BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 07/11/2005
"ARBEICHT MACHT FREI" ...??"

di Nicola Antonucci

“non serve a niente essere vivi / mentre lavoriamo”. / Ma ecco la più amara verità: / bisogna meritare anche la schiavitù. – Valerio Magrelli, Poeta

La plausibile risposta radicale, da parte di un sensibile poeta quale Valerio Magrelli, alla domanda posta dal titolo di questa rubrica – che intende sviluppare la consapevolezza dei meccanismi che legano tra di loro Lavoro, Libertà, Vita e Salute – evidenzia solo in parte la profonda ambiguità della stessa domanda.

Ambiguità rilevante sotto numerosi aspetti, e pertanto ancora più perniciosa, qualora non compresa, per la nostra salute.Ambiguità che nasce da contesti religiosi, filosofici, sociali e, più recentemente nella sua espressione tedesca qui riportata, storico-politici- dagli esiti trascendentalmente tragici.

Ambiguità che scaturisce dalla originale associazione lavoro-condanna sancita nella cultura ebraico-cristiana dalla Bibbia (Genesi – 3, 23: “Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto.”); ambiguità che diventa più raffinata nella avanzatissima pòlis di Atene, dove gli “Uomini liberi”, liberi di pensare, discutere, votare, erano appunto tali perchéliberi dal lavoro – attività adibita alla schiavitù! Istituzione quest’ultima che sopravvisse indisturbata per altri 2000 anni e terminò perché -forse… -ha soltanto cambiato “pelle”, adottando la nostra!

E così l’aristocrazia, il clero e il popolo di tutti i tempi e luoghi non hanno mai avuto dubbi su quanto fosse ignobile per un “nobile” lavorare, e quanto invece il volgo fosse nobilitato dal lavoro stesso– tutti con la serenità di condividere una legge di natura e la benedizione divina!

Poi, all’improvviso – rispetto a una scala temporale di evoluzione culturale – il lavoro, diversamente da come conosciuto e vissuto per millenni, è diventato il “Fondamento di Repubbliche” (vedi l’articolo 1 della Costituzione Italiana), il viatico per “nobilitare l’Uomo”, un possibile epitaffio (“ha dedicato la propria vita al lavoro”) e addirittura, nella nostra Italia provinciale dei primi anni ’70 (dopo la stagione degli scioperi dell’ “Autunno Caldo” – guarda caso…) una conditio sine qua non sessuale (“chi non lavora, non fa l’amore.” - Celentano dixit …).

Come sia stato possibile una cosìrepentina “trasvalutazione” del concetto del lavoro, e soprattutto – a quale scopo? E il nostro sistema psico-neurologico -come e quanto ha assorbito la nuova concezione del lavoro, ovvero come ne risente di tale evidente ambiguità storico-culturale?

Quali conseguenze ha tale ambiguità concettuale negli ambienti in cui tutti noi lavoriamo, sull’equilibrio psicologico tuo e mio, nonché tra di noi? Come ti spieghi i comportamenti “strani” tra colleghi della tua azienda - talvolta forse ti sembrano “poco umani”, altre volte, volendo scomodare un termine tecnico, un “tantino schizofrenici”? E non puoi sempre addurre razionali motivazioni economiche o di potere! Di nuovo, come insegna la teoria dei giochi, forse non conviene tanto chiederci “come” e “perché”, quanto “a quale scopo”?

Dal raggiungimento di una consapevolezza integrata – oggi diciamo “olistica” – su tali temi, discende una maggiore possibilità di “vaccinazione” contro i “virus culturali e ambientali” che portano a disturbi dell’equilibrio fisico e psichico.

Forse ho posto qui troppe domande, ma vorrei condividere con te l’insegnamento del filosofo Umberto Galimberti che mi ha insegnato che “spesso la comprensione di una domanda è più importante e decisiva delle sue possibili risposte!”.

Nei prossimi articoli, le “possibili risposte”.

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