BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 12/11/2001

L’amico americano n. 14

Marche

di Gianfrancesco Prandato

Il ruolo delle marche o dei marchi, se preferite, è un punto molto dibattuto nell'attuale congiuntura economico politica.
Come sempre ci sono due tesi contraposte che si fronteggiano. Da una parte i radicali, frange del movimento contro la globalizzazione che li identificano come una sovrana fonte dei mali del mondo. Mi pare per due motivi; una spinta al consumismo, al futile, alla distruzione inutile di risorse. E un veicolo di disuguaglianza, perché identificano e distinguono i ricchi dai poveri. Sul lato della produzione definiscono, creano la disuguaglianza, perché, i manufatti vengono prodotti da paesi poveri e venduti con alti profitti in paesi ricchi. E' quindi un appropriarsi della catena del valore da parte dei paesi ricchi generata dal possesso dei marchi.
Le tesi dei contrari al marchio mi sembrano ben rappresentate dal libro di successo Nologo della canadese Naomi Klein (1) , che è solo l'ultimo e forse il più interessante testo contro la globalizzazione e lo strapotere delle grandi imprese (2) , specie quelle dotati di forti machi (brand). La tesi non è nuova e in parte ed è fondata su elementi di realtà, legati al potere economico rappresentato dalle imprese nella società moderna e al potere di seduzione che inducono (3) .
In sintesi il libro di Klein è una analisi della presenza, anzi della onnipresenza dei marchi nella nostra vita quotidiana. E' la rappresentazione descrittiva di quello che il film di John Carpenter "They alive" mostrava con la genialità del cinema a basso costo. Il film è confezionato con lo stile dei prodotti SF degli anni 50, ma in realtà, come i prodotti di quel periodo, può essere letto ad una altro livello, ed è una analisi della sovrastruttura dei valori e quindi dei bisogni individuali indotti che i marchi portano nella società. Nel film questa chiave di lettura è rappresentata dagli speciali occhiali indossati dal protagonista, che permettono di vedere la realta' in bianco e nero, così come è, anziché con i colori artificiali dati al mondo da questi potenti persuasori occulti. Se volete è anche il tema di "Matrix", film di culto della generazione informatica: quello che vediamo è vero, o è solo quello che ci vogliono far vedere.
L'assioma di fondo è che siamo dominati dai marchi. I marchi fanno dei profitti sulla gente, o meglio contro la gente. E ancora che il profitto è, per definizione, contro i paesi del terzo mondo, una sorta di espropriazione ai danni dei lavoratori che sono all'interno del ciclo produttivo e fabbricano questi prodotti. In più, c'è l'espropriazione del lavoro dei lavoratori dei paesi avanzati che sono messi in competizione per produttività e costi con i lavoratori del terzo mondo. Sotto questo profilo la teoria dei NOGLOBAL assume le sembianze di un vero complotto ai danni del lavoro e riscopre, anche se non proprio apertamente, alcuni dei fondamenti teorici del marxismo. In più ci si aggiunge un po' di ecologia, che però non mi pare il punto centrale nel pensiero di questo movimento. Altra conseguenza globale è la labilità e la legittimità della sovranità nazionale di certi stati in cui queste grandi multinazionali hanno radicatoli i loro siti produttivi.
Un tema profondo e articolato quindi, che solo ora prende vigore e sale prepotentemente alla ribalta, ma che in realtà viene da lontano. E' l'invito a scappare dai grandi budget pubblicitari, dalla grandi marche che manipolano i gusti delle persone, una rilettura in chiave moderna del ruolo dei persuasori occulti, che a questo punto diventano persuasori palesi per ruolo, visibilità e pressione.

C'è anche chi pensa che questo giudizio sul ruolo dei marchi e delle imprese che li hanno prodotti sia ingiusto o perlomeno non del tutto equilibrato e giustificato.

A favore delle marche ci sono ovviamente le aziende che vedono in esse la maggiore fonte di valore patrimoniale e commerciale di molte imprese. Cosa sarebbero la Gap o la Benetton senza il marchio, o anche in settori diversi, la Mercedes? Questo rappresenta per molte imprese il vero valore, il goodwill, la barriera alla concorrenza che hanno costruito negli anni.

Ma oltre a questo c'è una parte dei consumatori che ricorda come i marchi sono nati anche per offrire protezione dei clienti. Per esempio nel mondo delle sigarette è per la presenza di una marchio come Phillip Morris (4) che si è potuta avere la causa legale da molti milioni di dollari per il risarcimento alle vittime del tabacco. La merce infatti se induce un bisogno, o una aspettativa, ne è anche responsabile, specie negli USA.
Marchio è anche responsabilità quindi, molto più difficile da riconoscere con un produttore generico e non visibile. Non solo, marchio è anche aspettativa di qualità, che è la faccia positiva dello status symbol tanto odiato dalle persone ostili alle marche.

Da ultimo, e ancora più importante, marchio vuol dire competizione.
Questa osservazione è più valida nella new economy, ma resta sempre importante e primaria anche per i settori più classici, come per esempio l'abbigliamento, auto, ecc…..
Un marchio identifica un valore, vuol dire scelta tra più marchi, perché dare un marchio a un prodotto vuol dire dargli una connotazione, una visibilità fondamentale. E questo significa creare competizione, in definitiva maggiore scelta per il consumatore (se si crede nel mercato!).
La lealtà del consumatore al marchio resta sempre relativa, così come resta limitata la possibilità di manipolare attraverso i marchi milioni di persone. Il frutto della manipolazione delle marche non è una barriera così difficile da superare. Il marchio, identificando un prodotto, lo rende spesso anche più vulnerabile a problemi di qualità e di credibilità di mercato. Un marchio, proprio perché è visibile, può diventare un bersaglio.
Per esempio, un caso da manuale è il movimento per elevare le condizioni di lavoro nelle fabbriche dei paesi poveri quando queste lavorano per marchi visibili conosciuti. Il marchio e la sua notorietà offrono ai lavoratori una opportunità di ottenere condizioni di lavoro più favorevoli molto più alta delle opportunità offerte singolo produttore locale.
Anche il consumatore, di fronte ai prodotti 'di marca', ha qualche arma in più: può pretendere un alto livello di qualità, può chiedere di verificarlo, può decidere in conseguenza di questo di non comprare - non solo a livello individuale ma a livello di movimento consumerista. Un marchio, oltre al simbolo dell'imperialismo industriale, può essere un tutela; per molti.


Note:
1 Klein, Naomi, No Logo, Flamingo (Harper Collins Publishers), 2000; trad. It. No logo, Baldini e Castoldi, 2001.
2 E' una tesi che si trova già espressa negli scritti di molti economisti. Joseph Schumpeter resta probabilmente l'autore di riferimento.
3 Vance Packard, The Hidden Persuaders; 1957; trad. it. I persuasori occulti, Einaudi.
4 "The Economist",9.8.2001, Why brands are good for you?.

 

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