BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 23/01/2001

Quale comunità virtuale?
di Bruno Bonsignore

Virtuale è "ciò che esiste solo in potenza ma non è ancora in atto. Può avere, ma non ha, realizzazione concreta". La definizione del Nuovo Zingarelli ancorchè datata descrive con sorprendente attualità la situazione in cui naviga la net economy. Che esiste in potenza ma non è ancora in atto nonostante ricerche, previsioni, stime e proiezioni si affannino a proporcela ormai come reale.

Siamo tuttora nel campo delle predizioni, come dimostrano gli eventi dell’ultimo anno borsistico: pochissime conferme e un crescendo inquietante di flop. E poi chi è capace di spiegare cosa c’è di virtuale in un mercato basato su imprenditori che vendono e di persone che comprano, di merci in magazzino, corrieri che trasportano e negozi che distribuiscono, di carte di credito che vengono presentate e verificate e di miliardi incassati? O forse che per virtuale s’intende l’assenza di contatto fisico? Ma allora anche le telepromozioni e la vendita per corrispondenza sono virtuali. Solo che queste esistono e funzionano da decine d’anni.

E la virtualità è solo il 50% dell’inconsistenza del fenomeno che denuncio nel titolo. L’altro 50 è rappresentato dalle comunità, quelle che per definizione dell’eMarketing dovrebbero costituire il mass market degli acquisti online.

Le aziende merchant sognano di mettere le mani su milioni di individui e di fidelizzarli a tempo indeterminato solo per il fatto che gli si offre un portale come ingresso in rete! Si mette nel pentolone un bel po’ di contenuti "trasversalizzanti", un pacchetto di link convenienti (per il merchant) e voilà, è fatta la comunità! Troppo bello per essere (o meno male che non è) vero.

Sempre il Nuovo Zingarelli definisce la comunità come "un insieme di soggetti uniti da vincoli comuni in modo da costituire un organismo unico". Ora mi chiedo se tutti quelli che cliccano su un link per leggere un’informazione meteo, un prezzo o anche per comprare siano così legati da " un vincolo comune ".

Certo, se si uniscono per comprare danno effettivamente vita a un "organismo unico" che però si chiama gruppo d’acquisto, senza nessuna pretesa d’essere unito da visioni omogenee del mondo. Ma anche al di là dello Zingarelli la Comunità Virtuale, almeno quella che ipotizza chi punta all’e-Commerce, deve ancora sbocciare. I merchant, le web agency e i circuiti di raccolta e vendita degli spazi sono sempre convinti che la principale fonte di ricavi debbano essere e saranno i banner e la web advertising, nell’illusoria pretesa di poter così offrire i contenuti gratuitamente.

Questo indica che non si sono resi conto che la pubblicità online è una forzatura rispetto al comportamento e alle aspettative naturali del web user. Al quale più realisticamente e concretamente vanno proposti beni e servizi con chiarezza commerciale e, finalmente, un buon sistema di pagamento, semplice e veloce.

Certo il passaggio da free a pay sarà faticoso e lento ma, come dallo psicologo, un rapporto duraturo e di fiducia può nascere solo da un contratto chiaro e reciprocamente conveniente. Siccome è ormai dimostrato che i web che regalano non sopravvivono e la pubblicità è una chimera che non copre i costi, non esiste alternativa. E questo se non altro semplificherà le strategie.

Ricapitolando.

Le comunità che tutti cercano di accalappiare su internet non sono Comunità. Quelle che cadono nella tentazione dell’offerta speciale deludono inevitabilmente i membri che, prima o poi, se ne allontanano e si disperdono.

Le vere Comunità non sono ancora capite e trattate in quanto tali: soggetti con cui impostare un rapporto di reciproca fedeltà – e non da fidelizzare – ed ai quali eventualmente proporre, se e quando opportuno, un’offerta commerciale trasparente.

D’altra parte, la virtualità non esiste. O meglio non esiste ancora quel tipo di virtualità così concreta da costituire il tanto agognato new market. Quello che siamo riusciti a fare sino ad oggi è di vendicchiare a qualche centinaio di milioni di acquirenti che compricchiano, sostanzialmente indifferenti alla pubblicità e cliccando sempre meno (meno dell’1%) sui fatali banner. E’ evidente che questi clienti non sono la comunità virtuale e che i loro acquisti non fanno una new economy. Tutto deve ancora avvenire con gli anni.

Se internet vuol vendere – ed è un canale di vendita – occorre che incominci a spiegare seriamente il valore d’uso di un bene e di un servizio invece di limitarsi a indurre ipotetiche comunità ad aumentare i consumi.

E’ la Brand che deve proporre valori diversi, con modalità diverse, adeguandosi alla mobilità del nuovo ambiente elettronico e non scimiottando la staticità del mercato tradizionale. Voglio dire che in ultima analisi sono le Brand che devono aiutare la comunità a formarsi o meglio a crescere, adeguandosi più che ai nuovi modelli ad una nuova cultura del consumo: responsabile e comparata prima che comperata.

Come si vede, un bel po’ oltre i banner e la pubblicità, oltre i portali, più vicini a capire – non a profilare – chi c’è dall’altra parte e con una visione più matura ed etica del fenomeno. Vedo ben poche Brand capaci di pensare e agire in questo senso per creare quello che non c’è ancora, la Virtual Community.

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