BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 21/07/2003

TRADURRE IL MANAGEMENT (PARTE 2)

di Mario Bitonti

Con il primo articolo, “Tradurre il management”, abbiamo esplorato il mondo dei rapporti tra inglese e italiano nell’ambito delle traduzioni di management. Attraverso un confronto tra parole inglesi e italiane sono stati messi in luce i problemi derivanti dalla traduzione del management.

Ora l’intento è di soffermarci sul processo di interpretazione e attribuzione di significato a un testo di management. 

Il titolo di questo articolo costituisce un buon punto di partenza. “Tradurre il management” non è naturalmente un titolo casuale. Contiene una contraddizione, cioè l’atto di traduzione non portato a termine poiché la parola management rimane in inglese. “Tradurre il management” vuol dire tradurre teorie e modelli organizzativi, storia economica, marketing, e via dicendo. Insomma un complesso di conoscenze e informazioni che è compito di un manager riuscire a sintetizzare (Toyama). Infatti i managers, per riuscire a tracciare delle linee operative coerenti con il contesto aziendale interno ed esterno, devono svolgere un lavoro di semplificazione della complessità ambientale. Con to manage non s’intende quindi solo una gestione più o meno consapevole e accorta del presente ma un’interpretazione del presente che dia accesso al futuro. Se traduciamo to manage con gestire non rendiamo perciò un buon servizio ai lettori, gestire infatti, alle orecchie di un italiano non ha la stessa valenza di to manage. In italiano per esempio si dà in gestione, e il gestore è colui che prende in carico un’attività o business di proprietà altrui: di solito si gestiscono piccole attività, un bar o un ristorante, un’idea di contingenza quindi, più che di proiezione nel tempo. Cos’è allora il management, e qual è la traduzione italiana di management?

Abbiamo già detto che l’attività manageriale è costituita da una sintesi operata  attraverso un’attività di interpretazione del contesto, che consente di tracciare delle linee operative in situazioni di complessità ambientale. Entrano in gioco conoscenze molto diverse, tra queste tutte importanti e nessuna fondamentale se non appunto la capacità di sintetizzarle. Una cosa non cambia ed è l’oggetto di questa attività. Oggetto dell’attività manageriale è sempre un’organizzazione piccola o grande, pubblica o privata. Il management è allora il sapere riguardante la gestione delle organizzazioni o per semplificare il management è sapere organizzativo.

Ecco dunque una traduzione italiana della parola management. Naturalmente tradurre management con sapere organizzativo non è l’unica traduzione possibile, e forse neanche la migliore, ve ne potrebbero essere molte altre e tutte ugualmente valide quando contribuissero a spiegare meglio la parola originaria. Vale la pena sottolineare che mentre la parola gestione evoca inconsciamente la materialità di un’impresa la parola organizzazione mantiene l’indefinitezza di management.

Ora però vorrei soffermarmi sul processo seguito per arrivare alla traduzione.  Una volta deciso che la parola italiana “gestione” non esprime appieno i significati della parola management abbiamo prima descritto sinteticamente l’attività dei managers, facendo un passo avanti, ma non siamo riusciti a dare una traduzione di management. Solo quando ci siamo rivolti all’oggetto del management, quando abbiamo definito il contesto dell’azione manageriale, cioè l’organizzazione abbiamo trovato una traduzione. Nell’atto perciò di tradurre una parola fondante abbiamo dovuto fare ricorso alle nostre conoscenze della materia. Precisamente, abbiamo attinto alla teoria sull’azione manageriale, considerandola da una particolare prospettiva, e abbiamo poi attribuito un significato alla parola management. Questo ci fa intendere due cose. Primo, il traduttore di management deve conoscere approfonditamente la materia altrimenti non potrebbe fare quest’operazione. Secondo, nel tradurre, il testo viene interpretato e inserito nel contesto degli studi manageriali richiamando teorie e modelli affermati. In questo modo il traduttore operando sul linguaggio diventa creatore egli stesso di sapere organizzativo. Poiché al linguaggio non si può mai attribuire un’interpretazione univoca il lavoro del traduttore è fondamentale. Grazie alle sue capacità di inquadrare l’argomento all’interno di una visione unitaria la traduzione acquista significato. In questo modo pur restando fedeli al testo, i confini dell’opera possono risultare ampliati o meglio delineati o viceversa incomprensibili, indefiniti e ristretti. Il traduttore man mano che la letteratura manageriale si arricchisce si trova sempre più spesso ad avvalersi delle proprie conoscenze per riuscire a comporre un quadro coerente in cui inserire l’interpretazione del testo in esame.

In un contesto del genere appare chiaro che un uso accurato della lingua non è un dettaglio d’importanza relativa ma uno dei problemi fondanti della disciplina. Voglio fare un esempio: la parola società nella nostra lingua costituisce anche l’equivalente in inglese di firm o corporation. Society, la parola inglese con la medesima radice neolatina non ha però i medesimi significati. Questo vuol dire che il linguaggio rispecchia culture e mondi diversi, i quali potrebbero determinare anche la struttura del management. Il linguaggio è allora una chiave che ci dà accesso in profondità ai meccanismi manageriali consentendoci di conoscerli, studiarli, tradurli, migliorarli.  

Per tale motivo la pratica di non tradurre dall’inglese alcune parole può costituire una negligenza abbastanza grave se non permette di formarci quei concetti mentali che ci consentono l’interpretazione.

Annie Pye, sulla base delle teorie del filosofo francese Michel Foucault sui concetti come costruzioni sociali, esamina le parole del management dal punto di vista del potere che esprimono. Pye attraverso la teoria del sensemaking (Weick), dimostra come alcune parole manageriali molto usate e quindi alcuni concetti rispecchino il sistema di potere o la gerarchia degli interessi all’interno delle imprese.

Dietro alle parole manageriali si può scorgere però anche qualcos’altro, ossia il rapporto tra uomini e natura, tra uomini e tecnologia, e tra discipline. La riflessione sul linguaggio e sul significato del management in senso umanistico potrebbe dunque offrire nuovi spunti alla ricerca.

Negli anni si è affermata una concezione scientifica del management, in base a questa visione l’azione manageriale ha assunto la prospettiva delle scienze esatte. I motivi sono tanti ed è innegabile che lo scientific management abbia dato i suoi frutti. In seguito, nonostante l’evoluzione dei metodi manageriali, è forse stato l’accentuato scontro ideologico tra sistemi economici che ha indotto gli studiosi a a evitare che alle idee fosse data un’interpretazione ideologica. Si parla prevalentemente quindi di scienza organizzativa anche per rivendicare l’obiettività del management ma così facendo se ne sottovaluta l’aspetto umanistico. Il recupero di un punto di vista umanistico sul management può favorire, al di là delle barriere ideologiche, uno sviluppo del sapere organizzativo concreto, obiettivo e fondante.

Riferimenti:

Nonaka Ikujiro, Takeuchi Hirotaka, The Knowledge-creating Company, Oxford, 1995; trad. it. The knowledge-creating company. Creare le dinamiche dell'innovazione, 1997 

Pye, Annie, Come le persone guidano le organizzazioni. La variabilità del “potere delle spiegazioni”, di manager, accademici ed il sensemaking, Sviluppo & Organizzazione n°194, ESTE, 2002

Toyama, R., L’essenza dialettica dell’impresa: verso una teoria dinamica, Sviluppo & Organizzazione n° 197, ESTE 2003.

Weick Karl E.: Sensemaking in Organizations. Sage, London, 1995; trad. it.  Senso e significato nell’organizzazione, Raffaello Cortina Editore, 1997

 

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