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Pubblicato in data: 14/11/2005

IL CREPUSCOLO DEGLI IDOLI, I: IL MERITO

di Nicola Antonucci

Che io abbiail Coraggio di affrontare ciò che posso cambiare, la Saggezza di accettare ciò che non posso e l’Intelligenza di distinguere tra i due.

Premesse

Nel precedente testo introduttivo ho accennato all’evoluzione del concetto di Lavoro passato dalla categoria millenaria di condanna biblica a quella più recente, dell’era capitalistico-industriale, di essenza filosofica – addirittura! – dell’Essere Umano (Karl Marx : “Il Lavoro crea l’Uomo.”). Tale epocale mutamento del valore del lavoro è necessariamente coinciso con l’inoculazione di concetti che eviterò di catalogare con le due “estremistiche” categorie del Vero e del Falso, a cui vorrebbero invece abituarci – meglio: atrofizzarci – i mass media e gli strumenti di persuasione di massa; andrò invece a scandagliare l’intero spettro delle possibili categorie (falso, irrealistico, realistico, plausibile, vero) a cui appartengono le idee che oggi abbiamo del lavoro, per meglio comprendere quali giovino, ovvero nuocciano, al nostro benessere psico-fisico, alla nostra libertà e alla nostra Salute Professionale.

Con Salute Professionale intendo quello specifico stato di equilibrio con i propri impegni e doveri professionali che si misura empiricamente in due momenti della giornata: al mattino, dalla serenità con cui si affronta una giornata di lavoro; al termine del lavoro, dalla tranquillità con cui si torna agli interessi, agli affetti e alle attività della propria quotidianità; ciò corrisponde a quell’equilibrio tra vita professionale e personale di cui si parla tanto – meglio: soltanto!

Tale Salute Professionale nasce dalla coerenza tra la propria visone del mondo del lavoro, con i conseguenti comportamenti e principi personali, e la realtà “nuda e dura”, con le sue concrete, e spesso inflessibili, regole; l’eventuale incoerenzatra questi causa frustrazione e sofferenza, con riflessi negativi sul benessere psico-fisico.

Non è indispensabile scomodare il Buddha, ma la sua forma di razionale “psicoterapia” ante litteram aiuta a individuare e focalizzare i disagi, a comprenderne le cause profonde e a stabilire l’approccio più efficace verso di essi per superarli.Lo sforzo, necessario, va rivolto ad affrontare quindi con mente aperta l’analisi della propria visione del lavoro rispetto alla sua essenziale realtà, con le risultanti disarmonie figlie dell’ignoranza delle regole ferree che sottendono ogni realtà; da qui, sarà più agevole comprendere quali aspetti possano essere cambiati con coraggio e quali vadano accettati con saggezza.

Parto dalle idee più diffuse in merito al lavoro che sottendano situazioni negative, di disagio psico-fisico: queste trovano terreno fertile nelle idee irrealistiche, se non persino sbagliate e false, relativamente alla realtà del mondo del lavoro; disagio che si acuisce quando si persiste nella visone irrealistica - quando si insiste nel sognare ciò che non esiste!Si evidenziano in tali casi una fedeltà a, e una venerazione di, falsi “idoli” astratti tipici di ogni Cultura che, con la sua mente collettiva a cui noi stessi apparteniamo, crea ciò che si finisce per credere essere la vera realtà lavorativa, per scopi di cui l’Essere Umano diventa spesso semplice mezzo; una volta dentro di noi, questi idoli s’identificano con noi stessi, e siamo pronti a difenderli insieme alla loro corte di idee, princìpi e comportamenti che essi ci impongono facendoceli credere nostri!

Il merito

Uno degli idoli che è stato ben inculcato nelle nostre menti, ma che si rivela irrealistico ad un’analisi più approfondita, è la centralità delMerito in una Cultura che si autoproclama meritocratica.

In una cultura meritocratica, si viene programmati sia alla dimostrazione, fino all’ossessione, dei propri individuali meriti, sia alla ricerca, fino all’implorazione, del conseguente agognato riconoscimento; si soffre quindi inevitabilmente per la volatilità di tali riconoscimenti, per la durezza delle prove richieste, per le “scorciatoie” con cui alcuni sbeffeggiano il Merito “sudato”, per gli insulti che l’ignoranza e la superficialità di altri elargiscono a Meriti per loro irraggiungibili.

Tali sofferenze risiedono però proprio nella visione dei Meriti professionali considerati eventi personali e individuali, oggettivi e non discrezionali, superiori e predominanti rispetto ad altri criteri nel determinare il proprio percorso di crescita; a soffrirne sono quindi soprattutto coloro che più credono nell’idea, e che più profondono sforzi nel dimostrarla, che il Merito rappresenti assolutamente una valutazione obiettiva del loro individuale impegno, mentre rimangono inattaccabili da possibili frustrazioni coloro che poco o nulla hanno profuso nel perseguire tale credenza.

Tutto ciò è la premessa sia per stati di confusione e frustrazione da una parte, sia per l’esercizio di efficaci strumenti di inganno e persino di raffinate tecniche di mobbing (ossia: danno biologico) dall’altra!Come appena detto: tanto più efficaci quanto più la vittima si ostina in una qualche irrealistica idea di Merito…

Fondamentalmente il Merito non ha, né può avere, quella oggettività che noi crediamo debba avere sia per assicurarsi il predominio su altri criteri puramente discrezionali di valutazioneprofessionale, sia per renderlo misurabile, condizione necessaria perché sia anchecom-misurabile al Merito di altri colleghi, di qualsiasi grado, nella fantomatica “scala” meritocratica.Sull’oggettività e misurabilità dei meriti sono stati spesi immani quantità di tempo, di carta e di alberi, per spiegare i criteri adottati per realizzarli, salvo lasciare poi al capo, nei fatti, ampia discrezionalità di decidere in merito – altrimenti, che ne sarebbe del suo potere?!

Prima ambiguità leggermente schizofrenica…

Ben prima però della vaneggiata valutazione oggettiva e quantitativa dei Meriti sulla base dei criteri stabiliti, occorre analizzare gli stessi criteri e come sono definiti; questi sono sempre basati su semplicistici postulati di linearità, di relazione causa-effetto facilmente prevedibile, ignorando concettualmente la complessità del Sistema Azienda, anche della più piccola con i suoi processi circolari, che trasforma ineluttabilmente ogni azione intenzionale anche in qualche effetto inintenzionale, ogni attività migliorativa in una conseguenza negativa per qualcuno o qualcosa – nulla di strano o di male in tutto ciò: parliamo semplicemente di dilemmi, ineluttabilmente insiti in qualsiasi sistema fisico o umano che non sia banalmente e irrealisticamente lineare (ossia: prevedibile e “più ce n’è, meglio è!”), bensì circolare (ossia: difficile da prevedere e “più ce n’è, meglio è … ma solo fino a un certo punto, poi sono guai!”); questi dilemmi pretendono sempre di essere risolti, non ignorati da approcci decisionali o valutativi molto semplicistici!

Non ci è dato prevedere quando la cultura aziendale assorbirà le ricadute concettuali delle rivoluzionarie comprensioni del mondo da parte della Fisica (in particolare, della Teoria del Caos, nata negli anni ’60 -’70)e della Matematica (in particolare, del Teorema di Incompletezza di Gödel del 1931), ma è evidente che sono fondamentalmente ignorate, tuttoggi, le conseguenze pratiche sia della circolarità (o non-linearità) dei processi, che rende complessa anche la struttura apparentemente più semplice, sia della difficoltàlogica di dare oggettività ai dati, ai fatti, ai risultati!Persino la matematica, quindi, ha ridimensionato le proprie pretese sulla Verità, che noi Umani continuiamo invece a invocare o attribuirci - altro scollamento con la realtà, causa di altri e più profondi disturbi.

Purtroppo, tutti noi, per l’educazione ricevuta – con lo scopo di renderci produttivamente più efficienti, ma anche antropologicamente più ignoranti – siamo e rimaniamo attaccati alle nostre “fissazioni” tanto duramente apprese: le rasserenanti Verità comportamentali e metodologiche, l’oggettività dei dati, le facilmente prevedibili relazioni lineari tra causa ed effetto; tutte queste “unità culturali” che replichiamo di generazione in generazione, di maestro in allievo, non ci permettono di accettare e interiorizzare facilmente ciò che alcuni rivoluzionari pensatori del XX secolo hanno invece già scoperto di errato in esse.E se è vero – com’è stato riconosciuto persino dalla “dura e pura” Fisica- che “i dati sono intrisi di teoria”, che anche i fatti, quindi, apparentemente più oggettivi sono condizionati dal nostro schema mentale e dalla nostra Cultura, quanto pesa allora nell’oggettiva misurazione del Merito l’ultima partita a tennis col proprio capo, la sua gastrite o suo marito/moglie?

Piace a tutti pensare che ilMerito sia oggettivo e misurabile, in modo da attribuire maggior valore al riconoscimento del proprio Merito professionale rispetto a possibili riconoscimenti più discrezionali di cui beneficiano altri (simpatia, sex appeal, comunanza d’interessi o di cravatte…); non sempre però tale aspettativa viene confermata dall’esperienza …

L’unico ambito aziendale dove esiste un minimo di praticabilità per definire, misurare e premiare i Meriti, perché coincidono sempre con gli Obiettivi (altro “idolo” che affronteremo prossimamente), è quello delle Vendite -pur tra tante discussioni, interpretazioni e favoritismi …; qui, l’analisi si limita a un singolo e facilmente computabile numero: il valore del “venduto”; se invece si cerca di migliorare (traduco: complicare) la valutazione con altri parametri, quali il margine ottenuto (“grazie che hai venduto molto – hai svenduto i nostri prodotti!”), la solvibilità del cliente (“hai venduto molto, ma a chi, tanto, nonpaga!”), allora meglio sarebbe pagare profumatamente scienziati capaci di modellare sistemi caotici a tre variabili piuttosto che assistere alle tragi-comiche discussioni per l’attribuzione delle oggettivamente meritate laute provvigioni!

Il Merito è assurto a Stella Polare: orienta e attrae, col risultato che se ne diventa servitori e schiavi, diventa una missione!Realizzarlo, talvolta a qualsiasi costo, ci viene insegnato essere prioritario, nonché necessario, perrealizzare noi stessi, in contrasto con l’evidente constatazione che tanti sacrificano invece la propria realizzazione esistenziale in nome di questo idolo, di questa missione che sia chiama Merito.

Secondaambiguità leggermente schizofrenica…

La colpevole conseguenza di tutto ciò è che si consegna inconsapevolmente nelle mani di chi esercita discrezionalità di giudizio sul proprio Merito – discrezionalità che si prodigherà a smentire in virtù di documentati criteri di valutazione oggettiva … -un potere eccessivo sul nostro equilibrio psico-fisico, con i danni biologici che sono sotto gli occhi di tutti, ma che la nostra Cultura fatica ancora a, perché non sa, recepire; la nostra Cultura punisce formalmente il pugno che infrange un setto nasale, mentre non sa punire gli insulti, le umiliazione, le esclusioni che danneggiano una Vita!

Per affrancarsi da questa auto-sottomissione e dai disturbi che può causare, occorre assolutamente acquisire consapevolezza su quanto il concetto di Merito usualmente utilizzato sia molto semplicistico, fin puerile nella sua presunzione di essere una chiave di valutazione di sistemi complessi quali quelli regolati dall’interazione tra Esseri Umani, e quanto sia quindi nocivo per il nostro equilibrio psico-fisico scambiarlo per una grande missione, con conseguente e sempre più diffusa “sindrome di neo-schiavitù” che analizzeremo in futuro.

I Meriti professionali esistono, certamente, ma occorre comprenderne bene la reale profondità oltre l’apparente e superficiale risultato; molti hanno difficoltà a percepirne la natura multidimensionale, definibile soltanto con la concomitanza di più fattori, non tutti sotto il proprio personale controllo…anzi!

Il Merito è un “nodo” che lega nei modi più vari il proprio impegno con la sana collaborazione altrui, in contesti favorevoli, e con la Fortuna, rimuovendo il preconcetto della inconciliabilità tra Fortuna e Merito (“Il bravo giocatore è sempre fortunato!” – J.R.Capablanca , l’imbattibile campione del mondo di scacchi degli anni ’20 e ‘30); di più: c’è del Metodo anche nella Fortuna.

Siamo programmati a forme di meritocrazia individualistica, sulla base della metafora della corsa: chi corre più veloce, (è giusto che ...) vinca!Ma, come spiegato sopra, ed escludendo ambiti monodimensionali, chi pensa che il Merito sia solo merito del proprio impegno, vive ancora in una miope infanzia egotica e dissemina diffidenza e sfiducia tra sé e i colleghi, deleteri per possibili collaborazioni e per un sano e piacevole ambiente umano.

Chi invece attribuisce un peso eccessivo alla componente di fortuna, deprime il mondo a una meschina pallina da roulette, e in essa annulla qualsiasi sano interesse, motivazione e entusiasmo personale, necessari per stimolare un minimo di adrenalina e di neurotrasmettitori, e per salvarlo dalla depressione in cui ha cacciato anche il suo mondo.

Tra le patologie che scaturiscono da un legame squilibrato tra le varie componenti del Merito, oltre a quelle citate, osserviamo anche l’eccessiva enfasi attribuita alla collaborazione altrui, che trascende talvolta in forme di raccomandazione, di dipendenza dall’aiuto del “padre” (o “padrino” che sia) e di neo-schiavitù, l’evoluzione capitalistica dell’antica schiavitù – molto meno produttiva!

Sappiamo tutti che, nella nostra Cultura, il Merito, e soprattutto il suo riconoscimento, è un potente persuasore, capace di motivare e di “drogare “ i nostri comportamenti fino a ridurre alcuni a inconsapevoli forme di neo-schiavitù; il Merito è diventato, nei “laboratori” della cultura e ideologia capitalistica, un vero e proprio virus culturale e psicologico (meme, secondo l’accezione di Richard Dawkins – ossia: “unità di replicazione culturale”) in grado di modificare il nostro assetto cognitivo e, quindi, il nostro comportamento.

I Meriti sono eventi puntuali, “lampi” di risonanza tra impegno proprio, collaborazione altrui, contesto favorevole e fortuna; sono “lucciole” da non scambiare per fari che orientano, talvolta per puri fini altrui, la nostra rotta esistenziale.

I Meriti vanno quindi riconosciuti, subito – con un piccolo o grande simbolo, economico o verbale che sia-non misurati, poi; tanto meno vanno commisurati annualmente ai Meriti degli altri colleghi per determinare quale parte di una “torta” già stantia spetti in modo obiettivo a ciascuno, istigando quella competitività che è efficace solo in situazioni lineari, semplici (come nell’abusata metafora della corsa...), non in situazioni di complesse interazioni umane dove la contropartita è la sistematica distruzione di collaborazione, di fiducia e persino di rispetto, un veleno che scioglie quel nodo al quale l’impegno personale sarebbe legato in modo naturale e sano, istigandolo invece all’ossessivo culto di se stesso.

La genialità è una forma singolare di Merito: non riconoscibile subito (talvolta soltanto postumo!), un “nodo” in cui il proprio impegno si lega poco, o per nulla, alla collaborazione altrui (anzi, incontra inevitabilmente scetticismo, diffidenza e ostilità!), mentre si lega nei modi più originali al contesto storico-culturale, da cui trae la necessaria ispirazione, e, notoriamente, alla decisiva fortuna (Louis Pasteur: “Il Caso favorisce le menti preparate!”); questa è anche l’essenza del concetto filosofico di Serendipity, la capacità di scoprire, sfruttando la casualità, ciò che nessuno immagina; è la capacità di cercare una cosa e …trovarne un’altra!

Il riconoscimento tempestivo e adeguato di un evento puntuale e molto circoscritto, qual’è il Merito, lo nutre e ne favorisce laripetibilità, e ciò è assolutamente condizionato dall’attenzione, sensibilità e interesse di chi giudica il Merito e vi associa simboli premianti piuttosto che punitivi (verbali, economici, comportamentali).

Il mancato, o tardivo, riconoscimento comporta invece l’inedia del Merito e l’improbabilità della sua replica.

Il Merito è quindi anche merito dei vertici aziendali, di coloro che determinano la cultura aziendale, ossia le modalità di interazione tra impegno del singolo, collaborazione dei colleghi, contesto favorevole e occasioni.

Va da sé che la carenza di Meriti è un demerito degli stessi vertici aziendali- tesi in palese contrasto, e quindi “inequivocabilmente falsa”, con il dogma aziendale secondo il quale i Meriti sono il prodotto oggettivo e misurabile dell’esclusivo impegno individuale.

Per quanto detto, e in particolare per l’impraticabilità di una misurazione oggettiva, occorre imparare ad accettare la discrezionalità del riconoscimento dei Meriti da parte di chi può concederlo, così come accettiamo che siano discrezionali tanti altri criteri di valutazione professionale che tolgono quindi al Merito qualsiasi reale primato e centralità; occorre perciò riuscire a squarciare e vedere oltre il velo frapposto tra la nostra inculcata visione dei Meriti (eventi personali, oggettivi, misurabili e confrontabili) e la loro realtà (eventi collettivi, ambivalenti, unici).

Soprattutto, occorre rimuovere l’altrettanto inculcata identità tra i Meriti e la proprianatura e personalità; i primi sono estemporanee scintille che scoccano tra noi stessi e l’ambiente circostante; le seconde sono stabilmente e profondamente radicate in noi soltanto, ben sotterrate spesso!

Il più grande Merito è riuscire a dissotterrare e scoprire la nostra vera natura e personalità, e non lo otterremo rincorrendo missioni e idoli esterni a noi stessi, identificati in ideali astratti – tra questi, il pur pregevole ideale di Merito…

Noi non siamo i nostri Meriti, ma ben di più!

I Meriti non sono i “mattoni” essenziali, tanto meno esclusivi, della nostra realizzazione professionale, esistenziale, umana.

I Meriti sono dei mezzi, molto efficaci, per vivere momenti di unione, di armonia o persino di risonanzatra il nostro impegno, la collaborazione altrui, l’ambiente e la fortuna; come per ogni esperienza umana di armonia tra noi e ciò che è “altro-da-noi”, il risultato è sempre un apprendimento ad ampio spettro, una maggiore conoscenza, soprattutto, di noi stessi, e tale sublime funzione umana comporta fisiologicamente un piacere – “il piacere della funzione”, per riprendere la felice definizione dell’etologo K. Bühler.

Andremo a smascherare prossimamente altri “idoli al loro crepuscolo”, per comprendere se, e come, affrontarli, affinché non nuocciano più al nostro benessere con stati di confusione e frustrazione, e soprattutto perché nessuno possa usarli contro la nostra stessa salute e libertà con forme, per rimanere nell’ambito del tema attuale, di “manipolazione” dei nostri presunti Meriti, dai quali siamo ormai, o ci hanno resi, psicologicamente e fisicamente dipendenti!

E’ pertanto decisivo saper disarmare coloro che, con sempre maggiore sapienza, utilizzano l’arma che gli abbiamo inconsapevolmente consegnata; arma che oggi chiamiamo mobbing, ma che già Shakespeareindividuava in una delle possibili cause di sofferenza mortale, quindi di suicido, in termini di:“insulti che il merito paziente riceve dagli indegni” (Amleto, Atto III, Scena I, “il monologo”).

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