BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 06/06/2005
PICCOLA RIFORMA IN ESPERIA

di Carlo Befani

C’era un volta Esperia. Era un piccolo stato affacciato su un mare bello e caldo. La gente si distingueva per saper campare benaccio, grazie ad una atavica capacità di cavarsela in qualche modo, al sole che splendeva per i turisti che provenivano da tutto il mondo e la riempivano di soldi, alle bellezze culturali che gli avi le avevano donato. Vi erano così tanti templi greci che se n’erano anche rotti le scatole, gli esperiani, e allora pensarono bene di installarvi vicino delle artistiche colate di cemento; tutto ciò mentre le capitali degli altri stati erano brutte e fredde e, bene che andava, presentavano attrazioni tipo statue di bambini piscianti.
Così i cittadini di Esperia si beavano della situazione, e accoglievano a corna spiegate i vari profeti di sventura che, quasi flagellanti, cantavano alla musa dei drammi prossimi venturi.
Tutto sommato non erano poveri, gli esperiani. Erano solo ignoranti. Parlavano, più male che bene, solo la propria lingua periferica; approfondivano soprattutto le lettere e ritenevano da autistici minorati morali impegnarsi a capire la scienza e l’economia, la tecnologia e la matematica. Le loro televisioni, tutte pagate dai cittadini o con le tasse o con i rincari da pubblicità, si distinguevano per propinare urla belluine di improbabili maitre-a-penser e per provocare fiati ansimanti di spettatori arrapati davanti al surplus di tette e chiappe.
Non si può essere ricchi e stupidi per più di una generazione, tuonava in tv il famoso economista… Inglese informatica e impresa, suggerì lo slogan della nuova scuola dell’altrettanto famoso imprenditore. Poi entrambi, in successione, divennero uomini di governo, e non passarono alla storia per memorabili riforme dell’istruzione.
Una bella mattina gli esperiani si alzarono e trovarono una novità. La notte prima un americano – d’origine ebraica, disse uno che la sapeva lunga – s’era inventato un prodotto nuovo. In pratica era un semplice paio di scarpe con un baffo dipinto dietro. È una grande novità, dissero. Queste scarpe sono state pensate in America, progettate in India, prodotte in Vietnam, vendute da un argentino, e sono identiche in tutto il
mondo. Che bello, pensarono i giovani esperiani! Siamo internazionali anche noi. E tutti cominciarono a comprare quelle scarpe, che per inciso non erano più belle, comode, resistenti. Avevano solo il baffo dietro.
L’americano – quello che forse era ebreo – fece tanti di quei soldi da far schifo (a qualcuno). Ad altri piacque e lo elessero Dio. In frettissima, con quella frettissima che viene azionata solo dai soldi, furono in tanti a seguire il suo esempio. Inventarono tanti prodotti internazionali, anzi che dico: globali! In breve questi prodotti conquistarono il mondo, impoverirono i vecchi ricchi, arricchirono qualche vecchio povero.
Esperia si segnalò per non avere neanche un prodotto tra quelli che piacevano tanto al mondo, tranne forse qualche giubbotto di pelle e una macchina rossa rossa veloce veloce. Quindi fu tranquillamente colonizzata.
Non mancarono intellettuali pronti a suonare la fanfara delle magnifiche sorti e progressive dell’inarrestabile globalizzazione… e non mancarono neanche altri intellettuali pronti a piangere sul funesto destino dell’umanità. Quello che mancò, tranne qualche caso raro, fu chi cercò di pensare e di capire quello che stava succedendo.
In Esperia il dibattito tra pro e contro fu, come sempre, più acceso che altrove – d’altronde c’era l’abitudine di urlare le proprie opinioni e di ritenere chi aveva altre idee un nemico brutto e puzzolente come il diavolo.
Per uno sbaglio della storia – eravamo ormai nell’anno 2013 dell’era cristiana – fu nominato governante delle scuole di Esperia un uomo equilibrato, soprannominato il Lattuga – non ricordo se era destro come Totti o sinistro come Maradona; uno di quelli che non era pro o contro a prescindere, ma che aveva scelto di capire le cose e di trovare soluzioni concrete che facessero star meglio le persone. Il Lattuga ricevette
l’incarico di fare una riforma. E la fece, quella riforma. Dalle fondamenta. E già questa fu una notizia.
Il Lattuga capì in fretta che la globalizzazione economica c’era e, ineluttabile o meno, era un dato di fatto.
Tutto sommato, pensò, è stata resa possibile dal superamento di tanti ostacoli, tecnologici e politici: è segno di una società un po’ più aperta e libera, e questo non è male. Ma ci sono due problemi, pensò.

a) Un mercato globale ha bisogno di una legge globale, fatta di diritti umani, tutele per i lavoratori e per
l’ambiente, limiti ai monopoli. Se non è così, pezzi di mondo pagheranno per tutti.

b) Un mercato globale deve dare a tutti le possibilità di competere. E le possibilità di competere si creano con l’istruzione e con le competenze.
Se non facciamo così, pensò il Lattuga, avremo un nuovo colonialismo dei ricchi verso i poveri, che poi forse si incazzano e buttano le bombe – gli altri non condivisero: lui pensava che chi faceva gli attentati era stronzo e affamato, loro che era stronzo e basta.
Allora riformò la scuola pensando soprattutto a questo: creare competenze per dare a tutti una chance nel mondo della competizione globale.

Iniziò a pensare: quali competenze servono? E quali materie dovremo insegnare? Pensò alla sua esperienza; al futuro che vedeva davanti; ad un libro, Lezioni Americane, scritto alla fine del millennio precedente da un esperiano che suggeriva di esportare alcuni valori nel terzo millennio.
Scrisse un primo elenco sulla carta igienica mentre era in fila per pagare – la moglie l’aveva mandato a far spesa. Ne venne fuori un manoscritto, il cui originale fu ritrovato insieme allo scontrino dell’hard discount.

1) Scienza e matematica: per sapere come funziona il mondo, avere un linguaggio universale per descriverlo, imparare ad esprimersi con esattezza
2) Tecnologia: per inventare nuovi prodotti
3) Comunicazione e marketing: per saper spiegare e vendere le proprie idee come se fossero prodotti, e farle competere tra loro in tutto il mondo
4) Inglese: per parlare con tutto il mondo
5) Filosofia: per capire le domande e le risposte sul senso: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo; e per inventare nuove idee, visioni globali del futuro e mondi possibili, cogliendone le più ampie reti di connessione e combinazione di fatti ed azioni
6) Commedia dell’arte: per essere veloci e rapidi nel recitare le parti più disparate in mondo pazzo ed in continuo cambiamento
7) Storia delle comunità nel mondo: per scolpire la identità propria e la memoria dei valori, e conoscere quelle degli altri popoli
8) Emozioni 1 e sport individuali: per gestire se stessi (corpo e mente), imparare ad avere coraggio e a
non mollare mai
9) Emozioni 2 e sport di squadra: per gestire il rapporto con l’Altro-da-sé, dialogare, essere tolleranti, conseguire risultati comuni
10) Stare al mondo: apprendimento di abilità manuali nei problemi di base (elettrici, idraulici, meccanici, di falegnameria e carpenteria) che si possono presentare all’interno di una casa.

Le scuole sarebbero state pubbliche e private: lo stato dava a tutti un buono, pari al costo della scuola pubblica, e ognuno se lo spendeva come voleva.
Gli insegnanti venivano pagati con stipendi anche molto diversi tra una scuola e un’altra: i più bravi avrebbero preso più dei meno bravi.
Furono chiamati ad insegnare, e pagati molto bene, tutte le migliaia di scienziati esperiani che negli anni precedenti erano scappati all’estero – e magari avevano vinto il Nobel – perché le università non gli compravano le provette per gli esperimenti.
I reperti si fermano qui. Non sappiamo come andò in dettaglio la riforma delle scuole. Sappiamo però che i governanti delle scuole di altri stati lo presero d’esempio e globalizzarono le competenze; e che i governanti mondiali delle leggi globalizzarono le regole. Il mondo visse quindi un periodo di decente equità.
Tra le idee che si batterono nel mondo globale, però, accadde che l’altruismo uscì sconfitto: vinse la filosofia degli interessi particolari. Così da metà del secolo scorso il mondo si incagliò: come ci ha insegnato Lord Kelvin, i cambiamenti di stato crearono un maggior disordine che gli uomini, privi di sogni globali cooperativi, non furono in grado di governare. Per questo motivo dopo cent’anni dalla riforma del Lattuga, cioè oggi, A.D. 2113, siamo così poveri come ci vedete.

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