BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 15/09/2003

INCONTRI A MILANO, OVVERO LA RICERCA DEL LAVORO

di Fabrizio Badiali

Milano, 9 settembre 2003

I ricordi si susseguono, lasciando ciascuno il passo a qualche affondo sentimentale; soprattutto immagini o piccoli frammenti, non tanto perché testimoni di momenti fuggiaschi, quanto per ribadire il loro carattere di unicità e dissolvenza…quando un’immagine sopravvive all’oblio perché ancora “significa”, si riflette in una volizione e trova un’amante ancora disposto ad aprirle un varco.
Ecco camminavo in quel palcoscenico che è Milano, città fatta di comparse e continue voci fuoricampo.
Perché vergognarmene, si è vero sono rimasto senza lavoro, o meglio qualcuno dotato di nome, un giorno mi ha chiamato e ancora con un foglio che preannunciava la fine già posato sul tavolo, ha intonato un monologo formale, come un parcheggio, per un automobile, è l’ultimo gesto prima della sosta.
E d’incanto, ma non trattasi di magia, le strade i gomiti dei passanti o le sagome indistinte di una moltitudine che attraversa le metropolitane…sono diventate grigie, ed un vociferare come una risacca alla deriva ha offuscato la mia percezione.
Ricordo molto bene di quel giorno, il tratto che mi portò dal non più ufficio, a casa….era estate e c’era la mia ragazza.
Ho pianto anche se sono uomo, venendo meno ad un’immagine da cartellone che ci vuole solidi nella mascella e nel conto corrente.
Ho sudato.
Mi sono sentito border line.
Ho visto vuoto per un istante il barattolo della mia Nutella.
Non ho sentito l’odore dell’ammorbidente, perché non c’era più una camicia, l’indomani a darmi il buongiorno.
I miei sentimenti oggi come coriandoli gettati da una mano di un bambino lontano, che vuole per se un sogno.
Nel cruscotto di qualsiasi automobile c’è un pulsante che sa di molta filosofia…reset…e come fare quando la spesa la facevi alle 18:30 o in pausa pranzo…quando il termine dialettico non gioca più a ping pong?
Tu lanci la palla e questa cade dal tavolo, all’infinito…perché non c’è secondo giocatore, anche se le palle sono infinite, infinite sono le volte che cadranno nuovamente a terra.
Ti fai forza, recuperando innanzitutto un senso di unicità, di baricentro; invocando un equilibrio i cui vettori non spingono in una sola direzione…rinasci nel piccolo gesto…nella fragilità del nuovo ordine c’è spazio anche per la dolcezza e la non condanna.
Occorre capire.
Occorre desiderare.

Mi è sempre piaciuta la fotografia, la scoperta di un immagine da dietro l’obiettivo; mio padre mi ha insegnato che uno zoom può essere si utile, ma è anche pericoloso…le immagini non sono clinex, non mi piace fotografare per avere una cartolina…le “Tre cime di Lavaredo” sono oggettivamente belle e tali rimarranno oltre le sorti di un mio click.
A volte vogliamo ritrarre qualcosa che non subito è a nostra portata di mano…dobbiamo costruire la nostra prospettiva, evitare la schiena di un passante o forse arrampicarci sul dorso di un cassonetto o in cima ad un albero; ma ci sono anche delle volte in cui forse non ci arriviamo ed è meglio così, perché lo abbiamo scelto.
Quello che mi ha da subito spaventato era di trovarmi in una situazione in cui non avevo scelte.
Calma piatta.
Oggi sono passati poco più di due mesi e mi sento fiducioso.
Non reso entusiasta dalla stanchezza dell’incertezza o da un insensato ottimismo, ma dalla fiducia, dalla promessa di regalarmi una passeggiata in centro sorridente, dal sentirmi di nuovo leggero e parte dell’ingranaggio.

Ecco perché è importante parlare di ricordi, di fotografia e di lavoro…perché siamo sempre un unico corpo anche se con delle falangi, degli spazi di vita che si rincorrono, dei doppioni o a volte solo ombre…comunque perché negare la gioia di guardarsi intorno una mattina di settembre, con il cielo grigio di una Milano normale, che si sveglia…con la frutta nei banconi, qualcuno che attraversa la strada, chi legge o chi da solo gesticola, ad un occhio più attento…ha un auricolare.

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