BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 20/11/2006

IL MODELLO GAP-PATORIO DELLO SVILUPPO DELLE RISORSE UMANE. QUALI LE SPERANZE DI SOPRAVVIVENZA PER LE PERSONE?

di Paola Barzaghi

Avete mai sentito parlare del modello gap-patorio dello sviluppo delle risorse umane? Ah…nel leggere, dovete pronunciare “gheppatorio” e assumere un’aria convinta.

Sì, sì che lo conoscete, magari non vi è stato definito proprio in questi termini. Può darsi, infatti, che alle vostre orecchie siano giunte frasi simili:

Una volta visti i gap più critici, sul piano individuale e collettivo, dobbiamo sviluppare le competenze del personale.

Sono le risultanze del sistema di sviluppo del capitale umano che ci consentono di censire il fabbisogno formativo del singolo in termini di gap degli skill agiti rispetto al profilo ideale.

Lo sviluppo delle vostre human resources vi permetterà di conseguire obiettivi strategici. È necessario identificare i gap a livello di competenze, avviare piani di sviluppo e predisporre infrastrutture che assicurino il successo dei responsabili delle risorse umane.

Tali frasi possono essere state pronunciate nelle vostre organizzazioni dal capo del personale, o dal responsabile della formazione, o dal consulente esterno o dal quell’innocuo collega del secondo piano… fate attenzione, il modello gap-patorio è diffuso e ha molti proseliti!

Ala luce della mia esperienza lavorativa all’interno dell’area risorse umane di una grande organizzazione, provo a spiegare ciò che ho compreso del modello:

esso consiste in una visione di sviluppo professionale agganciata alla nozione di gap che, da dizionario, significa: fenditura, intercapedine, spaccatura, breccia, scissione, distanza, interruzione, pausa, scostamento, intervallo.

Il gap è uno scostamento che distanza da qualcosa, è un disallineamento rispetto alla linea. E di conseguenza il modello gap-patorio propone una visione della crescita professionale delle persone nelle organizzazioni basata sulla lacuna da riempire, sulla distanza da colmare rispetto a qualcosa di stabilito.

Le persone possono avere diverse vesti, come ad esempio quelle di “dipendente”, di “candidato”, di “formando”, la costante però è quella di essere sempre portatrice di gap: rispetto alla pienezza di skill, di conoscenze, di competenze che a livello ideale dovrebbero essere possedute secondo parametri di riferimento stabiliti a priori, ma che i tapini in questione non possiedono. Insomma il margine è il …vuoto!

Il modello gap-patorio è un modello riparatorio – o meglio, saturatorio: non si limita a segnalare una mancanza di skill nelle risorse umane,ma prevede una serie di azioni di sistemazione della lacuna, attraverso le tre A magiche:Addestramento, Aggiornamento, Autoformazione.

Tali azioni sono finalizzate alla riduzione progressiva dei gap tra competenze conoscenze e capacità richieste e quelle possedute dagli attori di un’organizzazione.

il modello sta alla base di molti software che permettono agli utenti /responsabili di risorse umane, e/o alle risorse stesse di mettere in atto processi di governo e di valutazione con questa sequenza: 

  1. rilevare i gap
  2. pianificare ed organizzare gli interventi riduttori dei gap, mediante interventi di orientamento, addestramento , formazione, motivazione e coinvolgimento
  3. stabilire obiettivi condivisi e raggiungibili in un arco del tempo pattuito.

Gli esiti attesi solitamente sono abilità, skill, competenze o cresciute di livello o finalmente allocate laddove serve.

Ecco qui, il gioco è fatto. Si sono colmate lacune, si sono raggiunti i livelli di riferimento e siamo tutti contenti.

Davvero?

 

È funzionale questo modello? È utile alle persone e all’organizzazione?

Il modello gap-patorio presenta all’apparenza aspetti positivi: chiarisce cosa – mansionariamente – ci aspetta dalla persona, razionalizza la complessità dell’essere, ritaglia un percorso che deve essere fatto per raggiungere la meta di una pre-vista completezza. Pare utile sui grandi numeri, laddove cioè non è solo il singolo che conta, ma rilevano fasce di popolazioni professionali un po’ svuotate dai contenuti.

Non può essere un modello sbagliato in sé, ci semplifica la vita, attraverso un sostrato scient-illumino-tecno-peda-gogico.

Del resto si hanno e si esplicitano attese e richieste nei confronti delle persone… siano essi lavoratori o capi, i selezionati o selezionatori, i docenti o i formandi…però non sono sicura (e rilevo qui un gap di certezza) che leggere la differenza (il gap…) solo in termini di mancanza - sia sempre funzionale, anche sui grandi numeri.

Ho la sensazione poi che sia un modello noioso, vorrei adottare un linguaggio e una visione di sviluppo alternativo.

Ad esempio leggere lo scostamento come diversità, considerare la differenza come valore – perché è la differenza che genera valore – è molto più divertente. Individuare le potenzialità, dare spazio alla scoperta è meno agevole, ma più avventuroso e remunerativo a livello di organizzazione.

Non ci sarà più l’urgenza di mettere la persona giusta al posto giusto in un’ottica di efficientismo, non si correrà più il rischio di impiantare un sistema simil-punitivo sulle persone perché sono portatrici di mancanza… Perché non rilevare la differenza esistente invece di gap?

Ciò non significa essere “gestori buonisti di risorse umane” significa avere chiara la mission dell’organizzazione, chiarirsi aspettative e richieste, identificare competenze chiave, pianificare, organizzazione, dirigere e verificare, come prima…ma con un atteggiamento culturale ben diverso.

Chi si occupa di persone che lavorano nelle organizzazioni è lì al crocevia dove gli obiettivi/pressioni organizzative si incontrano con le singole persone e per questo abbiamo il dovere di esprimerci in positivo e cogliere “la differenza”: ricercare talenti, investire sulle potenzialità, consolidare aspirazioni…è un tentativo di dare una alternativa… al gap.

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