BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 13/06/2005
MESTIERI PROVVISORI E MISSIONI DURATURE

di Carlo Befani

Capita che un sabato sera rivedi i vecchi amici del liceo, figli della seconda ondata del baby boom, cioè di quei tanti che erano stati a loro volta figliati da madri grate al Padreterno del ritorno dalla guerra dei propri uomini, pronti ad avviare la ricostruzione piantando il seme nella terra delle mogli…
… nati tra lo sparo di Dallas e l’esercitazione sovietica a San Venceslao, generazione di pongo che si avvita attorno ai danteschi trentacinque anni, sputata in un’era in cui forse non c’è più nulla da inventare, salvo che fare soldi e non farsi costruire una discarica in giardino…
… divisi tra i pochi fortunati in carriera, e i meno fortunati (magari non più inetti) che vivacchiano in una precarietà altrimenti detta flessibilità, fino alla mattina in cui, facendosi la barba, piomberanno nella nera depressione, scoprendo, insieme al primo pelo bianco, di avere un grande avvenire dietro le spalle…
… quelli con cui hai trasportato i diciott’anni in autostop fino a Milano, tu periferico volgare, in un mitico giugno 1985, concerto italiano del Boss, we go down to the river, into the river we’d dive e così sia…
Insomma, rivedi i vecchi amici, uno di loro fa anche il tuo mestiere, figlio di sessantenne ex onorevole ex abbastanza cose, uomo assai in vista una quindicina d’anni fa, giusto in tempo per un quarto d’ora di celebrità prima che tangentopoli gli piantasse un magone nel petto.
E così, mentre ci mangiamo una bella spigola all’acqua pazza condita da un Traminer fruttato sotto il portico di casa sua, Giorgio (così si chiama il mio amico) mi ricorda il nostro giuramento.
Pare che – nella foga successiva devo aver rimosso – per i nostri diciott’anni giurammo di restare sempre uniti (e questo tutto sommato è avvenuto) coltivando i tre valori di Nino.
Ricordate? Era De Gregori, la canzone si doveva chiamare “La leva calcistica del ‘68” o giù di lì… e nel bel mezzo ti piazzava un capolavoro di etica post-industriale: Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia...
Sì, avremmo vissuto così la vita, in contrasto con quanto vedevamo intorno e detestavamo. Più che di sinistra eravamo sinistrati, oserei dire: dovevamo solo distinguerci dai nostri padri, secondo la più edipica e classica delle non dichiarate dipendenze: la controdipendenza.
E ci ridiamo su, mentre la spigola si imbeve dei pomodorini e il livello del Traminer si abbassa paurosamente: quanto siamo lontani da quel giuramento? Molto! Siamo due dirigenti d’azienda, e passiamo le giornate a costruire la Missione: deliziare clienti sempre più annoiati e tagliare costi e teste.
Missione! Il termine nasce religioso e rende l’idea della tensione all’obiettivo. In soldoni, è la strada che l’azienda ha deciso di percorrere per costruire il mondo che ha in mente (cioè la Visione, in aziendalese), con un fare così eccellente (chiamato Competenza distintiva) che il mercato le riconosce valore rispetto ai concorrenti.
Allora andiamo a formare equipaggi innestando culture diverse (quello che la cultura contadina pre- mendeliana di noi umbri chiama “mischiare il sangue”), che sappiano recitare il canovaccio della Competenza distintiva grazie alle proprie Competenze individuali. Alcune sono già pronte. Altre le formiamo. Altre ancora le imbarchiamo. E chi non è o non può? Out!
Tutto sommato non è difficile sapere, non è drammaticamente complicato saper fare. È invece dura avere comportamenti giusti. Perché in un pazzo mondo troppo veloce e complesso, non si fa in tempo a scrivere il copione: bisogna saper improvvisare e fare uno spettacolo sempre all’altezza. Forse il mercato di quando ho scritto quest’articolo (è la notte del 10/7/2003) non c’è più in questo istante in cui lo state leggendo: serve attitudine alla commedia dell’arte. Chi il 10/7/2003 era un fenomeno e si è cullato potrebbe essere diventato obsoleto. Tutto ciò rende eternamente provvisori. È disumano.
Ma il manager serve anche (e forse soprattutto) a questo: indicare la strada, tenere duro, dare energia e speranza a chi è intorno. Trovare soluzioni etiche e meno traumatiche possibile per le disumanità. Perché il sistema è sbagliato ma crea una ricchezza a cui (forse) nessuno di noi vuole rinunciare. Dopo, ma solo dopo, dovremo distribuirla – e apriremo tavoli sindacali per questo.
Per farla breve: tutto sta a prendere il passo del cambiamento. Eraclito, con il suo panta rei di liceale memoria, in questo senso, è sicuramente il più lucido teorico di management della storia.
E poi? Quale domani avremo? Qui si incrociano i destini di mestieri provvisori e missioni durature. Insomma, avevamo iniziato parlando tutti insieme e poi, come troppo spesso accade, si era finiti a parlare fitto fitto a due, di lavoro, per la non troppo velata incazzatura delle nostre mogli.
Il lunedì successivo mi ha chiamato Giorgio. Mi racconta. Ha fatto un sogno. Suo padre. Solo un attimo.
Stavano per entrare in una grande casa. Davanti alla porta il padre si ferma, Giorgio resta avanti. Il padre lo guarda e sorride. Fa un gesto con la testa, quasi a dire “va’ avanti tu”. Gli poggia la mano sinistra sulla spalla
destra, quasi a cercare un supporto. E in quel momento da dentro la casa risuona la nostra frase… un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia…
Sì, siamo forse davanti ad una prossima, immensa chance! Sta per cambiare, potrebbe cambiare tutto. Ma non è detto che tutto ciò che la tecnica può, è opportuno per la civitas. Necessita quindi un robusto contributo del cives: non serve essere global o no global, pro o contro l’immigrazione, pro o contro il liberismo o il welfare: sarebbe meglio capire. Sforzarsi di prevedere più conseguenze possibili delle opzioni
che abbiamo davanti. E poi, impegnare il tempo nell’attività più affascinante della storia: immaginare e decidere il mondo che vogliamo: ricchezza, ambiente, diritti, chance individuali, garanzie. Coscienti che tutto non si può avere – se non nel mondo delle favole. E poi fare, farlo, questo mondo!
È questa la Competenza distintiva richiesta alla nostra leva dal mercato degli umani? È questo ciò che dobbiamo alle famiglie, alla società, alle aziende, alla politica? Sì, forse è questa la Missione della mia generazione: inventare e disegnare Visioni dei nuovi mondi che vogliamo. Metterci tutto il fuoco e l’anima di cui siamo capaci. Fare squadra e condividere marce e bottini con l’Altro-da-sé.

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