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Pubblicato in data: 26/03/2007

EMOZIONI E STRANIERITUDINE, PER PARTECIPARE LO STESSO SENSO. OVVERO: LAVORARE SENZA OFFENDERSI

di Emma Rosenberg Colorni

Emozioni e comunicazione e responsabilità
Quanto tempo viene sperperato a causa di conflitti, incomprensioni, negoziazioni improduttive e altre disfunzioni comunicative?
E’ evidente che non sappiamo relazionarci, con gli altri e con noi stessi, come sarebbe necessario saper fare per considerarci buoni professionisti.
Eppure, nonostante sia evidente, spesso non riconosciamo l’incapacità relazionale come una vera incompetenza professionale, forse perché ignoriamo che è davvero possibile apprenderla: si può imparare ad utilizzare le emozioni per comunicare responsabilmente.

Per addentrarsi nello studio  delle emozioni è utile partire dall’offesa per tre motivi:

L’offesa è sia causa che effetto di gran parte delle disfunzioni comunicative.
Offendersi è un automatismo che limita la possibilità di comunicare, crea danno, e impedisce di collaborare efficacemente: quando ci offendiamo non negoziamo costruttivamente, non condividiamo gli scopi di collaborazione e diventiamo irresponsabili, nel senso di non-abili-a-rispondere.
Inoltre, abituati ad offenderci, ci sentiamo obbligati al conformismo, ci alieniamo,  non lavoriamo per raggiungere obiettivi veramente nostri e finiamo per sentirci insoddisfatti.
Quando si conosce l’offesa ci si rendere conto di quanta parte della comunicazione aziendale consiste in circoli viziosi legati all’offendersi. Non solo la gran parte delle chiacchiere, ma anche procedure, documenti, intere strutture, riunioni e altri riti, sono nati intorno a meccanismi di offesa.
Conoscendo a fondo l’offesa, e tenendola presente come modello, diventa poi possibile imparare ad utilizzare ogni altra

Ogni emozione ci informa di come stiamo osservando. Utilizzarla significa sostanzialmente rispettarsi mentre ci si sente emozionati in modo da accorgersi di come si sta osservando, per condividere poi la realtà nella circolarità fra ciò che vediamo e come osserviamo.
Per le professionalità che richiedono di saper comunicare (per negoziare costruttivamente, condividere la realtà e coordinarsi per risponderle) essere in grado di esplicitare questa circolarità è fondamentale.
Il percorso per imparare ad utilizzare le emozioni si svolge in tre livelli:

Per attraversare i tre livelli si fa attenzione ai propri automatismi emozionali disfunzionali, di cui l’offesa è una matrice.

L’emozione è un processo che emerge da una struttura di presupposti e da un sistema di relazioni che limita e dirige l’attenzione.
L’emozione emerge quando limitiamo la nostra attenzione all’interno dei suoi presupposti: quando siamo emozionati non ci accorgiamo dei presupposti su cui si fonda la nostra emozione, di conseguenza non esploriamo oltre i suoi confini e, rimanendo ciechi rispetto a ciò che le è estraneo, la assumiamo senza accorgercene come realtà.
Di fatto, quando siamo emozionati, reagiamo all’emozione e non alla realtà. (Qui si intende per “realtà” quella cosa che emerge da tentativi collettivi di coordinamento, così “emozione” viene compresa come la condizione in cui ci si sottrae dal processo di condivisione/costruzione della realtà).
L’emozione emerge dunque da una trance, una relazione in cui l’attenzione è limitata, catturata.
Abbiamo l’impressione di “cogliere” il significato quando è questo che “ci ha colti”, quando cioè la nostra attenzione e il significato sono limitati nella trance.
La struttura della trance è definita dai suoi presupposti, che sono le credenze e i criteri di valutazione su cui si fonda.
Spesso per paura, o per abitudine che è lo stesso, sentiamo il folle bisogno di cogliere definitivamente il significato, e allora confondiamo i presupposti con i limiti della realtà esplorabile, perdendo la possibilità di parteciparla responsabilmente.
Se riconosciamo noi stessi e la realtà entro i limiti dell’emozione ci sentiremo spinti a incarnarla, a impersonarla.
Ma possiamo imparare ad osservare l’emozione da una posizione percettiva di ri-spetto, coinvolta e contemporaneamente straniera.
In questo modo possiamo accorgerci di come guardiamo e partecipiamo la realtà, prima riconoscendo i presupposti che assumiamo per limitare la nostra attenzione, e poi negoziandoli esplicitamente per condividere la realtà.
Una volta guadagnata questa posizione percettiva, il nostro emozionarci ci apparirà come una recita.
Così, riconoscendo che non siamo obbligati a recitare guadagniamo libertà, dandoci alternative di risposta guadagnamo responsabilità, e condividendo consapevolmente i nostri presupposti guadagnamo potere di influenza. 

Conclusioni

Osservando il nostro emozionarci per accorgersi dei presupposti che assumeremmo automaticamente, troviamo il modo di utilizzare le emozioni per comunicare e riconoscere la nostre identità, invece che sprecarle e creare danni nel tentativo di negarle, controllarle o soffocarle.


1 - Su questi temi, che stanno al centro del libro di Emma Rosenberg Colorni, Lavorare senza offendersi. Come gestire emozioni e conflitti, Guerini e Associati, 2006, discuteranno –giovedì 12 aprile 2007, ore 18, a Milano, Casa della Cultura, Via Borgogna 3–  Emma Rosenberg Colorni, Haim Baharier, studioso di ermeneutica biblica e presidente del Centro Binah, e Francesco Varanini.

 

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