BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 04/10/2004

IL FESTIVAL DI MORIN

di Bruno Bonsignore

Due poltroncine vuote collocate sapientemente sulla scena senza palco del piccolo Teatro Studio risaltano nella penombra, segnate da due spot di luce bianca, accerchiate da spirali di pubblico che s'avvitano dal piano terra fino al sottotetto. Sono centinaia i ragazzi e le ragazze curiosamente allineati in-fila-per-uno che s'appoggiano alla balaustra, appollaiati sullo sgabellino come passeri curiosi in attesa del becchime, che verrà generosamente sparpagliato dal mitico giovane ultraottantenne che prende discretamente posto fra gli applausi, affiancato da Mauro Ceruti.

Cosa mi ha insegnato la mia famiglia? Mi ha insegnato il Mediterraneo, l'amore per l'olio d'oliva, le melanzane, il riso con i fagioli bianchi, le polpette d'agnello alle spezie, le triglie, le pizze al formaggio o agli spinaci. Tutti questi cibi e sapori, assorbiti dai miei avi in Spagna, in Toscana e a Salonicco, sono stati a Parigi, città in cui sono nato e cresciuto, la base della mia alimentazione”.

Chi potrebbe animare questo straordinario Festival Mediterraneo più e meglio di Edgar Morin, che s'appresta a un lungo trimestre di viaggio attraverso tutti i Paesi affratellati dal mare Nostrum? Non ho ancora letto il suo “Latinità” che già s'annuncia un nuovo libro, e il ricordo mi porta a Formia, due estati fa, quando ho ascoltato per la prima volta dalla sua voce l'elogio della mediterraneità. Le olive, il vino, la mollezza del pomeriggio ventilato, certo, ma dobbiamo anche demitizzare – esorta Morin - l'Europa aulica dell'armonia, della dolcezza, e rimitizzare per contro quella dionisiaca, l'Europa che ha creato la laicità. Si tratta insomma di legare la coscienza planetaria alla coscienza mediterranea, nella pienezza di una visione “maternale” di madrepatria in cui insieme con la mater –mer, mare- che genera e accoglie c'è la patria, la paternità…

Impossibile? Dobbiamo avere fede nell'improbabilità, pronti all'emozione del nuovo che può accadere!

E dobbiamo pensare a una nuova metastoria con una metamorfosi, perché il nostro sistema non ha più la capacità di governare le questioni vitali, allora o si disintegra o, appunto, si metamorfosizza. E la civiltà mediterranea ha questo potere generativo, di creazione, come le cellule-madri nel corpo umano, che vanno risvegliate. Cos'è che può operare questo risveglio, aiutare la metamorfosi se non la cultura?

“ … Mio padre mi ha trasmesso un patrimonio culturale fatto esclusivamente di canzoni, di caffè-concerto, di operette. Cantava e fischiettava dalla mattina alla sera, ovunque, perfino a tavola, quando era sazio. Ed io ero affascinato da La piccola tonchinese, da Cugina e da tutte le canzoni del '900 del suo repertorio. Mia madre amava le arie d'opera italiane e aveva trasmesso questa passione a mio padre che cantava, levando il bicchiere, l'aria del brindisi della Traviata o "Questa o quella" da Rigoletto. E tutti e due amavano le canzoni spagnole di Raquel Meller: La Paloma, Valencia, El Reliquario. “ ( *)
Stiamo fronteggiando una unione di due barbarie, quella antica ed eroica con la sua passionalità e quella razionalizzante della tecnica che armano la violenza dell'Islam, una violenza che nulla potrebbe senza la tecnologia occidentale.

Ci troviamo così con una scienza senza coscienza, dove la morte non è più una dimensione individuale ma un pericolo permanente sul divenire dell'intera comunità umana.

> “… E ho conosciuto, non dalla mia famiglia ma nella mia famiglia, la cosa più importante: a nove anni, ho conosciuto la morte.” ( *)

Per fronteggiare l'energia Nera che spinge alla separazione e alla disgregazione non basta il pacifismo, abbiamo bisogno della vitalità della Pace.

Eppure è proprio la presenza della morte che può rivitalizzare le nostre energie assopite, spingendoci con maggior determinazione verso la convivenza, il sentirci fratello l'uno dell'altro non per salvare, ma per diventare dei salvati.

“ … mio padre non mi ha insegnato né tradizioni, né un sapere, né norme o credenze. Non mi ha trasmesso alcun credo religioso, nessun principio politico. Anche se possedeva ed era posseduto da una concezione sacrale della famiglia, che comportava il culto dei parenti e l'istintiva etica della solidarietà familiare.” (*)

Nel Mediterraneo c'è l'universalismo, che ha alimentato tutte le differenze ma al tempo stesso ci ha reso tutti interdipendenti; ebbene è questo universalismo che dobbiamo rendere concreto con iniziative come, per esempio, il Collegio Etico Politico …

E Morin affronta un altro luogo comune, il Nord sovrasviluppato e il Sud vuoto, sottosviluppato. Il Nord ha saputo sviluppare una capacità di calcolo che ignora praticamente tutto quanto è umano, ha creato una sorta di “inumanità tecnologica”, e allora adesso abbiamo nostalgia di un modo di vivere “più commensale”, con più qualità della vita e meno ossessione per la quantità: meno, diciamo, ma meglio.

Così il Sud ci soccorre con la sua ricchezza, i luoghi della vita tradizionale, la strada, le terrazze, le finestre aperte … diventa la bandiera di tutte le qualità umane, e non si limita a salvaguardarle ma le migliora e le sviluppa, come per esempio quell'idea dello slow food …

Il Sud, la latinità, conclude Morin, aiuta il Nord ad essere più umano: “ è la resistenza per l'umanizzazione del Nord “.

Giorello ringrazia fra gli applausi, m'avvicino al professore, sommerso dagli abbracci commossi dei tanti amici italiani che lo vorrebbero ospite in cento università diverse; Morin oppone a tutti un garbato rifiuto, “adesso non posso…”, un lungo viaggio lo aspetta e poi, al ritorno a Parigi, dovrà lavorare –mi dice- “al mio ultimo tomo sull'Etica”. Ricorda, forse per cortesia, il nostro incontro e riusciamo a scambiare un saluto prima che decine di libretti sventolanti in cerca d'autografo ci separino. In tasca ho qualche parola illuminante scribacchiata sul biglietto d'invito: fede nell'improbabilità … l'universalismo del mediterraneo madrepatria … madre-padre …

Con la sua semplicità latina Edgar Morin ha riacceso le nostre energie.

(*) Edgar Morin, Mes démons .

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