BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 10/01/2005

LA PNL APPLICATA AL PUBLIC SPEAKING

di Antonio Bizzego

Premessa

Quando entro in aula, il mio obiettivo principale è aiutare ciascun partecipante a credere maggiormente nelle proprie potenzialità.
In questo senso, ho trovato nella PNL (Programmazione Neuro-Lingusitica) uno strumento di lavoro di straordinaria efficacia.
Pertanto, ho voluto raccogliere alcune considerazioni sulla PNL applicata al “public speaking”, per condividere il risultato con i colleghi impegnati come me, in attività di formazione.
Mi auguro che la lettura sia interessante ed utile (in PNL l’utilità delle informazioni è l’unica cosa che conta) ed invito tutti i destinatari di questo documento ad arricchirlo ulteriormente, con le loro considerazioni e le loro esperienze personali.

Il concetto di “modellamento”

L’essenza della PNL è il modellamento (in inglese, modeling) delle persone che raggiungono livelli di eccellenza nel loro campo di attività.I fondatori della PNL, Richard Bandler e John Grinder, verso la metà degli anni ’70, cominciarono a studiare attraverso un’analisi minuziosa e attenta e con l’ausilio dei più sofisticati mezzi tecnici, quale fosse quel “quid” che consentiva a psicoterapeuti di orientamento teorico diverso, di riuscire a produrre costantemente risultati migliori rispetti ai loro colleghi. E scoprirono che ogni risultato ha una sua specifica struttura di sostegno e, questo il contributo più prezioso, che ogni struttura può essere codificata, estratta ed utilizzata in qualsiasi circostanza e da qualsiasi altra persona.

Cosa significa esattamente modellare?

Modellare significare individuare un modello, significa cioè osservare persone che hanno raggiunto risultati eccellenti nel proprio settore, per vedere ciò che fanno, porre loro delle domande e comprendere come sia possibile ottenere gli stessi risultati.
In particolare, per modellare qualcuno, si devono osservare:

- la fisiologia, vale a dire tutte la manifestazioni visibili della sua comunicazione;
- il linguaggio, in che modo usa le parole e come struttura le espressioni per ottenere i risultati desiderati;
- il modo di pensare, come costruisce i suoi modelli della realtà.

Il modellamento è quindi ben diverso dall’imitazione!

Se imito qualcuno, copia l’aspetto esteriore ed episodico del risultato.
Al contrario, il modellamento mi fornisce la struttura, vale a dire la possibilità di produrre nuovi risultati in maniera autonoma.
Cosa deve fare un trainer per essere “oggetto” di modellamento?L’esperienza insegna che un buon trainer crea “rapport” con l’aula (e lo mantiene per tutta la durata del suo intervento), calibra (osserva con attenzione) ciò che accade in aula, guida, è flessibile, è espressivo, è congruo, rispetta le possibili obiezioni (in PNL i pareri contrari rappresentano nuovi territori da scoprire).
Un buon trainer è bene che consideri (ed utilizzi) la PNL come “metamodello”, ossia come modello per la costruzione di un modello di comportamento da tenere in aula.Ed è opportuno che rammenti (ed osservi) in aula alcuni tra i principi fondamentali della PNL:

- la mappa non è il territorio;
- il significato della comunicazione è il risultato;
- il significato del risultato è il feedback;
- dietro ogni comportamento c’è sempre un’intenzione positiva (in PNL anche il linguaggio è un comportamento)

Questi principi guidano il trainer, e nel contempo distinguono, il modellamento PNL da altri possibili modellamenti. Per una conduzione d’aula “piennelisticamente orientata” il trainer deve interiorizzare i principi fondamentali della PNL. “L’allineamento interno” garantisce una delle risorse più importanti di un trainer: la congruenza.

Perché è così importante la congruenza?

Perché da essa deriva logicamente la potenza di un trainer, ovvero il suo potere personale.
Il trainer congruente, crede in ciò che dice, fa ciò che dice, non ha bisogno di imporsi, di combattere, di farsi valere.
Cosa accade, al contrario, quando un trainer non è più “allineato” ai principi della PNL?
Scarica la sua tensione sull’aula, si impone con atteggiamenti di forza, si difende, racconta storie in cui non crede, sfida i partecipanti, si chiude, si offende, diventa confuso e spesso noioso…

In sintesi

La PNL non fornisce teorie sulla conduzione dell’aula (le teorie sono gravate dall’onere della prova del perché dovrebbero funzionare), ma solo modelli o schemi di comportamento;
il modellamento PNL è orientato dai suoi presupposti, che sono il nucleo della PNL;
solo il rispetto dei principi fondamentali della PNL garantiscono la congruenza del trainer, il suo potere personale e quindi, la sua efficacia;
gli schemi sono tratti dal modellamento di comunicatori e trainer di riconosciuta eccellenza.

Conclusioni

Per chiudere, esaminiamo quali sono le aree e i punti di domanda che il trainer deve considerare per una conduzione d’aula in termini di PNL.
Sicuramente l’elenco risulterà incompleto; come mai? Semplice: “la mappa non è il territorio”.

Rapporto con l’aula: il trainer, è attento a tutti? Esclude qualcuno? Calibra bene? Si accorge dei bisogni? Coinvolge le persone? Sa ascoltare, comprendere, valorizzare le differenze di opinione? Sa stimolare la coesione di gruppo? Sa creare un clima disteso e favorevole all’apprendimento?
Il rapporto con l’aula è senz’altro uno degli aspetti chiavi per un trainer che meriti di essere modellato.
Per esperienza personale, ho imparato che per quanto riguarda la creazione ed il mantenimento del “rapport”, il trainer è agevolato fisiologicamente dal ruolo di “leader” (colui che guida), per cui sconsiglio vivamente di ricorrere a comportamenti esasperati (comunicazione verbale e non) che possono addirittura infastidire i partecipanti e risultare poco credibili.
Diverse invece sono le considerazioni sulle dinamiche d’aula e sulla loro gestione che richiedono grande attenzione da parte del trainer.
E’ importante infatti che il trainer presti la stessa attenzione (quantitativa e qualitativa) a tutti i partecipanti, evitando quindi attenzioni particolari a chi si dimostra più interessato, a chi interviene con maggiore frequenza, a chi fa più domande o a chi è più “carino” o “carina”.
Il trainer che si ispira (ed utilizza) i principi di PNL, anche in aula deve ricordare che ogni comportamento è comunicazione e che le persone “non sono i loro comportamenti”.
In questo senso una attenta “calibrazione” da parte del trainer, può essere uno strumento di grande utilità per distinguere i fatti dalle opinioni.
E’ un fatto che una persona faccia poche domande o non prenda appunti, è una opinione (del trainer) considerare questi atteggiamenti come distaccati o disinteressati rispetto agli argomenti trattati o peggio ancora, rispetto al trainer in persona.
Non a caso, questi comportamenti nascondono spesso bisogni diversi da parte del partecipante, che magari si sente già sufficientemente preparato sull’argomento e che quindi attende solo qualche informazione in più .
Tuttavia, anche questi comportamenti possono essere gestiti in maniera funzionale agli obiettivi del corso, coinvolgendo maggiormente queste persone, invitandole a presentare ai colleghi le loro precedenti esperienze maturate “sul campo” o rendendole “protagoniste” durante le sessioni di role play ed i successivi debrief.
Come in tutti i processi di comunicazione, anche durante un corso di formazione la presenza di obiezioni è fisiologica ed è compito del trainer limitarsi ad utilizzarle anziché superarle.
In PNL, utilizzare una informazione, anche se di parere opposto, significa accettarla senza negarla e senza ignorarla.
E questa strategia di comportamento (del trainer) contribuisce anche a creare coesione tra tutti i partecipanti del corso, allineando quelli più critici a quelli più consenzienti.
Ed è attraverso lo sviluppo di queste abilità che il trainer riesce a creare il clima emotivo ideale allo svolgimento di un corso di formazione ed all’apprendimento di strategie di comportamento in linea con gli obiettivi didattici.

Cornice d’accordo: dove ci troviamo ? Chi siamo? Qual è il nostro obiettivo? Quale sarà il percorso?
Definire una cornice d’accordo serve in qualche modo a stabilire le regole del gioco e a far capire ai partecipanti chi è il leader e di conseguenza a decidere se vale la pena, per loro, di seguirlo durante tutto il percorso.
Stabilire e condividere il punto di partenza, il percorso e la meta finale (obiettivo) serve a mettere il trainer nello stato ideale per insegnare ed i partecipanti nello stato ideale per apprendere.
Durante la fase iniziale del corso, spesso mi è capitato di sentire trainer porre questa domanda ai partecipanti: “cosa ti aspetti da questo corso”?
E coerentemente, i partecipanti rispondono in merito a ciò che si “aspettano” dal corso, ponendosi comodamente in uno stato di apprendimento “passivo” sin dalle prime battute.
Poiché la PNL pone grande attenzione alla linguistica ed allo straordinario potere delle domande, suggerisco a tutti i trainer che sono soliti fare questa domanda, chiedere in alternativa “quali risultati vuoi ottenere, partecipando a questo corso”?
Praticando l’ascolto attivo (…la coerenza…) il trainer catturerà indicazioni utili sugli argomenti di maggior interesse ed il partecipante assumerà un atteggiamento molto più propositivo.

Accordi con l’aula: orari? organizzazione?

Valgono le indicazioni del punto precedente; è il trainer che stabilisce le regole, è lui il leader ed è lui che deve fare in modo che il “gruppo” prima e la “squadra” poi, decidano”volontariamente” di rispettare le sue indicazioni circa gli orari di inizio e di fine corso, la durata dei break e delle esercitazioni.

Esposizione: la parte teorica è ben costruita? È orientata all’obiettivo? Rispetta le esigenze dell’aula? Il linguaggio è chiaro e comprensibile a tutti? C’è sequenzialità tra gli argomenti? Fa uso (il trainer) di esempi pertinenti, metafore, schemi alla lavagna?
Ovviamente (non sempre è così) l’esposizione deve essere curata e preparata in ogni minimo dettaglio.
Le persone sono li perché vogliono saperne di più su quel argomento ed il trainer deve porsi degli obiettivi chiari in merito a cosa (contenuto) ed a come (relazione) intrattenere la platea.
Una riflessione importante sul linguaggio da utilizzare in aula; il trainer deve ricordare che le cose che dice devono essere “comprese” dal pubblico, per cui è suo compito prestare la massima attenzione al feedback.
Solo un costante feedback di qualità (questa, secondo me, la principale abilità di un trainer) è possibile creare una sequenzialità di argomenti senza “vuoti” di contenuto (oltre che di relazione).
Quanto alle metafore (utilizziamole solo se ne siamo capaci…) e soprattutto agli esempi, è fondamentale risultare credibili.
Se l’episodio che raccontiamo come “esperienza” è falso o in qualche modo, sovradimensionato, corriamo il rischio di perdere leadership nei confronti del gruppo e di “ancorare” negativamente i partecipanti quando proporremo l’esempio successivo.
Ora una tecnica di straordinaria potenza; quando si propone un esempio, spieghiamone il significato (ovvero la relazione con il passaggio che stiamo trattando) ed il beneficio (vantaggio soggettivo) per chi ascolta.

Flessibilità: come reagisce di fronte alle novità? Sa riprogrammarsi di fronte all’imprevisto?
La flessibilità (di comportamento) è senz’altro l’abilità più importante da sviluppare per essere (ho utilizzato intenzionalmente un verbo d’identità) persuasivi, nei confronti di chiunque.
Sappiamo tutti, perché lo sperimentiamo quotidianamente, che le persone tendono ad agire in base alle loro ragioni piuttosto che alle nostre, in qualunque contesto di riferimento.
La cibernetica insegna che quando entriamo in relazione con un’altra persona (o altre persone) formiamo un sistema all’interno del quale, solo cambiando il nostro comportamento possiamo pensare che cambi quello del nostro (i) interlocutore (i).
E solo chi possiede una sufficiente flessibilità di comportamento è in grado di guidare con profitto (risultato) il proprio interlocutore (i) verso un obiettivo comune.
Per cui, se improvvisamente accade qualcosa, facciamo in modo (…la flessibilità) di trasformare quello stato di confusione mentale in curiosità, per evitare stati di “blocco”.

Comunicazione: il linguaggio è chiaro? Modifica l’utilizzo della voce (tono, volume, pause, velocità)? Il linguaggio del corpo è congruente rispetto a quello verbale? La prossemica è gestita correttamente?
La comunicazione è un vero e proprio “strumento” di lavoro per un trainer ed il suo utilizzo efficace è da considerarsi un vero e proprio “must”!
La variazione dei toni (che da senso alle cose che diciamo) delle pause (per calamitare l’attenzione “prima” di un messaggio importante), della velocità (per entrare in rapport con le persone cinestesiche, udite e visive contemporaneamente), la congruenza (tra quello che si dice e quello che si fa), sono l’abc per un trainer efficace (e da modellare).
Una nota sulla prossemica; in presenza di obiezioni, anziché avvicinarsi al partecipante è buona norma allontanarsi (comunicazione non verbale) prima di rispondere (comunicazione verbale).
Una presenza troppo ravvicinata del trainer, potrebbe aumentare le resistenza al cambiamento (di opinione) del partecipante, pressato sia fisicamente che verbalmente.

Feedback: come li da? Come li riceve? Come li stimola e li promuove? Come verifica l’apprendimento in aula?
Sull’importanza del feedback mi sono già espresso; aggiungo solo qualche considerazione sulla utilità della verifica dell’apprendimento in aula.
Dopo i break, le pause pranzo, ed i role play, è opportuno fare il punto con i partecipanti, per ridefinire il nuovo punto di partenza, rispetto alla meta finale.

Dimostrazioni: le utilizza per esibirsi o perché sono davvero utili in quel momento?
Valgono le considerazioni espresse a proposito delle metafore e degli esempi; se strumentali agli obiettivi del corso bene, in caso contrario è opportuno eliminarle dal proprio repertorio o quanto meno ridurle (numericamente) il più possibile.
Un’eccezione: la gestione di qualche “vuoto” creatosi involontariamente in aula.

Esercizi: sono ben costruiti? Sono espressi chiaramente? Sono funzionali al raggiungimento dell’obiettivo? Sono proposti al momento giusto? Sono troppi o troppo pochi?
C’è un vecchio detto che recita: “spiega qualcosa a qualcuno e se la dimenticherà, fagliela fare e se la ricorderà per sempre”
Eppure non sempre sono accettati volentieri (confesso che da discente, è capitato anche a me) e quando non vengono proposti, c’è sempre qualche nota sui questionari di fine corso, che ne reclama uno spazio maggiore.
Come comportarsi, allora?
Innanzitutto, senza esagerare (qualcuno lo fa, per “tirare il fiato”), motivandoli sempre come momento di “allenamento” utile alla “gara” e soprattutto partecipando attivamente all’esercitazione anziché aspettare passivamente il momento del debrief.
Quindi con buon senso e rispetto per i partecipanti, “far fare” è utile, anche perché formare vuol dire proprio questo.

Mezzi audiovisivi: Li utilizzi correttamente? Mantiene contatto visivo mentre li utilizza?
Chiudo con qualche riflessione sui mezzi audiovisivi; che si tratti dei vecchi lucidi (e quindi della vecchia lavagna luminosa) o di powerpoint (e quindi dei più moderni videoproiettori) il trainer deve ricordare che si tratta solo e soltanto di strumenti di “supporto” alla sua presentazione.
I contenuti devono essere sintetici e favorire il commento (e mai la lettura!!!) da parte del trainer, che dovrebbe (uso il condizionale con qualche riserva) padroneggiare gli argomenti a tal punto, da poter limitare l’uso di qualsiasi supporto.

Anzi, dovrebbe addirittura essere in grado di farne a meno.

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