BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 10/03/2003

E-LEARNING: COMUNITA' VIRTUALI COME TEATRO E COME GIOCO

di Fabrizio Badiali

Premessa

Quello che vorrei di seguito legittimare, è il riconoscimento dello “strumento teatro” come integrazione di un percorso formativo a distanza in cui la socialità è penalizzata.

Con il termine teatro, non voglio riferirmi tanto alle pratiche sceniche o alle tecniche di recitazione, quanto richiamare uno spazio di dialogo e di ascolto in cui sia possibile rintracciare una sorta di “vissuto digitale”.

Nell’ambito della formazione permanente, che si inscrive nel quadro di un aggiornamento professionale continuo, il sapere diviene sempre più un prodotto articolato e specifico.

Dal punto di vista dell’erogatore, è in atto un processo di customizzazione dell’offerta, al cui centro risiede il cliente.

Potremmo ipotizzare un prodotto formativo sempre più vicino alla consulenza (in quanto chiamato a risolvere situazioni contingenti).

In questa sede tratteremo l’e-learning, come metodologia formativa, mostrando come oltre un impianto tecnologico (ambiente-piattaforma), siano richieste componenti soft in grado di alimentare e mantenere il tessuto sociale sottostante a ciascuna organizzazione (o insieme di persone)

La modalità on line presenta dei vantaggi:

- Facile fruizione nello spazio/tempo (accessibilità)

- Interazione tra pari

- Riduzione dei costi indiretti (ad es: il tempo necessario per raggiungere una sala studio).

Non dobbiamo dimenticare che al centro di ogni sistema formativo vi è l’individuo, portatore di un significante fatto di attese, inventiva e riscontri tangibili.

Le caratteristiche intrinseche all’e-learning, sopra citate, non sono in grado da sole di assicurare un corretto funzionamento del sistema; reputo quindi necessario costruire una sorte di “contenitore” che alimenti un senso di appartenenza e condivisione in chi intraprende un percorso formativo a distanza.

Parleremo quindi di comunità (virtuali).

Diamo alcune definizioni di comunità :

- “...insieme di persone che vivono nello stesso territorio o che, non vivendovi, hanno origini, tradizioni, idee, interessi comuni”;

- “organizzazione fra stati appartenenti alla stessa area geografica con finalità politiche o economiche”.

…ricordando che con l’aggettivo virtuale, intendiamo qualcosa che esiste in potenza, ma non si è ancora realizzato.

In entrambe le definizioni, l’elemento centrale è dato dal condividere (sharing).

Nell’ambito della formazione, tale aspetto lo troviamo:

- in un bisogno palesato di acquisizione di nuove conoscenze e/o competenze tra i fruitori di un corso;

- nella disponibilità a farsi carico di un impegno (responsabilità del singolo – aspetti motivazionali);

- nella comunanza del percorso intrapreso all’interno di una classe da parte di più individui (in questo caso intendo di ciascuna edizione di un corso).

Affinché si crei una comunità, è necessario quindi che alcuni individui cooperino tra loro e non singolarmente.

Dovremo allora chiederci come tale sorta di avvicinamento si strutturi.

Nel caso di un network aziendale avrò interessi economici preesistenti che spingeranno dal basso la cooperazione.

Ma nel caso di un corso, tra individui finora sconosciuti?

In termini di processi, mutuando un esempio dal mondo dello spettacolo, l’esito finale di un concerto, non è dato dalla semplice giustapposizione di alcuni strumenti musicali su di un palcoscenico, ma dalla soggettività dell’artista, dal suo pubblico e dalla capacità di intrattenerlo (alimentandone continuamente l’attenzione).

Nel caso della Fad occorreranno da un lato dei prerequisiti strutturali, quali ad esempio:

- forum

- chat

- area download

- bacheca

- motore di ricerca

- videoconferenza

- esercitazioni on line

- etc.

dall’altro un insieme di pratiche a sostegno dell’apprendimento: dall’appropriazione dei contenuti (ad opera del singolo), in modalità collettiva, si può creare una community (vantaggio competitivo  o indotto).

Tali pratiche dovranno sapersi misurare con le richieste provenienti dall’utenza.

Un gruppo di persone non creano automaticamente una community.

- Come si alimenta?

- Attraverso un bisogno di apprendimento (interesse personal-professionale)

- Attraverso un bisogno di condivisione/acquisizione di dati

Nel secondo caso, tale bisogno può essere motivato da uno stato di necessità, e non da una scelta.

- Cosa differenzia una community da un “ambiente condiviso (network)”?

Nel primo caso, il rapporto non si esaurisce nell’espletamento (acquisizione) del dato.

Proviamo ora a costruire un’ipotetico profilo dell’e-Man, chiedendoci quali prerequisiti dovrebbe avere:

- dimestichezza verso l’utilizzo di un Pc

- margine di incertezza (ipotizzata)

- forte attesa
(che si accresce e si struttura, proporzionalmente allo sviluppo dell’ambiente formativo)

- modalità di iscrizione/investimento economico (privato-azienda)

Nell'attuale mercato un corso di formazione on line porta  in sé una componente innovativa, data dalla novità del mezzo e dalla scarsa dimestichezza di chi vi si approccia per la prima volta. Aumentano quindi le aspettative, soprattutto quelle qualitative che distinguono l’erogazione di un servizio (nel caso di corsi brevi, una prestazione professionale).

Di seguito riporto alcune domande, con lo scopo di mostrare come sia insita nel virtuale, una componente sommersa, che se non gestita (e prima immaginata), può inficiare il risultato finale (l’apprendimento attraverso la soddisfazione del destinatario – cliente fruitore).

1. La community  è un concetto simile all’opinione pubblica?

2. Ha una struttura fisica (un corpo unitario)?

3. Come avviene la fruizione (fisicamente)?

4. Quale attribuzione/peso diamo al contesto, da cui fruiamo un dato contenuto?

5. Qual è la condizione minima affinché si possa parlare di community?

Possibili risposte

1. E’ un’astrazione che presuppone la  possibilità di svolgere delle operazioni in un ambiente telematico (gestione a distanza di sistemi informatici mediante l’impiego di reti di telecomunicazione – insieme dei servizi di natura od origine informatica che possono essere forniti e fruiti attraverso una rete di telecomunicazioni); una community potrebbe essere tangibile, nella misura in cui sia possibile misurare il suo grado di evoluzione, attraverso i risultati conseguiti.

2. No, ma tante falangi decentrate in accesso remoto (è elastica).

3. La fruizione avviene su di un contenitore di plastica (ergonomia).

4. Vi sono luoghi deputati all’apprendimento; ciascun luogo matura nel bagaglio esperienziale del singolo un insieme di valori e aspettative, a volte tra loro in contrapposizione, o per lo meno non necessariamente funzionali allo studio (prossemica).

5. Grotowsky, uno dei padri del teatro sperimentale, afferma che affinché si possa parlare di spettacolo, dev’esserci almeno uno spettatore. Lo spettacolo, alla pari di un servizio, è tale nel momento in cui si mostra. Potremmo quindi sostenere che il tipo di comunicazione esistente tra un attore e uno spettatore sia sincrona.
Nel caso di una community, cioè di un gruppo di individui, il prerequisito minimo dovrebbe essere dato dalla presenza di almeno due persone, affinché si possa creare una relazione di scambio.

L’ultimo punto credo sia quello più fecondo: in un servizio, a fronte di un bisogno manifesto, vi è un emittente e un ricevente. Una volta evaso “l’ordine”, il servizio cessa.

Nel caso di una community assistiamo ad una comunicazione orizzontale, che può essere anche asincrona.

La fornitura del servizio è data dalla disponibilità di contenuti e dai feedback prodotti sugli stessi (dalla presenza di uno storico accessibile e organizzato, continuamente in progress).

La persona può accedervi in diversi momenti, ma quel che conta è che vi sia in esso la percezione di una materia che prende corpo, e non di un contenuto statico (ad es: case study o game sessions – con stato di avanzamento)

A tal proposito vorrei richiamare all’attenzione il concetto di cultura orale, in cui l’acquisizione di un sapere avveniva attraverso un processo continuo di negoziazione e attribuzione di senso.

Anche se all’interno di un ambiente telematico sono depositati dei documenti scritti, mancando la socialità, come confronto tra pari, la rielaborazione viene relegata/delegata al singolo.

Queste considerazioni credo valgano maggiormente nel caso di corsi che abbiano una lunga durata.

Nota

Se fossimo una società di telecomunicazioni, e avessimo costruito un network/portale con utenti registrati, una delle nostre priorità risiederebbe nella fidelizzazione del cliente, attraverso la fornitura di nuovi servizi; parallelamente saremmo soggetti alla concorrenza.

Nel caso di un corso on line, tale componente non è del tutto presente; ci occupiamo infatti non di clienti, ma di partecipanti e della loro soddisfazione (ciò che è percepito).

Mantenendo uno sguardo ad una ipotetica dot.com, possiamo notare come periodicamente venga aggiornata la veste grafica; il brand di un’azienda entra nella presentazione di una vetrina (home page – quale filosofia/messaggio voglio trasmetterti).

Parte dello sforzo speso per rinnovare il consenso di ciascun possibile avventore, non è richiesto in un corso, ma ciò indica chiaramente come sia percepibile un senso di obsolescenza.

Una community credo quindi che non sia una semplice astrazione, bensì un luogo protetto (ludoteca), con delle regole proprie, in cui vada strutturandosi un senso di corrispondenza tra le aspettative maturate dal singolo e l’offerta del servizio.

Potremmo parlare quindi di community quando vi è uno scambio di relazioni che produce una variazione del contesto di partenza.

Prima abbiamo tracciato alcune delle possibili cause che spingono un individuo ad entrare a far parte di una community.

Soprattutto nel caso di un corso, ciò che ci motiva è un interesse di fondo; spesso si parla del gioco, come di una forma intellettiva inferiore, da bambini…al contrario giocare significa sperimentare nuove modalità, destrutturate un contesto e ricomporlo facendolo proprio (altrimenti non si spiegherebbe il piacere di fare un puzzle – ricordo di interi pomeriggi in cui giocavo con i Playmobil e il divertimento stava nel costruire un accampamento di indiani o un attacco alla nave dei pirati; non ho mai giocato con i pezzi di una sola scatola), avendo la leggerezza di gestire tale tempo con tranquillità e un senso di appagamento.

L’esempio del gioco ovviamente rimane, in questa sede, “un tendere a” ma evoca alcune immagini significative:

§ Uno dei giochi più ricorrenti, tra bambini (una volta lo eravamo anche noi, a volte crescendo ce lo dimentichiamo!) era il gioco di ruolo: infermiera/dottore, mamma/papà…etc. Giocando prendevamo le misure con il mondo circostante.

- Ogni volta che un bambino gioca, vicino c’è un genitore vigile; tornando al mondo dello spettacolo, una volta entrati in scena , c’è sempre il regista nella platea. Durante le prove a teatro, o in un corso di Comunicazione, la telecamera è come un occhio esterno che ci restituisce un immagine di noi, altrimenti imprendibile.

Una community deve avere dei referenti che ne legittimino l’esistenza e siano da avamposto, per cogliere ogni minima variazione proveniente dall’interno.

Docenti, tutor e assistenti come argini che delimitano uno spazio i cui confini sono determinati dalle prassi sviluppate in seno alla comunità.

La comunità in quanto tale, eleggerà alcuni leader (in modo informale); la capacità del gestore, sta nell’abilità di riconoscerlo per tempo e di legittimarlo formalmente.

Dovremo allora chiederci attraverso quali canali possiamo interagire con una community?

Ma prima ancora, da quali prospettive/ruoli ci relazioniamo con il gruppo?

Di seguito riporto alcuni strumenti/indicatori che potrebbero essere impiegati per fotografare questo genere di esperienza (community):

Questionario

Intervista

Sociogramma

Partecipazione degli utenti alle attività didattiche

Aule virtuali

Chat

Forum

Accessi ad aree di lavoro condivise

Paradossalmente il monitoraggio della fruizione ci dice poco; che un partecipante fruisca i moduli, è il minimo, altrimenti non si sarebbe iscritto.

Dai numeri non siamo in grado di cogliere i feedback prodotti da un modulo (a meno che non si tratti di segnalazioni di errori).

Quanto un dato contenuto è stato appreso, lo possiamo rilevare dalle esercitazioni o dalle singole richieste pervenute ai tutor, oltre quelle tecniche che indicano il come un utente si rapporti all’ambiente formativo .

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