BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 17/11/2003

UNA FORMAZIONE SENZA CONCRETEZZA E SENZA LA SPERANZA

di Aleph V.

 

Una delle parole più usate dell’inizio del terzo millennio era certamente la parola formazione. Con uno strano gioco delle parti: pubblicamente tutti la dichiaravano l’arma fondamentale per costruire sviluppo. In pratica se ne faceva il meno possibile.

Vi era chi (i formatori) denunciava questa differenza tra pubbliche virtù e vizi privati, ma la denuncia di costoro suonava “pelosa”. Del tipo “Cicero pro domo sua”

L’immagine che ci siamo fatti nel 2112 è molto simile ad una analisi che ci è giunta da un oscuro consulente di direzione di cui si è perso il nome.

Ve la ripropongo con l’autorevolezza e la delusione (perché non è stata ascoltata) di un intero secolo.

In sintesi

Le attuali politiche formative sono il frutto:

*       di una macro-competizione di imperativi, ambizioni e profezie (le ultime due auto contraddittorie) che negoziano uno spazio vitale sempre più angusto.

*       di una micro-competizione tra fornitori che, cercando nicchie di sopravvivenza, generano “derive” incontrollabili.

Esse tendono a perdere di significato agli occhi degli utenti. Che, quando possono, le sfuggono. E, quando non possono, le strumentalizzano.

Il risultato complessivo è che le attuali pratiche formative mancano sia di concretezza che di speranza.

Sembrano davvero solo un costo da ridurre il più possibile. E non certo la manifestazione di un grande progetto nel quale investire risorse finanziarie e umane..

In dettaglio ..

La macro-competizione tra imperativi, ambizioni e profezie.

Gli imperativi sono quelli imposti dalle scelte strategiche. Le ambizioni sono quelle dei managers della formazione. Le profezie sono quelle di tutti coloro che non si appiattiscono sul presente .. anche se, poi, costruiscono futuri un po’ autoriferiti.

L’imperativo delle scelte strategiche:

una formazione finalizzata, efficace ed efficiente

Poiché la strategia fondamentale è la ricerca della competitività allora l’imperativo operativo fondamentale è quello di un aumento continuo delle prestazioni (in termini di efficacia e di efficienza) di persone ed organizzazione.

Per raggiungere questo obiettivo occorre attivare una formazione finalizzata.

Cioè una formazione che si ponga l’obiettivo di fornire alle persone:

*       Conoscenze.

*       Competenze.

Le conoscenze sono relative ai cambiamenti nell’organizzazione, nelle procedure e nelle politiche.

Le competenze sono le competenze professionali e manageriali necessarie per il funzionamento efficace ed efficiente della nuova organizzazione

In particolare le competenze manageriali sono competenze di:

*       di convincimento dei clienti (competenze commerciale  di vendita)

*       e di finalizzazione delle risorse:

o        leadership

o        motivazione

o        negoziazione

o        et similia.

La formazione deve, poi, essere anche efficace ed efficiente.

Cioè deve garantire l’effettivo raggiungimento degli obiettivi formativi definiti e deve farlo con il minor dispendio di risorse (sia finanziarie che temporali).

L’ambizione dei managers della formazione

una nicchia “professionale” .. istituzionalizzata!

L’imperativo strategico è fatto proprio dai managers della formazione. Che hanno rinunciato (come accadeva nel passato) ad una funzione propositiva (che in molti casi del passato è stata profetica).

Dal punto di vista del manager della formazione, una formazione finalizzata, efficace ed efficiente significa una formazione di tipo “nobilmente strumentale”.

Significa organizzare e gestire attività di formazione che siano finalizzate alle esigenze dei business della propria impresa.

Un sempre maggior numero di formatori sta accettando questa impostazione. E dentro di essa sta cercando di affermare il proprio ruolo e la propria identità professionale.

Detto diversamente: i managers della formazione stanno cercando di istituzionalizzare la loro funzione.

In che modo?

Proponendo e legittimando best practices del fare formazione e costruendo una organizzazione che mette in pratica queste best practices.

Le best practices che il manager della formazione propone sono quelle che vanno a formare il processo di gestione della formazione:

*       analisi delle esigenze

*       progettazione della attività formative

*       esecuzione delle attività formative

*       controllo dei risultati

Una volta stabilito che queste sono le attività che permettono di realizzare la formazione più finalizzata, efficiente ed efficace possibile, l’esigenza di una organizzazione che le “pratichi” è evidente.

A questo punto se il manager della formazione ha fatto accettare le best practices che lui propone e l’organizzazione che le pratica, il suo ruolo è affermato. E la prassi tende a consolidarlo.

Domenico Lipari descrive il processo di istituzionalizzazione nel modo seguente:

*       rafforzamento della sensibilità sociale nei confronti della formazione come conseguenze del consolidarsi di interessi concreti e persistenti di una comunità di formatori interni ed esterni

*       emergere di reti di attori competenti ed interessati allo sviluppo di saperi e di pratiche professionali

*       elaborazione e diffusione di un apparato di teorie, tecniche e metodi largamente condivisi

Ma questo tipo di istituzionalizzazione non può funzionare…

Ma queste best practices e l’organizzazione che le utilizza sono le più adatte ad una formazione finalizzata efficace, efficiente?

Apparentemente sì! Cosa c’è di più efficiente ed efficace che partire da una analisi delle esigenze e sviluppare e controllare le attività che cercano di soddisfare queste esigenze? Apparentemente nulla! Se poi l’analisi delle esigenze è fatto con l’attenzione alle esigenze di competitività delle imprese allora si tratta delle best practices ideali.

Ideali forse, ma certamente non applicabili!

Basta soffermarsi a riflettere sull’analisi delle esigenze. Per verificare che si tratta di una attività impossibile. Infatti in ogni organizzazione complessa una analisi delle esigenze “scientifica” richiede:

*       risorse finanziarie tanto elevate da non essere disponibili ai formatori che operino in imprese che debbano affrontare un feroce competizione. Cioè proprio in quelle imprese dove una analisi dei bisogni ”scientifica” e profonda è più necessaria.

*       tempi incompatibili con le esigenze della competizione. Più precisamente: il tempo dell’analisi è più lungo dei tempi di cambiamento della competizione. Ciò significa che quando l’analisi è completata, ecco si possono buttare i risultati perché si riferiscono (le competenze individuate come necessarie) ad una competizione che non c’è più. Voglio dire che si rischia di individuare un insieme di obiettivi formativi che andavano bene nelle dinamiche competitive passate, ma non in quella presenti.

*       I risultati non sono sempre convincenti.

La conclusione è che la pratica dell’analisi delle esigenze deve per forza essere svolta in modo tutt’altro che best!

Questo significa che anche se fosse possibile condurre le altre pratiche in modo ottimale l’efficacia e l’efficienza di tutto il processo di gestione della formazione ne verrebbe irrimediabilmente compromesso.

La visione dei profeti

una formazione liberatrice, “vuota”.

Mentre top managers cercano competitività e i formatori si sforzano di adeguarsi (anche se attraverso vie auto contraddittorie) ecco che diventa sempre più evidente una conclusione della scienza: non è possibile una formazione finalizzata: l’unica formazione che può avere successo è una formazione liberatrice.

E’ una conclusione di una fortissima evidenza scientifica. Praticamente tutte le scienze umane, dall’antropologia, alla fisiologia (ad esempio la fisiologia della visione), alle scienze cognitive hanno dimostrato che l’uomo non acquisisce e registra conoscenza dall’esterno.

Accade un processo molto più complesso: egli filtra la conoscenza che gli viene fornita per costruire nuova conoscenza. Questo significa che i processi formativi possono generare solo innovazione non indottrinamento.

Non possono essere finalizzati, efficaci ed efficienti. Ma devono essere processi che moltiplicano la capacità dell’individuo di continuamente superare le proprie conoscenze creandone autonomamente di nuove. Cioè possono solo essere processi di liberazione.

Ma si tratta di una liberazione che genera anarchia…

Ora questa è una concezione scientificamente indiscutibile e di alto valore morale. Ma genera una formazione assolutamente impraticabile.

Una formazione, insomma, che

*       si propone obiettivi antitetici alle esigenze della competitività che chiede tutto il contrario.

*       genera anarchia strategico-organizzativa

*       genera diffidenza da parte di un top management che preferisce sempre il “credere obbedire e combattere” . Soprattutto in condizioni di rilevante stress competitivo.

Poiché si tratta di una visione dotata di grande fascino (ed anche perchè la visione finalistica non è mai applicata con talebano furore) che riesce a conquistarsi uno spazio al sole. Sottraendo risorse alla attività di formazione più tradizionali.

Questa visione della formazione è, però, più dell’accademia che della pratica. Almeno in Italia.

Si tratta di una proposta che non è in grado di essere significativa a livello strategico. Lo è solo a livello umano.

A causa di questa incapacità di significatività strategica diventa schiacciata dall’urgenza degli obiettivi immediati pratici e diretti. E dalla mancanza di risorse che è diretta conseguenza della strategia della competitività.

Imperativi, ambizioni e profezie negoziano uno spazio vitale sempre più angusto.

La strategia (e, quindi, il top management) richiede una formazione “asciutta” i formatori una formazione istituzionale e i profeti una formazione gratificante.

Questo scontro non avviene in imprese “ricche”, ma in imprese che la strategia della competitività rende sempre più povere.

Questo scontro avviene in un ambiente sempre più povero di risorse. Che non può permettersi “sprechi”. Neanche in nome del fascino di una formazione che libera

La micro-competizione tra fornitori

In questa competizione tra visioni vi sono vecchi fornitori che cercano di sopravvivere e nuovi fornitori che cercano di imporsi a spese dei vecchi. Cioè nella grande competizione tra visioni si inserisce una più operativa competizione tra vecchi e nuovi fornitori.

I vecchi fornitori sono i formatori carichi di lucidi, abili nel raccontare, qualche volta specializzati nel condurre dinamiche di gruppo. Essi sono specializzati e rassegnati. Si caratterizzano per la capacità di formare su di un solo tema. E sempre quello propongono con un livello di innovazione pressoché nullo. Certo senza alcun investimento in ricerca.

Ai vecchi formatori si contrappongono (anche se non esplicitamente perché, poi, usano l’artificio retorico della “formazione blended”) i fornitori di e-learning. Essi sostanzialmente si promuovono sostenendo, alcuni (i più radicali), che la formazione supportata dalle tecnologie è più efficace della formazione tradizionale. Tutti sostenendo che l’-learning permette di risparmiare tempo e denaro oltre che di controllare i risultati dei processi di formazione.

Ma non basta! Poiché lo spazio della formazione va restringendosi, formatori tradizionali e i fornitori di e-learning sono anche in competizione al loro interno. E questa competizione interna è sostanzialmente una competizione di prezzo. Come ogmi competizione di prezzo non ammette vincitori, ma solo sopravvissuti che riescono a tirare a campare sempre più difficoltosamente. Figurarsi ad investire per proporre ai clienti “contenuti” innovativi

A peggiorare la situazione è apparsa all’orizzonte una pletora di nuovi micro competitors che hanno cominciato a reclamare la loro parte.

Intendo riferirmi ai propugnatori del knowledge management, del content management, delle Comunità Virtuali, dell’info-learning. E chi più ne ha più ne metta. Ognuno di questi nuovi competitors propone la propria “tecnologia” con la filosofia della Inevitabilità o della “moda”. Non si può non disporre di un sistema di knowledge management. Non si può non avere un sistema di content management. Non si può non sperimentare comunità virtuali.

Il risultato è una babele di richieste di investimenti. Ognuna certamente ragionevole, forse opportuna. Ma tutte insieme senza senso strategico per una impresa schiacciata dalla competizione.

La formazione che perde di significato agli occhi degli utenti

Nel confronto (scontro per la sopravvivenza) tra visioni e fornitori. gli utenti entrano in scena a giochi fatti. In teoria avrebbero dovuto essere protagonisti della fase di analisi di bisogni, ma non accade quasi mai. Perché l’analisi dei bisogni quasi mai si fa. E allora essi si trovano ingabbiati in iniziative progettate da altri. Che come tutte i progetti etero-definiti non hanno come obiettivo la felicità (o anche più banalmente il servizio) degli utenti, ma di coloro che si sono impegnati nel progetto.

Ed allora l’utente si troverà di fronte ad un formatore tradizionale che cercherà applausi … magari sotto forma di voto positivo su di un questionarietto di fine corso.

Un fornitore di e-learning che vorrà essere soddisfatto del suo lavoro.

Di fronte a queste “proposte” l’utente cerca sempre più di sottrarsi. E ci riescono pienamente i migliori: il top management e i professionisti di successo come i migliori venditori. Provate a mettere in aula un top manager o un venditore di successo ad ascoltare un ex manager (come sono spesso i nuovi formatori). Tutti noi sappiamo che è fatica sprecata!

L’utente con meno potere non potrà che accettare il gioco e difendersi cercando nel gioco (la formazione è spesso e con vanto dei formatori un gioco) anche lui il suo momento di gloria. La formazione sarà un momento in cui potrà sentirsi liberamente amministratore delegato e riscrivere nel suo cuore l’impresa a suo uso e consumo. Felice magari di sentire dire le cose che lui ha sempre contestato ai suoi capi. Felice di poter trovare nel formatore un alleato.

Di una felicità che dura lo spazio delle giornate di formazione. E che poi si trasforma in cocente delusione quando si scopre che la vera azienda mentre lui la sognava diversa non ha fatto un solo passo verso quella diversità che lui sognava.

Il risultato complessivo

La formazione praticata è il risultato della negoziazione tra queste visioni e subvisioni.

Ed è un risultato “ibrido”. Non molto brillante

Nella letteratura corrente abbiamo trovato questo giudizio. Le attività formative sono:

*       preconfezionate e proposte con “indifferenza” del luogo organizzativo nel quale vengono erogati.

*       Proposte con etichette trendy (leadership, delega, comunicazione, cambiamento) che oramai trendy non sono più perché si mantengono simili a se stesse da almeno vent’anni

*       Indirizzate a gruppi astratti e erogati a gruppi artificiali.

*       erogate a diversi (le aule), ma ugualmente astratti.

*       Caratterizzate da presunzione manipolatoria

*       Sterilizzate dall’incongruenza con l’anima reale dell’organizzazione e con l’inerzia di questa

Insomma quando ci si trova in aula, ci si trova tra sconfitti a metà. Cioè, sostanzialmente, tra semplici comprimari della vita aziendale che sono riusciti a ritagliarsi solo uno spazio virtuale dove provare ad essere protagonisti.

Immaginate un top manager…

Magari non ha speso tempo ed energie nello sviluppare un discorso articolato come il nostro, ma ci sembra molto probabile che lo condivida.

Sbagliamo nel dire che la formazione sta dando una desolante immagine di burocrazia che combatte per sopravvivere con i mezzi più strani e subdoli?

Quante volte ci si è chiesti se non sarebbe stato meglio chiudere questi grandi carrozzoni polverosi di burocrazia e trasformare tutti i formatori in venditori come accade per le risorse di back office in sovrappiù?

E adesso immaginate un piccolo imprenditore...

Sì, immaginate uno di quei campioni della razza italica che letteralmente si è inventato il mondo. Ed ora ritrova in crisi.

Quello stesso che oggi viene tacciato di oscurantista perché non vuole investire in formazione. Ecco supponete che voglia farlo.. Be’ immaginate il risultato:

*       orde di consulenti che gli propongono interminabili analisi delle esigenze,

*       la tribù sofisticata dei guru che gli dicono di far sì che la sua azienda diventi la casa di ogni dipendente

*       le truppa d’assalto di tecnologi che gli chiedono investimenti in sistemi che neanche il suo tecnico dei pc capisce.

*       Managers “made reduntant” (è più soft dirlo all’inglese. Anche se il significato non cambia: buttati fuori) che cercano di riciclare le loro esperienze.

Ecco è saggio se rifiuta. Veramente meglio lasciar perdere!

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