BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 01/02/2011

 

QUALCUNO STAREBBE PEGGIO SE IL PARTITO DEMOCRATICO NON ESISTESSE? ALLA RICERCA DELL'IDEALE PERDUTO

di Claudio Baccarani (1)

La domanda formulata racchiude in sé la ragione per la quale un’organizzazione, qualunque essa sia, risulta socialmente legittimata ad esistere.
Infatti, se nessuno avvertisse un danno dalla sua scomparsa significherebbe che la stessa  non avrebbe ragione di permanere nel sistema sociale.
Qualcuno, militante o simpatizzante, saprebbe descrivere il danno che avvertirebbe nel caso della scomparsa del PD?
Temo francamente di no. Penso proprio che i tanti, gli inspiegabilmente ancora tanti elettori che votano il PD, non saprebbero come giustificare la sua esistenza.
Sì, tutti forse direbbero qualcosa, ma riferendosi a ciò che desidererebbero che il partito esprimesse, una loro ispirazione, un desiderio, a volte un sogno o un ideale, nel tentativo di cercare un senso dove un senso non c’è.
In realtà il PD è un partito alla deriva che trasporta ormai due soli tipi di elettori: quelli legati affettivamente e quelli che lo votano per esclusione per non disperdere il proprio voto.
Allo stato attuale il PD non può che pensare ad opporsi, non può aspirare di tornare al governo, perché questo potrebbe avvenire solo in relazione a clamorosi errori degli avversarsi politici o a reali rotture prodotte all’interno della loro compagine.
Ma anche una volta che questo accadesse, una volta che il clamoroso errore o la rottura si manifestassero e il PD con i suoi alleati tornasse al governo questo non reggerebbe che per poco, per il semplice motivo che mancando una reale ragione per stare insieme sulla base di un progetto di ampio respiro, in tempi brevi tutto si disgregherebbe, come è già accaduto in passate esperienze.
Si disgregherebbe all’interno dei meandri delle burocrazie di partito che ormai sono votate, a volte nascoste in una patina di intellettualismo, ad affermare solo loro stesse, pensando di trovare su questa strada la loro sopravvivenza.
D’altra parte, la tensione all’autolesionismo e all’autodistruzione sembra sia un tratto tipico del PD, o forse meglio delle sinistre in genere, nate solo per opporsi a qualcuno o a qualcosa, non per governare o stare insieme.
Il Partito Democratico in sostanza si può dire soffra di quella malattia della quale spesso è stata accusata l’università, è un’organizzazione autoreferenziale, è un’organizzazione che si auto-legittima, che esiste perché esiste e niente più, perché incapace di prospettare un futuro che sia desiderabile vivere e costruire.
Cos’è che manca per impedirne un declino che appare inarrestabile?

Manca una ragione che sappia raccogliere attorno ad un progetto credibile persone desiderose di contribuire a realizzarlo nelle forme a loro possibili.
Manca una guida capace di portare le persone a sentirsi orgogliosi di appartenere, o semplicemente simpatizzare, per quel partito.
Come si chiama questa ragione? Ideale, si chiama semplicemente ideale. Si dirà che non è più tempo di ideali. In realtà, da tanto la comunicazione politica cerca di farlo credere. Ma non si deve cadere in questa trappola, bisogna continuare a farsi domande, non bisogna cadere nel pantano dell’ovvietà e della vanità, nonostante la comunicazione lo sparga massicciamente e con quotidianità nel tentativo di annullare la capacità degli individui di interrogarsi sul futuro possibile e sugli ideali che possono contribuire a costruirlo.
In realtà, il desiderio di ideali e di stare insieme per qualcosa di giusto per tutti è vivo e presente tra le persone, basta che lo si sappia vedere e lo si voglia alimentare, come ben dimostrato dalla raccolta delle firme contro l’iniqua legge della privatizzazione dell’acqua.
Ma il Partito Democratico gli ideali non li ha più, li ha perduti nella modernizzazione della società e dell’economia, nella rincorsa continua ed affannosa di quello che altri propongono e nella preoccupazione esasperata di trovare un consenso esterno che blocca sul nascere qualunque vero progetto perché, ovviamente, scontenterebbe qualcuno.
Chi può essere capace di rivitalizzare un partito moribondo per riportarlo al centro dei progetti di sviluppo del Paese?
Non penso certo ad un nome. Penso piuttosto ai lineamenti che dovrebbe possedere chi desiderasse cimentarsi in questo tentativo.
Questa persona dovrebbe:
- credere nelle utopie, pur sapendo che non sono realizzabili, perché da lì viene la spinta al cambiamento,
- saper costruire un sogno e su quello un progetto,
- saper comunicare,
- saper valorizzare la diversità,
- essere dotato di un profondo senso di umiltà,
- credere nel rispetto,
- esprimere semplicità in quello che fa e dice,
- saper scegliere collaboratori non di partito che lo aiutino a vedere e ad ascoltare ciò che il mondo dice,
- cercare il dialogo e il consenso dicendo la verità, anche se scomoda, per essere credibile.
Va da sé che dovrebbe sapersi esporre in prima persona quando è necessario e dovrebbe possedere un forte senso della politica, intesa come arte del trovare convergenze tra opinioni differenti per collegare le parole ai fatti. Non dovrebbe amare apparire, ma dovrebbe saper apparire sempre quando è necessario. Non dovrebbe sfasciare, ma dovrebbe costruire attraverso il cambiamento.
Dovrebbe invece saper riconoscere i propri errori e farne ragione di crescita e mutamento.
Deve essere un giovane? Non credo si tratti di una questione di età, deve essere una persona che crede in quello che fa e capace di sganciarsi dalle sabbie mobili della burocrazia interna al partito.
Quindi una persona fuori dal partito? Non è detto, basterebbe che non fosse del tutto ingabbiata nei reticolati dei poteri interni o che avesse la forza di reciderli.
E l’ideale? Non c’è un ideale possibile per un partito come il PD nell’Italia di oggi?

C’è n’è uno tanto evidente che solo il non volerlo vedere fa sì che sia lasciato lì, pronto per essere fatto proprio da altri, che prima o poi creeranno movimenti su quelle basi con il risultato di frantumare ulteriormente l’opinione pubblica, con tutte le difficoltà che questo porta con sé nei termini delle coalizioni di consenso politico per governare.
Qual è? Semplice, è la ricerca della qualità della vita per tutti recuperando il senso di ciò che veramente vale e contribuisce a diffondere gioia e felicità, che non dipendono solo dalla materialità e dall’affermazione di sé, bensì anche dalla relazionalità, dalla sostenibilità e dalla bellezza. E’ la riduzione delle vistose disuguaglianze che si sono venute a creare negli ultimi anni nei quali i più ricchi sono diventati sempre più ricchi e i più poveri sempre più poveri. E’ la ricerca del bene comune, nella consapevolezza che nessuno, nemmeno il ricco, può stare bene in un mondo dove tanti avvertono enormi difficoltà.
Ma su cosa si basa un progetto capace di muovere verso questo ideale? Su tre punti fondamentali: l’equità fiscale, l’istruzione e l’efficienza della Pubblica Amministrazione.
Come?
Con normative più severe per gli evasori. Perché? Perché le imposte sono un dono che ognuno fa alla comunità perché essa possa prosperare e costruire il proprio benessere futuro. Ma si dirà, non sarà possibile, le lobby sono troppo potenti, si tratta solo di sogni, di utopie. Ma le utopie, come detto, servono per muovere le persone nella direzione desiderata e i “sogni” possono diventare “segni”. Tutto, infatti, dipende dalla dignità e dal senso del dovere di chi si impegnerà in questa direzione. Nulla è impossibile per chi ha un ideale in cui credere.
Ma il progetto richiede anche l’immissione di risorse crescenti nell’area a più alto rendimento futuro, il sapere dei giovani e delle persone in genere, attraverso un processo di formazione continua che consenta di diffondere senso critico e di movimentare tutte le energie creative e produttive del Paese.
Come d’altra parte richiede di riconoscere fiducia ai tanti piccoli “eroi” che vivono quotidianamente nella pubblica amministrazione il loro lavoro come una missione, sebbene li si voglia sempre far apparire come un popolo di fannulloni.
Forse si dirà che tutto questo c’è già. Dove sta il nuovo? Bene se c’è, ne sono felice, ma sarebbe bene farlo vedere, non limitandosi a giocare malamente di rimessa sulle azioni degli altri e a pensare solo a rafforzare le diverse correnti cercando ciò che divide invece di ciò che unisce.
Sarà forse la mia miopia che mi porta a confondere le cose, ma al momento ritengo che nessuno starebbe peggio se il PD non esistesse, fatta eccezione ovviamente per l’apparato che lo compone. Non intravvedo un danno alla società civile dalla sua scomparsa per la semplice ragione che il PD esiste solo nella forma e non nella sostanza, quasi fosse un “fantasma vero”.
Sono consapevole però del ruolo fondamentale che potrebbe svolgere, per cui confido che come l’Araba Fenice sappia risorgere dalle sue ceneri, imparando anche a comunicare e dialogare in forma semplice e chiara con i cittadini.



1 - Docente nell’Università di Verona, 27 gennaio 2011.

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