BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 07/07/2003

L'HO VISTO E NON LO INTERVISTO: INCONTRO CON EDGAR MORIN

di Bruno Bonsignore

Scendo dall’elettrotreno supercondizionato sotto la tettoia della stazioncina, con i binari che in fondo alla curva ondeggiano nel calore bianco del primo pomeriggio. Formia, una destinazione improbabile per un incontro difficile  a lungo desiderato con Edgar Morin, ospite d’onore al  Convegno sullo sviluppo locale organizzato dall’Istituto di Ricerca sulla formazione-intervento. [1]

Il Professore dell’Università di Parigi V°, ultraottantenne, è dritto come una betulla, informale e spontaneo, disponibile con i suoi ospiti italiani che lo circondano con garbata ammirazione; io mi sono abilmente ritagliato un posto di fronte a lui per la cena che, secondo locale consuetudine, prende avvio ben dopo le dieci su una bella terrazza geraniata fronte mare. Mentre Morin gusta con attenzione il vino bianco e infilza allegramente le olive nere, guardo alle sue spalle la fortezza di Gaeta  e penso agli anni roventi che ci ha passato il generale Kappler,  unico prigioniero per decenni di solitudine.

M’incuriosisce il titolo dell’intervento che Morin farà l’indomani, “la riforma del pensiero e della vita per il pieno impiego della cittadinanza partecipativa” e vorrei chiedergli la spiegazione. Ma proprio a tavola, godendomi la sua simpatica curiosità,  realizzo che si tratta di una sintesi ben coordinata di  concetti che ha  pubblicato in tanti libri, per approdare con coerenza al tema piuttosto distante del convegno. Dopo averci riflettuto, mi sembra una formuletta ermetica che conduce al pensiero complesso di cui Edgar Morin è il grande teorizzatore. Pensavo di approfittare dell’occasione per ricavarne un’intervista ma, adesso che l’ho visto, seduto così insperatamente vicino,  lui che chiede se farà in tempo l’indomani a visitare Sperlonga, e uniti da un piatto di spaghetti ai frutti di mare, capisco che l’intervista non c’entra niente. Sto attento al suo parlare italiano cercando di cogliere ogni dettaglio e intanto non essere scortese con i miei vicini che pure m’hanno invitato.

La Scuola Nazionale di Atletica di Formia ci ospita nel verde dei campi di allenamento spazzolati dalla brezza che sale dal mare lì sotto; al di là della grande vetrata dell’aula magna guardo il campetto di atletica e immagino un ragazzino piccolo e testardo che batterà il record dei 200 piani alle Olimpiadi di Roma… “nel mondo del cambiamento abbiamo solo un elemento di stabilità, il soggetto umano” , osserva il moderatore. Nell’atletica, Mennea dopo quarant’anni è ancora un parametro morale oltre che tecnico, e sì, un elemento di stabilità.

Morin all’estremità del tavolo parla a suo agio un buon italiano e ci offre il primo fondamentale: “la cultura è il nostro punto di incontro, l’Università significa proprio questo, il luogo di superamento delle differenze che tramite la cultura diventano valori e anche armi da sfruttare come elemento di integrazione per affrontare il cambiamento e lo sviluppo”.

Morin invita a vedere la complessità anche come complicazione, un aumento delle variabili da tenere presenti e da mettere in relazione, accettando lo stress che la conoscenza genera.

Ed ecco il secondo pilastro: educare gli educatori raccomanda Morin.

Nella mancanza di comprensione in cui abitiamo dobbiamo insegnare fin da subito la comprensione, non ridurre la considerazione per l’altro ad un solo suo aspetto dominante; se una persona commette un crimine non possiamo ignorare tutti gli altri suoi aspetti, i suoi valori per tener conto solo di quello predominante. Dobbiamo essere empatici… “ma come, abbiamo più comprensione al cinema, che consideriamo come illusione, dove siamo disponibili a vedere e capire le ragioni del protagonista che magari commette un omicidio, che nella vita reale, dove giudichiamo una persona per un suo singolo atto… Abbiamo le infrastrutture di una società mondiale –e anche un’economia fuori controllo– ma ci manca la coscienza del destino planetario, della nostra cittadinanza globale della Terra”.

Morin s’infervora e, nella mimica tipicamente francese con cui sottolinea il suo pensiero s’allontana spesso dal microfono, privandoci di mozziconi di frasi che vanno perduti, ma riesco a cogliere la spiegazione del titolo del suo intervento. “Ci stiamo interrogando su come migliorare le relazioni umane, e quindi la cittadinanza, che a sua volta, come in un cerchio, influisce sulle relazioni umane … Ci sono quattro riforme da fare: quella del sistema sociale, quella del pensiero, la riforma di vita e la riforma etica.

Il pensiero sociale va rifondato, abbiamo visto che il bolscevismo ha portato ad un’esperienza radicale disastrosa, e così il nazismo, hanno creato la distruzione delle libertà con il dominio del totalitarismo… ma il cammino sociale da solo non basta, con la riforma del pensiero intendo sostanzialmente quella dell’educazione, del “sapere”. Tutta la conoscenza è il risultato di una traduzione e … dei possibili, inevitabili sbagli di chi la effettua. Voglio dire che la conoscenza dev’essere pertinente, nel contesto, nel complesso. Ecco la complessità,  di ciò che è “legato insieme”; l’identità umana è parcellizzata, occorre capire l’unità umana nella sua interezza, dall’individuo alla sua famiglia, al quartiere, al comune, alla nazione …”

“Allora – e qui Morin ci propone un terzo concetto pilastro- vediamo che si forma una specie di Trinità costituita dall’Individuo, dalla Società e dalla Specie, dove c’è continua interazione perché l’Individuo influenza la Società che determina la Specie che a sua volta agisce sull’Individuo e sulla Società, e così si vede che siamo prodotti e al tempo stesso produttori… ecco questa è l’idea complessa”.

La presa di coscienza planetaria è l’invito ardente e ricorrente di Edgar Morin, e per conquistarla occorre un’etica personale, un’etica sociale e quella che lui definisce etica dell’umanità, che potrebbe chiamare  Destino. Ci avverte che per raggiungere i risultati dobbiamo munirci di una “ecologia dell’azione” “perché ormai non è più possibile prevedere tutti i risultati delle azioni, fatte anche con la miglior buona volontà; dunque oltre che una Coscienza ci vuole anche una strategia dell’azione, che comporta inevitabilmente  una scommessa, non priva di rischi, su quello che accadrà, sui risultati e sulle conseguenze”.

E anche l’etica va ripensata, riformata, perché la visione religiosa, umanistica non ha portato alcun miglioramento, o è difficile dire se ha generato più risultati positivi o negativi: “ a me pare che l’amore cristiano abbia prodotto almeno la stessa quantità di odio, e dunque va ripensato a partire dal soggetto umano e contro il principio dell’esclusione, l’egocentrismo va sostituito dal pensiero di inclusione dell’Altro, perché c’è un grande bisogno di affetto, di inclusione, di solidarietà che deve andare a braccetto con la giusta autonomia dell’individualismo.

Il Professore rivolge a questo punto un invito, anzi un appello a “tutti noi che abbiamo visto Morin” per impegnarci in una politica dell’Umanizzazione, per “combattere questa intossicazione non solo causata dalle automobili ma dall’obsolescenza dissennata, dall’ideologia del buttare via e sostituire, dall’ossessione di stare bene, sempre giovani e in forma, dalla novità costante, dai consumi eccessivi, così che nasce l’aggressività, l’asfissia della città… dobbiamo unirci tutti contro questa terribile intossicazione; e allora si capisce che non è necessario “sviluppare”, al contrario…! Non facciamo dello sviluppo, anche sostenibile, la locomotiva trainante di tutto ma piuttosto uno degli elementi di una … infiorescenza..? voglio dire, di un nuovo sbocciare, dobbiamo ritrarci dall’illusione del progresso e dedicarci alla ricostruzione della speranza, non delle certezze ! Tutto questo parte dalla coscienza individuale, perché una conquista non dura per sempre, dunque il progresso non è che l’individuazione di una via da seguire. In questa complessità dobbiamo pensare che i disastri naturali, per esempio, generano una resurrezione della solidarietà spontanea, e dunque Solidarietà e Responsabilità sono le sorgenti dell’Etica, e noi dobbiamo resuscitarle”.

Pensando alla sua escursione alle spiagge di Sperlonga, Morin regala al Sud, cioè a tutta la fascia Mediterranea, un’ ultima battuta: “il Sud è la nostra maggiore riserva di qualità della vita”.

Mentre autografa la sua simpatia per me sul libretto Educare gli Educatori, chiedo al professor Morin, visto che il cristianesimo ha prodotto tanto amore quanto odio, e che i giovani non appena si avvicinano al mondo del lavoro perdono rapidamente tutte le loro istanze e le aspettative della gioventù,  se ci  lascia con un segnale di ottimismo o di rassegnazione.

“Ho l’ottimismo del pessimismo, perché credo nella ricostruzione della speranza –non delle certezze- e nella resurrezione della solidarietà. E verrò al suo master di business ethics, non quest’anno perché sono totalmente impegnato ma l’anno prossimo sì, volentieri”.

Il  saluto è  radioso e l’arrivederci  è meglio di qualsiasi intervista, per me che ho visto Morin.



[1] Convegno di Formia sulla formazione-intervento, 27 giugno 2003.

 

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