BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 02/04/2007

CINEMA E FORMAZIONE ESPERIENZIALE

di Rosanna Celestino

Il cinema ci permette di osservarci non nella specularità dello specchio, ma nell’asimmetria dello sguardo dell’altro. 

Nella mia esperienza formativa uso il cinema dal 1990: provenendo dal teatro e avendo inserito negli impianti didattici elementi della formazione attorale, mi fu e mi è naturale pensare alla valenza catartica e riflessiva del cinema, alla possibilità che offre di “osservare” i comportamenti, le conseguenze di azioni e parole, di immedesimarsi e, allo stesso tempo, di poter  avere una distanza emotiva che permette l’analisi e la sistematizzazione dell’esperienza.
Figlia di un’epoca in cui il cinema era uno strumento di impegno sociale e politico, il film è come un libro, come un incontro importante.
Ricordo i cineforum con dibattito, i film di Buñuel, Antonioni, Pasolini, il neorealismo, le discussioni fino a notte fonda sul senso di una scena, l’interpretazione di una inquadratura, di una frase, di una parola, di una espressione del volto.
Il cinema è un linguaggio meraviglioso che crea ancora e sempre stupore e non per gli effetti speciali ma per la sua capacità di porgerti fotogrammi di vita che andrebbe di-spersa, sparsa qua e la nell’esperienza e nella memoria. Il cinema ci permette di entrare in ciò che a volte consideriamo scontato, banale; ci permette di osservare la vita, a volte di osservare noi stessi, di osservarci non nella specularità dello specchio, ma nella asimmetria dello sguardo dell’altro.
La cosa straordinaria del cinema è che non esistono film inutili: possono essere brutti, scritti male, girati male, recitati male (come accade alla vita), ma anche nel peggiore “b movie” è possibile trovare un frammento capace di suscitare un’emozione, una riflessione, un ricordo, una connessione con un’esperienza. È per questa capacità evocativa che il cinema è un strumento di crescita.
Il cinema è magia, quante volte è stato detto. Nel cinema, tutto può accadere, tutto può trasformarsi: anche nel più didascalico neorealismo, lo spazio e il tempo sono liberi dalla consequenzialità; la parola e il movimento sono svincolati dalle leggi della fisica come solo nei sogni è possibile.
Il “linguaggio” cinematografico, la sua scrittura, permettono di esercitare la capacità di analisi e di sintesi, di allenare l’osservazione del dettaglio, di sviluppare la capacità di una visione d’insieme, di riconoscere le emozioni.
Molti anni fa, mi fu presentato un gruppo con il quale avrei avviato un percorso sulla competenza comunicativa e relazionale. La presentazione fu piuttosto “impietosa”: leggono solo le pagine sportive e anche in tv guarderanno solo sport; sono bravi professionalmente ma rozzi.
Pensai di utilizzare il cinema come filo conduttore e stimolatore dei contenuti propri dell’impianto didattico. Partendo da un blob di Totò e Benigni, passando per Ratataplan, il Senso della Vita, The Truman Show e altri, approdammo ad un delicato e difficile film di Tavernier. Il gruppo di “rozzi professionisti”, abituato al film di Natale ma soprattutto a vivere il cinema solo come momento di svago, diventò abilissimo a leggere il cinema, a usarlo come strumento di riflessione in tutta la sua potenzialità “generativa”.
Perché il cinema è così efficace nei percorsi di sviluppo e come “usarlo”?
Nelle attività di formazione e sviluppo, il cinema ha una storia consolidata: da anni è un’importante strumento nelle mani del “formatore” (docente o manager che sia) che, come è ben descritto in Schermi di formazione (1) , “espropria il regista della funzione di narratore divenendo lui stesso l’artefice della narrazione”, una narrazione che ha per soggetto i diversi temi che ci si trova ad affrontare in ambito aziendale. Attraverso la scelta di un brano, di un film completo o di un montaggio stressato di flash di film diversi, il formatore propone al gruppo l’osservazione di eventi emblematici che  rappresentano il tramite per riflettere su se stessi e sul proprio contesto: una “proiezione” all’esterno che permette un’analisi più oggettiva e una individuazione più precisa delle dinamiche sottese agli atteggiamenti mentali, alle relazioni interpersonali, ai “copioni” comportamentali ripetuti automaticamente, ai condizionamenti, agli ostacoli veri o presunti, alle passioni, ai sentimenti ed alle emozioni che ritroviamo nella “vita reale”.
Da più di dieci anni, negli Stati Uniti molti terapisti usano film per aiutare i propri pazienti ad esplorare se stessi. Nella Movie Terapy, il cinema non sostituisce le pratiche psicoterapeutiche o psicoanalitiche, ma rappresenta uno strumento in grado di facilitare i processi di cambiamento. Anche in Italia il cinema è ormai utilizzato in molti ambiti terapeutici: psichiatria, medicina, psicologia. Vincenzo Mastronardi, docente all’Università la Sapienza di Roma, ha pubblicato Filmterapy (2) , una sorta di enciclopedia nella quale trovare l’indicazione di film per ciascuna area tematica rilevante in psicologia. Di particolare interesse è il lavoro di Paolo Cattorini Bioetica e Cinema (3) , racconti di malattia e dilemmi morali, nel quale il professore di bioetica (Facoltà di Medicina e Chirurgia di Varese Università degli Studi dell’Insubria) propone itinerari narrativi che aiutano il lettore ad affinare le proprie capacità di analisi attraverso l’osservazione critica  di dilemmi morali quanto mai presenti nell’attualità: dalla clonazione alla procreazione assistita alla eutanasia.
Anche la filosofia può essere affrontata e conosciuta con l’aiuto del cinema. Ad esempio, nel 2000 è stato pubblicato un affascinante testo del filosofo Julio Cabrera (4) : Da Aristotele a Spielberg, capire la filosofia attraverso i film.                                                                                               
Si tratta di un testo affascinante nel quale l’autore propone  di affrontare i grandi temi della filosofia con una sensibilità, allo stesso tempo, logica ed affettiva. Il cinema è perfetto per questo approccio: il film rappresenta un’esperienza logopatica, un’esperienza che coinvolge logica ed emozione, logos e pathos, razionalità ed affettività. Cabrera isola, nei diversi film che analizza, quei punti che possono “contribuire a porre le basi di un’esperienza vivida di un problema filosofico”. Così, attraverso Il cacciatore di M. Cimino e Tornando a casa di H. Ashby, s’indaga sull’idea universale di guerra, sul mondo platonico delle idee, Ladri di biciclette di V. De Sica è lo stimolo per la questione aristotelica del verosimile e Thelma & Louise di R. Scott insieme a Le ali della libertà di F. Darabont, forniscono l’occasione per esplorare il pensiero di J.P. Sartre sull’esistenza e la libertà,  il rapporto tra libertà e morte e sulla libertà non solo come fatto interiore  ma come forza capace di trasformare il mondo.
“il linguaggio del cinema è inevitabilmente metaforico, persino quando sembra esprimersi in modo totalmente letterale come nei film realistici; e il fatto che una certa trama (letteraria o cinematografica) sia fittizia, immaginaria o fantastica non impedisce in partenza il cammino verso la verità. Al contrario, attraverso un’esperienza lontana straordinariamente dal reale quotidiano e familiare il film può farci scorgere qualcosa che normalmente non vedremmo. Forse ci vuole un buon film dell’orrore per prendere coscienza di parte degli orrori di questo mondo”.
Nella bellissima introduzione, Cabrera spiega come la comprensione di un concetto filosofico necessiti dell’esperienza emotiva: afferrarlo solo a livello logico non è sufficiente, è necessario sentirlo sulla pelle. In questo senso il cinema offre un linguaggio più appropriato in quanto usa una ragione logopatica e non solo logica: “l’emotività non scaccia la razionalità, ma la ridefinisce”
Tornando alla domanda: perché è così efficace e come usarlo? penso che la risposta sia emersa con evidenza:
il cinema è uno strumento efficace di formazione e sviluppo perché è un’esperienza che coinvolge la persona nel suo complesso, ragione ed emozione; come tutte le esperienze ha bisogno, per produrre un cambiamento concreto, di consapevolezza.
Siamo così nel territorio della formazione induttiva, esperienziale, in grado di collocare, al centro dell’azione formativa, le esperienze della persona, di concentrarsi sul “qui e ora” e sull’osservazione e valutazione dei fatti, anziché sul giudizio degli stessi. Ma se la formazione esperienziale appare evidente (ogni attività, ogni esercizio è esperienza: andare in barca a vela o disegnare), meno evidente è il trasformare l’esperienza in apprendimento, in cambiamento concreto, in crescita personale e professionale.
Intorno ai film, ai blob, ai brani individuati nell’impianto didattico, è necessario costruire una rigorosa rete di riferimenti, di “tracce” in grado di facilitare il processo di riflessione e asimmetria, di identificazione e antagonismo; è importante accompagnare l’analisi del linguaggio nei dialoghi, nelle voci narranti, la scoperta delle metafore, la lettura delle dinamiche relazionali, la simbologia degli spazi e del tempo.
In un film poco conosciuto (La forza della volontà- titolo originale Stand and Deliver, 1987, regia di R. Menendez) E.J. Olmos interpreta un personaggio realmente esistito: un professore di matematica che decide di lasciare il ben pagato lavoro in una azienda di computer per andare ad insegnare in una scuola della periferia di Los Angeles. Una scuola di chicanos, emarginati e violenti. Il film, pieno di buoni propositi e di “american dream”, è scontato, ma l’interpretazione di Olmos e i dialoghi taglienti e rapidi, sono una palestra eccezionale per lavorare sugli atteggiamenti relazionali, sul valore attribuito all’altro. Una stringa di dialogo come esempio.
Ragazza: Invece di fare matematica, perché non facciamo lezione di sesso?
Professore: Si, ma come la mettiamo con i compiti a casa?
Da questo dialogo parte un rapporto nuovo tra l’autorità (il professore) e l’indolente ribellione dei giovani chicanos. Un rapporto che rappresenta l’opportunità per progettare un modo diverso, nuovo di pensarsi.
Come scrive Cabrera nell’introduzione: basilare è che ci si disponga a leggere il film filosoficamente. Ci sono molti modi di leggere un film: l’approccio sociologico, psicanalitico, semiologico, filosofico, appunto, o pedagogico.
Indipendentemente dalla volontà del regista o dal livello del film, è lo spettatore che può disporsi all’osservazione, alla partecipazione, all’analisi con un atto che è, di per sé, creativo.


 

1 - D. D’Incerti, M. Santoro, G. Varchetta, Schermi di formazione, Guerini e Associati, 2000.

2 - Filmterapy. Vincenzo Mastronardi, Armando Editore, 2005

3 - Bioetica e Cinema racconti di malattia e dilemmi morali, Paolo Cattorino, , Franco Angeli, 2003

4 - J. Cabrera, docente di filosofia contemporanea presso l’Università di Brasilia è  autore di importanti testi tra i quali: Proyecto de ética negativa (San Paolo, 1989) e Critica de la moral afirmativa (Barcellona, 1996), Da Aristotele a Spielberg, capire la filosofia attraverso i film, Bruno Mondatori, 2000

Pagina precedente

Indice dei contributi