo è solo frutto di processi di creazione sociale di conoscenza ai quali partecipano insieme l’impresa e il suo mercato. Il mercato non è oggetto dell’azione imprenditoriale, ma diventa esso stesso imprenditore. Il risultato di questo processo non può essere predeterminato dal solito processo di pianificazione razionale. E neanche dalla creatività un po’ paranoide di cui si fregiano i “creativi”. E che i corsi di formazione pretendono di insegnare.

Questo significa che tutto l’apparato (oramai burocratico) costituito da ricerche di mercato (che danno l’input ad uno sviluppo di prodotti delegato a tecnici che rischiano la paranoia come i creativi) e da enormi sforzi di comunicazione “urlata” (che non parlano più del prodotto, ma cercano solo di suscitare suggestioni generiche ed effimere) è da ripensare criticamente e forse da smantellare per lasciare spazio a qualcosa di radicalmente nuovo.

Al suo posto occorre disporre di metodologie, derivate dalla scienza della complessità, attraverso le quali l’impresa riesce a costruire io suo futuro insieme al mercato. In questo modo progettazione del prodotto e comunicazione vanno a coincidere in tempi e passione.

Diciamo ora, quasi a conclusione di questo discorre di processi di sviluppo, che essi hanno tutti la stessa forma. Sia i processi di sviluppo strategico che i processi di sviluppo politico sociale che i processi di sviluppo organizzativo o del mercato. Possiamo immaginare una metafora che descriva questa forma: Sorgente Aperta. E’ la traduzione italiana letterale di “Open Source”, ma assume tutta la freschezza della lingua del “paese dove il sì suona”..

Lo sviluppo “personale”

Non poteva mancare l’uomo. I processi di sviluppo che abbiamo descritto hanno come attore fondamentale l’uomo. In realtà, essi si nutrono dei processi di sviluppo razionale ed emozionale delle persone.

Come avvengono questi processi?

La metafora della complessità rivela che essi sono strutturalmente simili agli altri tipi di processi di sviluppo.

Innanzitutto sono processi di creazione di conoscenza che si sviluppano in ambienti specifici.Sono cioè ambiente dipendenti.

Poi, come tutti i processi di sviluppo tendono a diventare autoreferenziali. Cosa significa in questo caso? Significa che portano le persone, poco a poco, a costruirsi ideologie personali che le portano a rifiutare le novità e le ideologie degli altri uomini.

Come è possibile guidare questi processi?

Rimanendo nell’ambito dei processi di apprendimento dell’adulto, il primo passo è quello di aiutare gli adulti a superare le loro ideologie personali per aprirsi al nuovo. Credo che le tecniche di meditazione orientali possano essere lo strumento fondamentale per raggiungere questo obiettivo

Il secondo passo è quello di far sì che le persone diventano parti attive dei processi di sviluppo del tipo “Sorgente Aperta”.

Per compiere questi passi, soprattutto in grandi organizzazioni decentrate, sono essenziali le Web Technologies, ma non nelle loro applicazione attuali quali l’e-learning, le comunità di pratichee il knowledge management.

L’e-learning va sostituito con processi di creazione di conoscenza comunitari supportati dalle tecnologie di rete. Alle comunità di pratica vanno sostituite comunità di progetto. Al knowledge management va sostituito il management strategico.

Se vogliamo adeguarci alla sindrome dei concetti valigia che contengono tutto il bene o il male, allora possiamo provare a parlare di processi di apprendimento, auto apprendimento e formazione. Ma così facendo sarà difficile comunicare le scoperte che la teoria della complessità propone. Che in sintesi sono: l’uomo non apprende, all’uomo non si può dare forma.

Una serie di incontri.

Per comunicare questi risultati e iniziare un nuovo cammino, abbiamo organizzato una serie di incontri. In essi vi sarà un momento iniziale di “racconto” al quale seguirà un lavoro di elaborazione sociale (1).

I risultati di questa elaborazione sociale andranno a costituire la struttura di partenza di un portale finalizzato a rendere disponibili un sistema ‘emergente’ di conoscenze e competenze di impresa.

Emergente perché il repository di conoscenze che verrà strutturato durante il percorso di ricerca potrà essere arricchito direttamente dagli utenti con modalità simili a quelle usate su Wikipedia attraverso l’utilizzo del portale di Complexlab ( www.complexlab.com ).


 

1- Gli incontri si svolgeranno presso la società AtmanProject Srl - Via Settala 20124 Milano (Metropolitana linea rossa fermata Porta Venezia) dalle 16 alle 18. La partecipazione è naturalmente libera. Ci si può iscrivere attraverso www.complexlab.com.

Primo pomeriggio ( giovedi 16 novembre 2006 ): La complessità come metafora dello sviluppo

Secondo pomeriggio ( giovedi 23 novembre): Lo sviluppo “strategico”

Terzo pomeriggio ( giovedi 30 novembre): Lo sviluppo “politico-sociale”

Quarto pomeriggio ( giovedi 14 dicembre): Lo sviluppo “organizzativo”

Quinto pomeriggio( giovedi 11 gennaio ): Lo sviluppo del mercato

Sesto pomeriggio (giovedì 18 gennaio): Lo sviluppo “personale”

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