BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 11/10/2004

ETICA PER SPORT E SPORT PER L'ETICA

di Bruno Bonsignore 1

Da uno spot passato ripetutamente in televisione quest'estate:

“Golden League: se sei davvero il più forte c'è un jackpot di $1.000.000 per te”.

Come dire forza caro atleta, facci vedere cosa sei capace di fare, vinci –accontenta lo sponsor- e in un colpo solo cambi vita. E allora l'atleta, anche quello che ha sempre rifiutato le scorciatoie chimiche, quello bravo ma non fuoriclasse che i premi e i soldi non li vede mai pensa beh, per una volta non mi capiterà niente, mi “faccio” ben bene e provo ad arraffare il malloppo. A sua volta il campionissimo, per non perdere vittoria e jackpot, adotta gli additivi chimici, così che si ristabilisce la gerarchia ma gareggiando dopati, e chi li ferma più.

Cosa vogliamo inventare? Lo sport ideale nello spirito e leale nella pratica?

Nelle olimpiadi antiche esistevano i giudici di gara, gli Ellanodici, erano assistiti da personale ausiliario e intervenivano in caso di falli gravi, di violazione delle regole e sanzionavano le scorrettezze, che a quanto pare erano numerose. Si perchè gli atleti non partecipavano per la gloria, questa l'ha inventata De Coubertin più di mille anni dopo: i vincitori diventavano ricchi e famosi, godevano di una rendita per la vita intera e non gli serviva più lavorare, proprio come ai tempi nostri. E quando scoprirono che bastava cambiare alimentazione, passando dai fichi alla carne, per accumulare più energia e gareggiare con maggiori possibilità di vincere, non esitarono ad adottare la nuova dieta, praticando di fatto una primitiva forma di doping. Il puro spirito sportivo è una categoria che non è mai esistita, se non nel cuore del singolo atleta come valore squisitamente individuale.

Una valore che non si inventa così per sport ma che va conquistato psicologicamente e difeso moralmente ogni giorno, con un allenamento tanto faticoso quanto quello fisico.

In una visione che va ben oltre la competizione fisica questo è il contributo più nobile, e utile, che lo sport può dare all'etica: non solo la rieducazione alla saggia mens sana in corpore sano ma una vera e propria riabilitazione psicofisica. Abbiamo da capitalizzare un enorme campo di sperimentazione e ricerca: gli innumerevoli scontri-incontri multiculturali che le sfide sportive ci propongono quotidianamente.

E' così che lo scenario della pratica sportiva, che s'adegua inevitabilmente alla legge della complessità crescente che pervade ogni attività umana, diventa un indicatore luminoso degli atteggiamenti e comportamenti più indicati al nuovo contesto di etnie, religioni, linguaggi e usanze che ci circonda.

Smentendo la superficiale accusa di omologazione imposta dalla globalizzazione, il nostro mondo è animato, pervaso, sbatacchiato dall'irruzione sulla scena di innumerevoli realtà e sub-realtà locali, per lo più sconosciute e subitamente imposte ai più dalla multimedialità che ci impedisce di ignorarle, “…nessuno potrà dire che non sapeva ”.

La globalizzazione di per sé non è un disvalore, insieme con l'appiattimento dei sapori e delle abitudini porta una maggior distribuzione di beni e servizi, e alle inevitabili contaminazioni culturali offre in compenso la liberazione delle nazioni dall'autorità (spesso tirannica) locale, senza per questo dover rinunciare alle proprie tradizioni. In mancanza di un'autorità superiore centrale –Dio ci aiuti- dobbiamo arrangiarci da soli.

Le leggi stanno dimostrando tutta la loro impotenza di fronte alla nuova complessità planetaria, eppure mentre cresce l'abilità di aggirarle impunemente, nonostante le dure sanzioni previste, c'è sempre maggior richiesta di codici etici, per natura inoffensivi e simbolici.

Ci viene oggi richiesto di rinunciare alla comoda asetticità della norma, inevitabilmente estranea al caso specifico che la realtà ci impone, e quindi sempre meno applicabile, per affrontare la quotidianità soli con la nostra ragionevolezza.

Ed e' in questa ottica che, con il contributo di alcuni soci fondatori, AssoEtica, propone il Corso di Iniziazione alla Business Ethics ( www.assoetica.it ) la cui 2° edizione inizierà proprio alla fine di ottobre.

Naturalmente il problema coinvolge tutti, e in modo assai più drammatico gli operatori sanitari. Perchè alle già straordinarie difficoltà dell' intervenire per curare, per alleviare il dolore, rimediare a una malformazione naturale, un'infermità accidentale, un'invalidità sopravvenuta, prevenire una malattia, salvare la vita, s'aggiungono nuove complessità. A quelle intrinseche della scienza medica si sommano le complessità di coscienza, che siamo chiamati ad affrontare senza altro sostegno che la nostra etica personale fatta di buon senso, dubbio, capacità di ascolto e mediazione e consapevolezza che non esiste la soluzione perfetta. E, specialmente, dell'assunzione di responsabilità verso l'altro, indipendentemente dalla cultura che lo anima.

Il confronto con le diverse culture va inquadrato piuttosto come un incontro con l'altro, certamente difficile, inaspettato, spesso incomprensibile, sgradevole, anche ostile, e tuttavia eticamente inevitabile. E motivato anche, va ammesso senza ipocrisia, dalla ricerca dei valori e dei vantaggi derivanti dalle diversità.

Possiamo ancora sottrarci, con crescente difficoltà, rifiutando di includere l'altro nel nostro orizzonte di vita. Ma un nuovo “splendido isolamento” è impensabile per nessuna nazione, nessun continente; gli sbarchi “altri” si susseguono, e se possiamo fermare gli sconfinamenti illegali e le carrette del mare, le invasioni mediatiche sono inarrestabili.

L'etica è un'ottica che dobbiamo acquisire per sopravvivere, ben oltre il falso mito dello sviluppo sostenibile e i pallidi impegni della responsabilità sociale.

Siamo chiamati al confronto dell'incontro.


1 www.assoetica.it

 

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