BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 05/10/2003

ALL'APPARENZA

di Bruno Bonsignore

Questo terzo millennio ha il sigillo della non persistenza. L’ho visto nel 1994 quando sono entrato in una rampante web agency di New York piena di ragazzotti ambosex e ho scoperto internet. Ma ho capito cosa vuol dire non persistenza qualche tempo dopo, studiando l’architettura dei primi siti e leggendo le regole di Jacob Nielsen che riesce a farsi pagare 10.000 dollari al giorno per snocciolarle a consessi di top manager ipnotizzati.
Certo, il messaggio elettronico è volatile, metterlo in archivio è una forzatura alla sua natura digitale. Ma la non persistenza è un’altra cosa, sono le aziende spesso concorrenti che decidono di mettersi insieme per fare uno specifico business e poi, chiusa la pratica, tornano a muoversi separatamente e forse a combattersi più di prima. La non persistenza è impegnarsi in un progetto in un Paese mentre nel resto del mondo ci si occupa magari di tutt’altro; e hanno una motivazione non persistente gli imprenditori che invece di comprare aziende per produrre cercano di conquistarle per pura speculazione finanziaria e disfarsene appena si presenta l’occasione lucrativa.
Un’azienda, una fabbrica, quanto di più solido, stabile, radicato potessimo immaginare è diventata volatile come la realtà virtuale. Mentre ci sono Marchi centenari che sopravvivono e prosperano, vediamo brand costruite con investimenti pubblicitari colossali che spariscono, si accorpano, falliscono o cambiano nome e logo con una disinvoltura che sgomenta, dilapidando un capitale di notorietà. Per tutti, vedi Omnitel sopraffatto e cancellato da Vodafone.
Ma il primato della non persistenza spetta ai media. Un file elettronico rimpiazza il CD, una smart card sostituisce la fotografia, il videoregistratore immagazzina la partita e su un DVD ci stanno tutte i match delle finali di calcio o tutti i lemmi della lingua italiana.
L’imperativo è consumare in continuazione, tutto e subito, non i beni di cui abbiamo bisogno ma specialmente le cose superflue, ché altrimenti l’economia si ferma e diventiamo tutti più poveri.
E così tutto deve essere rigorosamente transitorio, cancellabile e riscrivibile, sostituibile senza lasciare tracce, per far posto alle nuove inutilità, prodotte con il falso alibi dello sviluppo sostenibile e dell’aumento del PIL.
Tutto in nome dell’apparenza, perché la sostanza ha il difetto di durare. L’apparenza, non persistente per definizione, sta diventando durevole come la sostanza. E la sostanza?
Be’, ne facciamo a meno.


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