BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 10/12/2001

L’amico americano n. 15

Globali

di Gianfrancesco Prandato

La globalizzazione è sotto tiro, anzi, è il concetto stesso di globo, come lo conosciamo, che è in crisi. Dopo gli entusiasmi degli anni 80 (1) è arrivato un grande freddo.
La televisione globale, CNN e MTV sono chiari esempi, e il crescente uso dell'inglese ci hanno avvicinato agli stessi consumi, ma mai forse siamo stati così radicalizzati e distanti tra culture, religioni e popoli. E' come se ci fosse una strana legge sociale che innesca l'aggressività anche via etere. Mi pare di poter dire tranquillamente che la televisione ha sviluppato questa logica Us and Them e non ha contribuito ad abbattere alcuna barriera. Più sai dell'altro, più ti avvicini e lo conosci, meno lo accetti.
Il concetto di tolleranza e accettazione, facile in situazioni di distanza, si è dissolto di fronte a questo "contatto". Ciò che resta è una crescente diffidenza e ormai aperte dichiarazioni di intolleranza e superiorità.
Forse, in questo tentativo di rispettare e recuperare la ricchezza della diversità, unica resiste l'America.
Viaggi, che una volta erano alla portata di mano, come il Kashmir, l'Indonesia, ma lo stesso Afghanistan, sono diventati proibiti. Dove una volta si faceva una vacanza esotica ora c'è una zona di guerra e facilmente si rischia la vita, come dimostra l'omicidio gratuito dello skipper di Coppa America. (2)

Siamo più distanti nella vicinanza: la minor distanza ci porta ad apprezzare e a enfatizzare i punti di differenza. (3)
Alla radice della radicalizzazione (4) del confronto ci sarebbe anche, non unico ma importante fattore di instabilità, il fenomeno della globalizzazione economica. Per questo la maggiore integrazione dei paesi e dei mercati mondiali porta vantaggio ai paesi più avanzati, che traggono beneficio da questa sorta di decentramento del lavoro. Una tesi francamente non nuova e non destituita di tutti i fondamenti che riprende e aggiorna le teorie sulle multinazionali degli anni 60 e 70.

Lavoro
Il vantaggio le imprese multinazionali lo traggono pagando meno i lavoratori dei paesi meno avanzati per produrre merci sono poi vendute nei paesi avanzati con ricavi e profitti che sono giudicati esosi. (5)
Un caso da manuale è il Pakistan, la cui ricchezza, rappresentata dal pil, è diminuita dal 1990 ad oggi in maniera consistente. (6) Questo è un fatto verificabile. Ma le ragioni non sono chiare. Sicuramente c'è un declino dell'investimento estero che porta a un declino del pil, i più dicono per un problema di credibilità, del paese, di corruzione, di mala gestione che fa diminuire la fiducia e sterilizza il flusso dei capitali. Gli investimenti sono guidati nel mondo capitalistico dalle aspettative, dalla credibilità e stabilità del paese.
Le imprese con le loro marche feticcio, sarebbero il problema, il motivo per cui i consumatori pagano un prodotto più del suo valore intrinseco, ammesso che sia possibile definirne uno. Questo è quello che capisco leggendo e ascoltando alcuni amici che hanno più conoscenza di me in questo argomento. E' un pensiero emergente che ha coagulato un movimento eterogeneo, fatto di moderati e di estremisti. Questi ultimi non mancano mai, come si sa. E se a Genova hanno fatto vedere la loro presenza, non erano mancati anche in altri appuntamenti videomediatici. Mi piacerebbe sentire l'opinione di gente che vive in questi paesi poveri; per ora guardando ai dati mi sembra che la realtà sia più complessa e articolata.
Ma quello che dicono è vero? Sono, vere, nel senso di supportate da fatti e da dati, queste affermazioni di sfruttamento e di dominio, che la globalizzazione spinge?

La realtà dei dati sembra un po' diversa, anche se effettivamente prendendo in considerazione gli investimenti in infrastrutture, più dell'80% sono nei paesi a alto reddito. Questa però è una fotografia statica.
Lo sfruttamento dei lavoratori (7) è un altro problema centrale. Per quanto riguarda il reddito dei lavoratori dei paesi poveri, bisogna chiedersi non dove arrivano, ma da dove partono. In realtà queste imprese portano maggiore occupazione, migliori situazioni lavorative, anche dettate dalla vulnerabilità dei marchi (8) all' opinione pubblica, e, infine, nel medio periodo, aumentano i costi del lavoro sotto forma di aumenti del retribuzioni e migliori condizioni lavorative. Nel 2000 una analisi del Financial Times (9) dimostra come le azienda affiliate a multinazionali nei paesi poveri paghino quasi il doppio a parità di posizione, delle aziende che operano localmente e senza affiliazioni internazionali. Questo è anche il frutto delle pressioni dell'opinione pubblica, però è oggi un dato di fatto, confortato dai dati.
Per cui, primo punto, non tutti i lavoratori peggiorano il loro livello di vita. Sicuramente quelli dei paesi poveri tendono ad aumentarlo. Diverso è invece l'andamento dell'occupazione nei paesi industrializzati. Questi lavoratori sono effettivamente sotto una nuova competizione, un nuovo mercato del lavoro, una nuova pressione esterna che mette in discussione le logiche sindacali e di mercato. Negli ultimi anni questo ha prodotto una forte deindustrializzazione, o meglio delocalizzazione della produzione, delle economie avanzate (10) Qualcuno potrebbe perfino dire che la globalizzazione agisce come fattore di riequilibrio tra le economie avanzate e quelle meno avanzate, anche se a spese di una sola parte sociale delle economie avanzate, quella del lavoro legato alle manifatture.
Lo dice D.Dollar (11), un economista della della World Bank, che ha "dimostrato" come il libero commercio sia un fattore di crescita per i paesi. La quota di crescita del pil dei paesi che hanno abbracciato, o cercato di incrementare, il free trade è passata dal 2,9% negli anni 70 al 5% negli anni 90.
I paesi che non hanno perseguito queste prassi di free trade sono declinati dal 3,3% degli anni 70 al 1,3% degli anni 90. Il Pakistan è tra questi ultimi.
Forse è solo l'inizio perché l'India sta dimostrando che può competere anche con settori avanzati dell'economia (12)

Diseguaglianza
La generazione di disuguaglianza poi, la vera radice dello squilibrio (13), pare essere spinta da fattori diversi. Come la tecnologia e la formazione, che non mi pare siano, che io sappia, presi in minima considerazione da questi movimenti. La produzione e il commercio di beni, sono in realtà molto meno influenti e meno importanti della tecnologia e dei servizi.
Il training e le conoscenze sono un alto fattore di disparità tra i paesi e le persone. Una analisi della spinta alla diseguaglianza sul mercato del lavoro americano (quindi è un taglio sicuramente parziale) indica nelle competenze tecnologiche di base il più importante motivo di disuguaglianza 29%, più dell'immigrazione 3%, molto di più della non sindacalizzazione, 5% (14).

Non a caso Bill Gates è l'uomo più ricco del mondo. L'intangibilità su cui ha fondato il suo successo e la sua grande ricchezza, non è solo quella di un marchio, ma è quella di un prodotto (intangibile) tecnologico.


Note:
1 K. Omahe, con i suoi libri, e' un esempio di questa tendenza. V. p. es. K. Omahe, K.,The End of the Nation-State. The Rise of Regional Economies, New York: Free Press, 1995

2 E' una delle tante notizie luttuose del momento, in www.washingtonpost.com

3 M. Hardt,A.Negri, Empire, 2000. Si veda la recensione nella rubrica di www.bloom.it Recensioni

4 The Economist, 9, 29.10,5, 2001, The case of globalisation, vari articoli.

5 Naomi Klein, No Logo, Flamingo (Harper Collins Publishers), 2000, trad. it. No logo, Baldini e Castoldi, 2001. E' la bibbia e il libro più rappresentativo di questa corrente.

6 Business week,10,2001

7 The Economist, 2001

8 L'Amico Americano n 14. Marche. La logica del brand power può anche aiutare i lavoratori.

9 FT,29,9,2001, pag13.

10 The Economist.

11 Washington Post, novembre, Cause, effect and the wealth of nations.

12 Si veda Silvia Zanazzi e Maria Weber, Uno sguardo sull'India, "Sviluppo & Organizzazione" 186, Luglio-Agosto 2001, interessante articolo sull'economia indiana, oppure su Bloom, Varanini, Simputer.

13 Lester Thurow, Generating Inequality: Mechanisms of Distribution in the U.S. Economy, 1975, è un famoso libro che analizza I motivi della discriminazione dei neri americani. Buona base per capire i meccanismi dell'ineguaglianza economica. Sono grato a Giovanni Costa di avermelo fatto scoprire dando un taglio fondamentale all mia formazione personale.

14 FT, citato, pag. 9.

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