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Pubblicato in data: 17/06/2002

CALVINO, L'URBANISTICA E LA DEMOCRAZIA VIRTUALE

di Massimiliano Di Gioia

"Quinto leggeva sempre in treno e cercava di ritrovare pezzo per pezzo il paesaggio, le cose viste da sempre di cui soltanto ora, per esserne stato lontano, s'accorgeva che non esistevano più... Valli, colline, giardini…Al loro posto c'erano le case: tutti questi nuovi fabbricati che tiravano su, casamenti cittadini di sei, otto piani…La febbre del cemento s'era impadronita della città". Come il personaggio del breve romanzo di Italo Calvino, La speculazione edilizia, anche noi stentiamo a riconoscere pezzo per pezzo il paesaggio delle nostre città. E' ormai consuetudine veder tirar su in un batter d'occhio "casamenti cittadini" di quindici o venti piani e osservare come interi quartieri dormitorio hanno preso il posto (il libro di Calvino era del 1957) di splendide colline verdi.

Se negli anni '60 quest'espansione, soprattutto nelle città del centro-nord, è stata "digerita" a causa dell'immigrazione interna (diverso è il discorso per il meridione come si può facilmente immaginare), oggi un tale processo di sviluppo non dovrebbe essere più consentito. Anche perché questa indiscriminata erosione territoriale, con il conseguente aumento del traffico a dir poco inquinante, sta distruggendo l'ambiente in maniera irreversibile minacciando seriamente la nostra sopravvivenza. Eppure sembra impossibile cambiar rotta. La febbre del cemento, e mi fermo all'Italia, oltre ad essersi impadronita delle metropoli incarna tuttora l'intera idea di sviluppo di una civiltà. Non si esce dallo schema, sviluppo uguale espansione, sviluppo uguale costruzione indiscriminata, occupazione, accaparramento di fasce territoriali ancora rimaste libere. Senza invece passare attraverso un'attenta valutazione degli indici demografici, delle esigenze sociali ed ambientali. Insomma dovrebbe essere messo in piedi uno sviluppo pianificato dove ad una crescita pressoché zero della popolazione non si risponda con un aumento di cubature, dove a fronte di una reale esigenza umana di vivere sotto un tetto non si renda impossibile economicamente l'acquisto dell'immobile, dove nel rispetto culturale dei centri storici non si "autorizzi di costruire abusivamente" in zone archeologiche o di pregio, dove nel rispetto del vivere sociale non si lasci isolati ed abbandonati gli esseri umani.

Infrastruttura, parola dal suono non delicato ma che dà un senso "ordinato" al caos urbanistico imperante. Il fatto è che le infrastrutture, quando va bene, arrivano sempre seconde. Prima le case e poi si vedrà. Per i cittadini di alcune parti d'Italia i servizi, i trasporti ma più semplicemente le strade sono un miraggio. Si costruiscono autostrade urbane ghettizzanti (così è nato il Bronx), tangenziali avveniristiche che squartano interi quartieri, separano la vita di ciascuno. Si creano tessuti metropolitani nei quali si fa fatica ad incontrarsi, a vivere e più semplicemente a respirare. E' uno sviluppo soffocante, che dilata il senso di solitudine (non solo nel lungo e caotico "spostamento" quotidiano), che restringe gli spazi ed i luoghi d'incontro (quartieri dormitorio isolati) e che pregiudica il futuro di numerose persone (maturano in questi contesti molteplici fenomeni di devianza sociale).
E' utopico allora pensare allo sviluppo come ricostruzione, riqualificazione, riappropriazione degli spazi non necessariamente soltanto verdi (basti pensare alle piazze storiche e monumentali). E' utopico pensare ad uno sviluppo che ricrei luoghi d'incontro (come poteva essere il mercato di una volta), che aumenti le occasioni di crescita per le persone (ma vi siete mai chiesti perchè vengono messe a vivere insieme, come in un ghetto, tutte quelle persone che già sono emarginate?). In tale contesto sono stretti anche gli spazi del diritto, in quanto la legislazione sull'urbanistica è quanto mai confusionaria, incoerente e non trasparente con la conseguente assenza di potere (o deresponsabilità) delle autorità preposte a far rispettare le leggi ed a reprimere gli abusi e la consuetudinaria impotenza dei cittadini che non trovano risposte adeguate alle loro richieste. Abusi che devastano in continuazione il territorio (mi vengono in mente la Valle dei Templi di Agrigento e le villette ad un metro dal mare di Triscina ma penso che basti dare un'occhiata vicino casa!). Si dirà che esiste apposta il Piano Regolatore proprio per "ordinare" e "regolare" lo sviluppo urbanistico delle città e del territorio. Siamo d'accordo, ma questo strumento urbanistico non è aggiornabile facilmente come una pagina web, non è uno strumento che automaticamente, dopo aver inserito nuovi dati, ridisegna rapidamente sulle mappe il nuovo volto delle città. Il Piano Regolatore è un meccanismo complesso, un atto tecnico-urbanistico soltanto nella forma perché è il risultato di un equilibrio tra gli interessi degli amministratori (i politici), delle forze economiche (imprenditori/costruttori) e delle forze sociali (associazioni, cittadini). Prendiamo l'esempio di Roma che non ha un Piano Regolatore dal 1962 e che proprio in questi giorni ne sta elaborando uno nuovo. Gli effetti devastanti di questa mancata pianificazione sono sotto gli occhi di tutti.

Da quell'anno sono stati edificati oltre 150 milioni di metri cubi. Ma erano necessari? All'epoca le tendenze di espansione potevano essere lette in diversi modi. I residenti aumentavano 500 mila unità all'anno (2.188.160 nel '62). Si pensò che nel 1990 Roma raggiungesse quota 6 milioni! Il fatto è che da diversi anni sappiamo che quelle previsioni erano sbagliate. Dopo quarant'anni i residenti sono soltanto 350 mila unità in più (2.560.000 ultimo censimento)! E che cosa si è fatto? Si è edificato a più riprese e si continua a cementificare dentro, attorno e fuori dalla capitale senza realizzare metropolitane (tralasciamo i Mondiali del '90). Come si è ovviato alla mancanza di un piano regolatore? Costituendo i piani di zona che non hanno fatto altro che aumentare il degrado ambientale e sociale (quartieri come Corviale, Laurentino 38, Tor Bella Monaca sono noti a livello nazionale non solo per fatti di cronaca ma anche per essere diventati modelli di degrado urbanistico; mi viene in mente lo Zen di Palermo ma penso che gli scempi abbondano). In mancanza del piano regolatore si sono inventati le "varianti" che consentono di edificare su una zona destinata, secondo il PRG, a parco. E le colpe sono di tutte le amministrazioni che si sono succedute in Campidoglio.

Ma il danno più grave che si è inferto ai cittadini è far credere che ci si divide sulle ideologie, sulle appartenenze (di destra, di sinistra, di centro). Ti dicono che è necessario schierarsi, ti dicono che devi assolutamente impugnare una bandiera. Nella realtà gli interessi in gioco sono altri e talmente rilevanti da non essere certo urlati ai quattro venti. Tutto si svolge dietro le quinte. Quello che resta in superficie è l'azione "obbligatoria" (così impone il rituale democratico) della classe politica che deve informare per dovere la pubblica opinione dei progetti in corso, che deve dare una giustificazione del proprio operato (per essere rieletta) e che anzi fa tutto il possibile per coinvolgere i cittadini invitandoli a "partecipare attivamente" alla vita pubblica. I cittadini partecipano eccome alla vita pubblica soltanto però da spettatori dentro un teatro in cui va scena proprio questa "democrazia virtuale". Il copione è già scritto, gli attori sono gli amministratori e gli imprenditori, al pubblico resta soltanto una scelta: applaudire o fischiare. Certo nel teatro della democrazia virtuale molta importanza hanno i media. Discorso che ci porterebbe lontano ma in sostanza cosa cambia? Insomma è già tutto scritto. Il sindaco taglia i nastri, i media fanno circolare la foto, il cittadino applaude o fa la pernacchia. Ma quando si tratta di sviluppo, beh lì non c'è nessun nastro da tagliare, nessuna foto da far girare per il mondo e c'è poco da fischiare. Lì il gioco si fa duro, ci vuole il denaro. Come si dice, s'investe in borsa ma s'investe tantissimo nel mattone. Quando sentite parlare di un piano per la città, sentirete parlare subito dagli imprenditori e dai costruttori come di un'occasione di sviluppo economico. I politici parleranno di sviluppo per l'occupazione. I cittadini? Parleranno a vuoto di scempi edificatori in zone ambientali vincolate, assisteranno inermi alle sedute comunali, potranno ricorrere alle lungaggini burocratico-amministrative dei vari TAR. I cittadini sono "costretti a partecipare" discutendo dei progetti a cose fatte. Qualcuno dirà, ma è possibile che non esiste un'anima bella (di hegeliana memoria)? Qualche Rousseau d'Italia esiste ma è un discorso che vorrei riprendere una prossima volta. Intanto teniamoci stretto Calvino perché a Roma si sta realizzando il Piano Regolatore e dobbiamo prepararci per bene al balletto virtuale.

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