BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 26/01/2004

CASO PARMALAT: MA CHE SENSO HA UN RATING NEL PRESENTE?

di Aleph V°

Per noi che viviamo nel futuro è facile andare nel passato e fare i profeti. Quindi quanto dirò non deve essere ascritto a mio merito. Spero invece sia usato per costruire il più in fretta possibile un nuovo futuro.
Vorrei “buttare” nel dibattito sul caso Parmalat ( e limitrofi) un problema che è tanto rilevante quanto trascurato.
Si provi a immaginare: un risparmiatore compra un bond emesso da una società a scadenza 2007. Bene, cosa riesce ad assicurarmi il rating di questa società, anche il rating migliore fondato sulle informazioni più certificate e più corrette? Che oggi la società emettente è “sana”. Ma per me che ho comprato i bond non basta!
Accidenti, a me interessa capire se sarà “sana”, “solida” al momento (nel 2007) in cui dovrà restituirmi i miei soldi. Oggi potrebbe anche non essere “sana”, ma usare i miei soldi per diventarlo!
Ora, per compiere questa valutazione le informazioni patrimoniali economiche e finanziarie sullo stato attuale della società non servono praticamente a nulla.
Servirebbero informazioni sul suo piano strategico. Servirebbe valutare come varierà nel tempo la sua posizione competitiva grazie a questo piano. Servirebbe comprendere la qualità delle risorse che garantiscono la costruzione del futuro: le risorse umane e tutte le risorse intangibili.
Ma tutto queste informazioni tendenzialmente non sono né utilizzate, nè sono “ratizzate”.
La mia conclusione allora è banale, ma grave: anche il controllo più accurato, indipendente e con le informazioni più attendibili garantisce al massimo l’oggi. Ma non dice nulla sullo stato della società nel momento in cui (soprattutto se questo momento è lontano nel tempo) restituire i soldi.
Mi immagino l’obiezione: ma non è possibile prevedere il futuro! Ecco: non è vero! Una disciplina strana, poco conosciuta, in genere, a chi si occupa di finanza (la strategia d’impresa), fornisce tutti gli strumenti, almeno per capire se una società sta costruendosi un futuro traballante che la porterà a non poter rimborsare un eventuale bond.
Se rileggete i “vecchi” articoli di Bloom, troverete (data: 20 luglio del 1999) pubblicato a firma Francesco Zanotti la presentazione di una metodologia che serve a questo scopo: il ciclo di vita del valore. Provate a collocarvi in quei giorni e prevedere, utilizzando questo strumento la capacità della Parmalat di produrre valore a quattro anni data (cioè l’anno in cui voi mi leggete). Poiché la sua competizione sarebbe diventata sempre di più una competizione di prezzo, la sua capacità di produrre valore doveva essere prevista in forte calo. Già da allora e senza leggere i bilanci. A oggi: la liquidità dichiarata ( e poi scoperta inesistente) non sono era “strana” finanziariamente, ma non poteva essere stata prodotta da una impresa con quelle caratteristiche strategiche.
Per far “lavorare” gli strumenti della strategia (compreso il ciclo di vita del valore) non servono informazioni particolarmente riservate o complesse: in tempi come i vostri, nei quali una classe dirigente si auto rappresenta così volentieri attraverso il sistema dei media, basta un attenta lettura dei giornali per avere tutte le informazioni necessarie ad emettere un rating strategico. Forse è meno facile costruire un rating strategico positivo (dare garanzie che una impresa produrrà valore tra qualche anno). Ma è facilissimo costruire rating strategici negativi, cioè capire se una impresa non riuscirà a produrre valore nel futuro. Soprattutto se si parla di imprese con sistemi di offerta “banali” come i beni di largo consumo.
Certamente è necessario anche andare al di là dei giornali. Propongo, accanto al ciclo di vita del valore un’altra "metodologia" ancora più semplice: si dia una valutazione della qualità professionale del progetto strategico di una impresa. Se si tratta di un piano strategico serio allora è necessario discuterlo nei contenuti. Ma se si tratta di un piano strategico banale basta il giudizio sulla forma: dove volete che vada una impresa che non sa neanche produrre un piano strategico di livello professionalmente decente? Che futuro potrà costruire quando non si premura di immaginarlo? Se questa impresa chiede soldi è evidente che lo fa solo per sopravvivere e non per costruire il futuro.
Domanda finale: qual è la “qualità” del pian strategico (quello che dovrebbe dire come la società produrrà le risorse per rimborsare i bond) della Parmalat?
Forse che nessuno se lo è chiesto?
Ma allora il problema non sono le leggi, ma la cultura: la cultura strategica che manca a imprenditori, amministratori, revisori e banchieri.

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