Profitto
e approfitto. Etica: insostenibile pesantezza?
di Bruno Bonsignore
E' possibile essere etici
perseguendo, con tutti i mezzi disponibili e rispettando la legalità,
lo sviluppo del proprio business e l'affermazione sui concorrenti?
Il fine dell'etica è l'attività morale esercitata con costanza
e saldezza di intenti, orientata al bene comune e alla felicità collettiva.
Quindi, anche a quella individuale.
Se cerco il mio interesse personale, o quello dei miei soci, o anche di migliaia
di azionisti, non posso rientrare in questa visione aristotelica dell'essere
etici, che impone di occuparmi del prossimo come persona verso la quale ho un
impegno morale.
Se per esempio concludo un affare, il mio obbligo non sarà relativo a
ciò che l'altra parte contraente è in grado di esigere per legge,
ma a quello che l'altra persona è e deve avere in quanto tale. Se mi
sottraggo a tale realtà nego il suo valore umano e questo non è
etico.
Il bene proprio, contrapposto a quello comune, viaggia su una logica del privilegio
di sé e dell'estensione estrema del campo del "legittimo possesso"
che ineluttabilmente collide con il bene altrui.
Ma allora, se faccio parte di un'azienda alla quale devo contrattualmente ed
eticamente dedicare le mie risorse umane e professionali per contribuire al
raggiungimento degli obiettivi, come posso risolvere la contraddizione di ricercare
il "privilegio aziendale" e al tempo stesso il bene comune, cioè
essere etico?
Se entro nell'analisi di ciascuna situazione determinerò sicuramente
delle priorità, delle cose giuste e meno giuste da fare per procedere
verso l'obiettivo, ma farei un uso opportunistico dell'etica che non può
essere accesa o spenta come se fosse un interruttore. Andrebbe certo meglio
se fossimo sostenuti da una maggiore cultura etica, su livelli di consapevolezza
sempre più alti fino a che la condotta morale non diventi spontanea,
costante e salda, senza bisogno di valutare ogni volta se adottarla o meno.
Ma non sembra che la situazione attuale, e anche quella che possiamo ipotizzare
a medio termine, preluda a un simile stato di grazia. Ci aiuta il compromesso,
inteso non come l'abilità diplomatica di raggiungere sempre una soluzione
ma piuttosto come rifiuto di atteggiamenti dogmatici tipo o è bianco
o è nero.
In questo caso il compromesso potrebbe essere un "distacco crescente"
dal vantaggio personale in favore dell'avvicinamento a quello comune. Permangono
l'incertezza e l'arbitrarietà di attuazione della strategia, ma solo
per quanto riguarda il tempo necessario al "distacco crescente", a
causa dell'ovvio -legittimo- contrasto con gli interessi personali dell'azionista.
Cui verrebbe chiesto di limitare progressivamente il proprio privilegio a vantaggio
degli stakeholder e via via dell'intera Collettività.
In questa visione strategica l'Azienda è chiamata a sviluppare un nuovo
tipo di relazionamento col cliente nel quale il destinatario della politica
one-to-one non è più l'individuo inteso come singolo ma come parte
inscindibile della Collettività, con cui l'Azienda non può più
usare il filtro del call center. Nasce un nuovo modello interattivo di comunicazione,
dove è la Collettività che con maggiore intensità entra
in contatto con l'Azienda. Ciascun componente interroga, chiede, suggerisce
e l'Azienda risponde utilizzando la multicanalità ma sostanzialmente
con il comportamento, in una dimensione capovolta di direct marketing: ePluribus-to-One
Ipotizzo anzi un rapporto rovesciato di CRM, che chiamo Collectivity Relationship
Management, dove è la Collettività che gestisce l'Azienda e ne
ispira e determina il comportamento - pur sempre orientato al profitto- in termini
etici, cioè vantaggiosi per tutti.
Perché la Collettività può penalizzare l'Azienda non eticamente
corretta semplicemente attenuando nei suoi confronti la propria simpatia, la
preferenza per i suoi prodotti, riducendo i consumi delle sue brand. Superando
la stucchevole contrapposizione global-noglobal, in una benefica rivincita dei
Globalizzati sui Globalizzatori, il consumatore abbandona il suo tradizionale
ruolo passivo per fare irruzione in quello attivo. Smette di lasciarsi avviluppare
dal marketing para-culturale sempre più subdolo e aggressivo delle multinazionali
e prende coscienza del nuovo potere che è lo stesso mercato globale a
consegnargli.
L'individuo "collettivo" in una nuova dimensione di consapevolezza
privilegia l'interesse comune e non il suo specifico, e rifiuta le tentazioni
one-to-one da parte dell'Azienda perché sa che potrebbero compromettere
la compattezza e la forza della Collettività.
Così l'impegno etico dei governi si concretizzerà nel favorire
con ogni mezzo il sorgere di questa nuova consapevolezza nella Collettività,
per metterla in grado di resistere e controbattere, in modo non violento ma
efficace, lo strapotere delle nuove corporazioni globali.
L'apparente insostenibile peso dell'impegno etico si trasforma allora in una
inattesa promessa di leggerezza, perché così come la spartizione
del mercato globale è una colossale opportunità per l'Azienda,
così la Collettività della Rete ha infine la straordinaria possibilità
di controllare l'Azienda globale. Anche di indurla a condividere, nella logica
e irrinunciabile vocazione imprenditoriale al profitto, la propria giusta parte
di "approfitto".