BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 20/10/2008

POSSIAMO CAMBIARE LE COSE QUANDO RIUSCIAMO A CAMBIARE IL MODO DI GUARDARLE

di Rosanna Celestino

“La psicoanalisi è un mito tenuto in vita dall’industria dei divani”
Woody Allen

Sulla stampa, italiana e statunitense, in queste settimane di tragedia finanziaria, si legge del declino della psicoanalisi in favore della farmacologia (interessante l’articolo di Simonetta Fiori su La Repubblica del 2 ottobre 2008 a cui il mio testo fa riferimento)
È probabile, trasformando la battuta di Woody Allen, che i produttori di divani abbiano trovato forme più efficaci di pubblicità, così come è sicuro che la crisi economica e la forte pressione delle lobby farmaceutiche stiano facendo pendere la bilancia della ricerca del “ben-essere” a favore delle pillole abbandonando la lunga ed impegnativa  strada della psicoanalisi.
Ci sono altri due aspetti che penso abbiano contribuito e stiano contribuendo anche in Italia a consolidare tale tendenza di “lento declino” delle terapie più ortodosse.
Il primo rientra nel contesto economico ma non rispetto alla contingenza di crisi o di sviluppo, bensì ad una caratteristica propria del mondo della psicoanalisi: essere una sorta di sistema che si autoalimenta, chiuso e difeso, che ha fatto, e fa, del valore economico un elemento cardine della propria   “identità”.  L’aspirante psicoanalista, finiti gli studi di base (medicina, psicologia o, una volta, lettere e filosofia), deve entrare in una scuola, molto cara, e avviarsi ad un lungo percorso personale di analisi, molto caro. Una volta abilitato ha bisogno di una supervisione costante, molto cara. È evidente che la ricaduta sul “paziente” è, necessariamente, molto cara!
Questa sorta di spirale, ci circolo vizioso, travalica gli aspetti puramente economici (la psicoanalisi è sempre stata una forma di terapia per benestanti) per arrivare a quelli di “senso”. Il denaro, così come il tempo, nella psicoanalisi, sembrano far parte di una precisa liturgia. E qui arriviamo al secondo aspetto del “declino”: la vocazione della psicoanalisi (o degli psicoanalisti?) di proporsi come una sorta di “religione laica”, contraddizione in termini ma definizione piuttosto calzante. Conoscere la verità, possedere la “chiave” di interpretazione, dispensare giudizi, promettere salvezza (che sembra appartenere ad un altro mondo dati i tempi lunghi del percorso …). Sarebbe interessante approfondire il parallelo, ma qui è sufficiente sottolinearlo per evidenziare come, nel nostro presente, “l’uomo liquido”, come lo definirebbe Bauman, ha un rapporto ambivalente verso le “religioni” (laiche o meno) rifugiandosi nel fondamentalismo di qualsiasi tipo o prendendosi il rischio di vivere una esistenza incerta, in continuo divenire. Queste due macro tendenze contengono infinite possibilità di scelta, infinite storie personali, contraddittorie verità che, forse, sarebbero troppo sacrificate dalle certezze chiuse della psicoanalisi.
Un’ultima riflessione sulla psicologia in generale. Quanto è stato, ed è, consapevole il ruolo della psicologia nella costruzione della “solitudine” dell’uomo?
Sì, perché quando si trova una “sindrome”, una etichetta, per ogni comportamento che non corrisponde al senso comune, all’interesse comune,  all’attesa comune, si condanna l’uomo ad una solitudine disperata.
Gli si sottrae la possibilità di confrontarsi, di apprendere e anche di cambiare. La “psicologizzazione” della vita ha creato un vuoto sociale che induce ogni individuo a sentirsi inadeguato o, quando va bene, il solo responsabile del proprio “fallimento”:
se non riesci ad adeguarti ai ritmi frenetici del lavoro, se no sei abbastanza flessibile da accettare tutto, se non riesci ad organizzare la tua vita tra asilo – lavoro – casa – sesso, se non riesci a fregare il tuo vicino di scrivania, se non usi i dispositivi di sicurezza …… allora sei poco assertivo, sei demotivato, sei emotivamente instabile, sei poco attento, sei rigido, sei ostile, sei depresso, sei antisociale …..
Responsabilizzare l’individuo e deresponsabilizzare la società è un processo pericoloso che isola, disabitua alla parola e apre la strada alla “pillola”, al farmaco o alla droga in grado di placare il grido assordante della solitudine.
La psicologia può fare molto se torna ad “amare” l’uomo, se torna a pensare che ognuno di noi è una storia unica e irripetibile. Ogni sguardo, ogni voce, ogni gesto avrebbero valore per ciò che sono, ogni "altro" sarei io e non in nome di una ideologia o di una religione (entrambe dividono) ma "semplicemente" perché persone, storie, sogni, speranze, ricordi. Possiamo cambiare le cose quando riusciamo a cambiare il modo di guardarle.

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