BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 20/06/2005

DALLA FINANZA ETICA ALL'INVESTIMENTO RESPONSABILE

di Bruno Bonsignore

L’ottica di Levinas non è quella delle banche

La banca non è un’impresa come le altre perché porta nella sua ragione di vita e di sviluppo un impegno sociale incondizionato e irrinunciabile.

Se per l’impresa tradizionale l’etica , come afferma Emmanuel Levinas, è un’ottica, una scelta difficile da praticare nella costante ricerca di equilibrio tra interessi e diritti, per la banca non è un’opzione ma piuttosto un fattore costitutivo. Non è virtù ma il sentimento di un debito verso la comunità che va continuamente attualizzato, negoziato e onorato.

In questa visione non ha senso parlare di finanza etica, che presuppone l’esistenza di una finanza non etica così come la banca etica implica che quelle tradizionali non lo siano, con le deduzioni negative cui inevitabilmente si giunge.

Ma poi che cos’è la finanza etica?

E’ semplicemente l’attività delle banche etiche e sono i fondi etici che vengono proposti dalle banche tradizionali. L’innovazione essenziale della finanza etica è che riporta l’accento sulle conseguenze non soltanto economiche dei progetti che si finanziano. Un ritorno alla logica del capitale industriale anziché di quello finanziario. Investire per produrre insomma, non per speculare.

Questo implica anche un orizzonte temporale più ampio rispetto a quello normalmente considerato dalle banche tradizionali. Ciò che gli anglosassoni chiamano “corporate citizenship”:managing risk on long term basis.

E i fondi etici?

Molti si definiscono tali solo perché devolvono in beneficenza una parte delle commissioni di gestione o delle performance ottenute, ma senza selezionare eticamente l’investimento. Mentre i veri fondi etici dovrebbero investire sia in base a criteri negativi –non armi, non tabacco, non alcol, non lavoro minorile ecc.- sia in base a requisiti positivi, senza i quali non si procede all’investimento.

Una peculiarità tutta italiana, al contrario di quanto avviene negli Stati Uniti e nel Regno Unito dove gli investimenti etici sono diretti sia alle organizzazioni non profit sia a quelle tradizionali, è che i fondi etici nostrani sono diretti a sostenere iniziative sociali e non profit. La maggior parte dei fondi etici non usa alcun sistema di screening etico e sono più che altro fondi “charitable”. Manca anche un adeguato sistema di informazione e reporting sul management dell’investimento.

Il criterio di scelta degli investimenti è demandato normalmente a un Comitato Etico che però ha più carattere referenziale che tecnico, essendo composto da figure prestigiose ma spesso senza particolari competenze di economia e finanza. Il Comitato Etico dell’Istituto San Paolo-IMI ad esempio, presieduto dal Cardinale Ersilio Tonini, valuta gli investimenti e devolve una parte delle commissioni ad associazioni non profit italiane e straniere. Naturalmente i criteri di scelta saranno in linea con i valori etici, in questo caso, del pensiero cattolico –peraltro molto bene esplicitati dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana- che tuttavia non corrispondono necessariamente ai valori laici o di altre religioni come ad esempio quella islamica, che considera come usura l’applicazione di tassi di interesse sui prestiti!

Un altro elemento importante è la trasparenza che deve caratterizzare le organizzazioni bancarie. Per restare all’esempio del San Paolo,quotata al NYSE, la FED non la considera banca italiana poiché risulta controllata da Banco Santander. Un dilemma che non favorisce il rapporto di chiarezza e fiducia che si deve instaurare tra il risparmiatore e la banca alla quale affida il proprio capitale. E sono punti di debolezza nell’analisi della governance che vengono ripresi nel report Standard & Poor’s del 2004.

Un altro aspetto che non favorisce la diffusione dei fondi etici in Italia è la mancanza di un organismo indipendente e di garanzia come ad esempio il britannico EIRIS, capace di dare informazioni affidabili e valutazioni competenti sugli aspetti fondamentali delle società e dei relativi fondi. In Italia la Compagnia Sviluppo Imprese Sociali –COSIS- se continua a svolgere la duplice funzione di informazione indipendente e al tempo stesso di consulenza è eticamente discutibile. 

Il prossimo livello di investimento responsabile

Non è tanto un fatto di etica o di social responsibility ma piuttosto di integrazione, di impegno degli investitori e di adozione di un nuovo concetto di qualità.

L’integrazione riguarda questi quattro fattori nell’analisi dei fondamentali dell’azienda, per metterla in grado di poter prevedere, evitare, reagire e anche trarre vantaggio da:

L’impegno è quello degli investitori istituzionali che devono entrare nelle aziende come veri e propri “owner” con ruoli operativi e non limitarsi ad osservare dall’esterno.

E il nuovo concetto è quello della Doppia Qualità: quella del prodotto/servizio + quella dell’impegno sociale.

I rischi legati al cambiamento climatico

Ambiente e clima sono i punti cruciali sui quali si concentra l’impegno dell’imprenditoria mondiale per salvaguardare la natura. Nella maggior parte dei casi la Social Responsibility è intesa dalle aziende come un maggior impegno nel rispettare l’ambiente, perseguendo il miraggio di un improbabile sviluppo sostenibile.

Il Carbon Disclosure Project è la risposta alla sfida dei cambiamenti climatici e la necessaria maggiore attenzione ai rischi. Raggruppa un centinaio dei più grandi investitori istituzionali di tutto ilmondo sui temi della responsabilità sociale, per un capitale gestito di oltre 10000 miliardi di dollari.

Anche qui sono determinanti, dal punto di vista etico, i criteri di valutazione dell’impatto del cambiamento di clima sui processi produttivi e distributivi.

In pratica: come fa una banca a valutare l’impatto che avrà una legge su un determinato settore merceologico per decidere un investimento finanziario?

Esempio:

Il rapporto SAM –Sustainable Asset Management / World Resources Institute- “Changing Drivers” sull’impatto economico delle restrizioni costruttive rese necessarie dai problemi climatici sull’industria automobilistica mondiale.

Si tratta di capire quanto costerà alle industrie automobilistiche nei prossimi 10 anni mettersi a norma per rispettare le nuove leggi. Dal rapporto, che analizza il 70% del parco automobilistico mondiale –USA, Europa e Giappone- e i 10 principali gruppi automobilistici, risulta che la marca meglio piazzata nel mix rischio-qualità manageriale è Honda, che dovrà affrontare un maggior costo per unità prodotta di soli $50 mentre la più penalizzata risulta BMW che dovrà spendere $600 in più per ciascuna auto prodotta.

Lo stesso calcolo sull’EBIT –Earnings Before Interests e Tax-rivela che la miglior posizione è di Toyota con +10% mentre Ford è ultimacon -10%.

Quale fondo “etico” è capace di offrire questo tipo di analisi del rischio derivante dal cambiamento climatico, come motivazione oggettiva per la scelta dell’investimento su una marca piuttosto che un’altra? E’ evidente come investire in un’azienda semplicemente perché “rispetta l’ambiente”, o depura le acque di scarico o perché vince il premio per il miglior bilancio sociale non solo ha poco di etico ma ha molto di irresponsabile.

Le banche, se non vogliono adottare l’ottica etica di Levinas, devono trovarsi la propria, renderla pubblica e impegnarsi per rispettarla quotidianamente in modo coerente.

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