BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 03/06/2002

E' SEMPRE UN PEZZO DI CARTA

di Bruno Bonsignore

A proposito di scuola, non si deve partire dalla domanda "che cosa si dovrebbe imparare" ma chiedersi piuttosto " per imparare, che tipo di cose e con che genere di persone vorrei avere a che fare?".

Il possesso di titoli di studio per accedere a qualcosa è una discriminazione che andrebbe abolita per seguire il criterio delle capacità anziché quello del pedigree scolastico. La scuola non è la magistra vitae che tutti declamano e infatti la maggior parte di ciò che un individuo impara lo apprende fuori dalla scuola, e spesso casualmente.

E d'altra parte i docenti non sono i depositari della conoscenza: chiunque eserciti una specifica attività potrebbe anche insegnarla; gli stessi adolescenti possono guidare i loro compagni all'esplorazione scientifica. Mentre di solito i professionisti, fra cui gli insegnanti, salvaguardano il mestiere facendo credere che sia molto difficile imparare ad esercitarlo, traendo profitto dal non diffondere le proprie capacità. L'insegnante riassume in sé le funzioni di giudice, ideologo e medico, e pertanto una società liberale non può fondarsi sul sistema scolastico attuale. Dai rapporti insegnante-allievo sono di fatto escluse tutte le salvaguardie della libertà individuale: il giudizio di una persona stabilisce cosa e quando deve imparare un'altra persona. La descolarizzazione dovrebbe quindi essere la premessa di ogni movimento per la liberazione dell'uomo, attribuendo piena cittadinanza proprio ai ragazzi sin dai dodici anni d'età.

La sua parte di responsabilità ce l'ha anche l'industria che sforna prodotti e servizi dal funzionamento comprensibile solo agli specialisti. Ci spinge in tutti i modi verso un consumo illimitato, che viaggia in direzione opposta alla maturità, chiamandolo progresso. La burocrazia, l'organizzazione e i mass media si incaricano infine di diffondere la confusione e la disinformazione attribuendo valori predeterminati a termini di uso comune: così la polizia induce il valore di "sicurezza personale" , la corsa al successo quello di "lavoro produttivo", il diploma vale "la competenza", le cure mediche valgono "la protezione della salute", la scuola sta per "educazione" e l'insegnamento per "apprendimento"… Il sistema autostradale è in realtà un accessorio delle auto private e l'assistenza sanitaria produce malati, ipocondriaci col terrore del male e dell'anche più piccolo dolore.

Cosa fare per evitare le trappole della scuola? Si potrebbe rilasciare a ogni cittadino fin dalla nascita una specie di carta di credito educativo, restituendo in questo modo l'iniziativa dell'apprendimento al discente o al suo tutore più immediato, e togliendo l'obbligo di frequenza.
L'obiettivo è liberare. Nella civiltà dell'accesso, liberare l'accesso alle cose, la trasmissione delle capacità, delle risorse critiche e creative, e specialmente liberare l'individuo dalla necessità di adattarsi ai servizi offerti dai professionisti. Eliminando le restrizioni all'insegnamento spariranno anche quelle all'apprendimento!

Il valore legale dell'attestato di laurea è una vanità o peggio una delega irresponsabile delle proprie capacità a un pezzo di carta sempre meno richiesto dalle imprese e dal libero mercato. Un valore legale che si può benissimo abolire. Lo dico io? Mannò: visione, pensieri e citazioni, liberamente esposti, di Ivan Illich, Descolarizzare la Società, 1972.

Più di mezzo secolo prima, il 1° giugno del 1914, anno della Grande Guerra, scende pacificamente in campo contro la scuola un geniale italiano, Giovanni Papini, con un articolo che è tutto un programma: Chiudiamo le scuole.

Papini diffida dei "casamenti di grande supericie, dove molti uomini si rinchiudono o vengono rinchiusi. Prigioni, Chiese, Ospedali, Parlamenti, Caserme, Manicomi, Scuole, Ministeri, Conventi… codeste pubbliche architetture son di malaugurio: segni irrecusabili di malattie generali… L'uomo è l'eterno vigliacco che fabbrica leggi e società come bastioni e trincee alla sua tremebondaggine".

Ma mentre per l'uomo che cerca protezione c'è almeno la ragione della difesa, Papini si interroga su quali colpe possano aver commesso "gli adolescenti che dai sei fino ai dieci, ai quindici, ai venti, ai ventiquattro anni chiudete tante ore algiorno nelle vostre bianche galere per far patire il loro corpo e magagnare il loro cervello? … con quali traditori pretesti vi permettete di scemare il loro piacere e la loro libertà nell'età più bella della vita e di compromettere per sempre la freschezza e la sanità della loro intelligenza? … noi sappiamo con assoluta certezza che la civiltà non è venuta fuori dalle scuole e che le scuole intristiscono gli animi invece di sollevarli e che le scoperte decisive della scienza non son nate dall'insegnamento pubblico ma dalla ricerca solitaria disinteressata…".

Secondo Papini soltanto per caso la scuola, con tutti i frequentatori che raccoglie…! può essere il laboratorio di nuove verità, perché non è un'opera spirituale ma un semplice organismo e strumento pratico. Le scuole, dunque, non sono altro che reclusori per minorenni istituiti per soddisfare a bisogni pratici e prettamente borghesi, per i genitori che si levano di casa i figliuoli che danno noia e poi per dargli "una posizione", per i maestri che così "si guadagnano il pane, tre mesi di vacanza all'anno e qualche piccola beneficiata di vanità".
Papini invoca per i ragazzi libertà per rafforzare il corpo e la salute, all'aria aperta, per non rovinarsi gli occhi, i polmoni, i nervi … e conclude liricamente: "lasciateci almeno la fanciullezza e la gioventù per godere un po' d'igienica anarchia!". Certo sorge il dubbio che Giovanni Papini non sia stato un allievo modello, tuttavia ha arricchito la critica all'istituzione scolastica con un contributo ricco di motivazioni umane e condivisibili da tutti, dai giovani in particolare! Diversamente dalla lucida analisi sociale di Illich, Papini conquista con il suo umanissimo, forte rimpianto per una clausura
ventennale mentre fuori scorre la vita da prendere a piene mani col legittimo egoismo della gioventù.

Certo la scuola non doveva essere attraente nemmeno per i giovani del secolo scorso, se anche Friederich Nietzsche ha trovato modo di attaccarla ferocemente. Il Crepuscolo degli Dei, 1889: "qual è il compito di ogni istruzione superiore? Fare dell'uomo una macchina, e imparare ad annoiarsi. Il concetto è il dovere, il modello è sgobbare. Lo stato costringe tutti i suoi servitori a comparirgli di fronte con la fiaccola dell'universale cultura nelle mani. In questo sta l'essenza della scuola: imparare ad annoiarsi per divenire funzionario o impiegato sgobbone". Nella seconda delle sue Considerazioni inattuali Nietzsche sostiene che il senso della storia è spesso nemico della vita, in quanto ci rende schiavi del passato, passivi, costretti a "chinare la schiena e piegare il capo" dinanzi alla "potenza della storia". Ne consegue una sfiducia nella propria capacità creativa, e il formarsi di una pura erudizione da enciclopedie ambulanti, che annulla la personalità: "nessuno osa più esporre se stesso, ma ciascuno prende la maschera di uomo colto, di dotto, di poeta". Si diventa così "uomini che non vedono quello che anche un bambino vede" (culturacristiana.net).
Si deve allora rinunciare a far maturare i giovani?
Certo che no, ma Illich, Papini, Nietzsche chiedono: "maturi" a giudizio di chi?

La formazione è un criterio e uno strumento antico per trasmettere conoscenza, basato su modelli di riferimento sempre meno attendibili e adeguati all'era del "connesso sempre e ovunque". La non attualità più significativa è quella della cultura che sottintende il concetto di formazione, passivo e statico, se comparata con quella che ispira l'apprendimento, attivo e interattivo.

Nell' Economia della Conoscenza e dell'apprendimento continuo, che senso ha questa scuola e che valore il diploma, la laurea? Un "pezzo di carta" sempre meno pass per un impiego, cui è anacronistico attribuire un "valore legale" e talvolta persin arduo riconoscere un valore. Quando è ormai acclarato che le aziende hanno bisogno di intelligenze pronte, capacità di apprendimento, adattamento e voglia di integrazione. E considerano con più attenzione l'umile attestato di frequenza a un corso rispetto al diploma di "maturità".

E' l'ultimo paradosso della cultura in Italia: un asset di cui siamo ricchi ma sempre più raro; un bene tangibile ma sempre più intangibile.

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