ELETTROSMOG: I RISCHI E LE VERITA'
di Massimiliano Di Gioia
Elettrodotti ed elettrosmog.
Tutela della salute e nuovi modelli di sviluppo. Se ne parla poco nel grande
circo mediatico. Eppure sono temi importanti verso i quali si catalizza una
forte attenzione dell’opinione pubblica. Sono centinaia, infatti, i comitati
anti elettrosmog sorti in tutta la penisola che rivendicano il diritto di vivere
in pace e difendere la salute e l’ambiente. E’ un allarme ingiustificato?
L’esposizione ai campi elettromagnetici provoca veramente malattie degenerative?
Quante responsabilità hanno gli oligopoli privati nell’ostacolare
il ricorso alle energie alternative? Per gettare un po’ di luce sulla
questione è necessario innanzitutto spiegare cos’è l’elettrosmog,
termine scientificamente improprio, ma che rende bene l’idea di come esista
un inquinamento derivante dall’esposizione dei campi elettromagnetici
(CEM). I CEM naturali si formano per le radiazioni cosmiche e solari, e come
conseguenza della polarità con la terra. I valori dei CEM naturali sono
nettamente inferiori da quelli causati dalla produzione, trasporto e uso dell’energia
elettrica. L’inquinamento elettromagnetico allora è un inquinamento
sì invisibile e inodore ma prodotto dalla corrente elettrica e dagli
apparati radiotrasmittenti. I CEM, in questo caso, sono emissioni di onde ad
Alta frequenza (ad esempio rientrano in questa categoria quelle generate dalle
stazioni Radio base delle antenne della Telefonia mobile, dalle antenne trasmittenti
Radio e Televisione, ecc.) e a Bassa frequenza (rientrano invece in quest’altra
categoria quelle emesse dalle Cabine di trasformazione, dalle linee elettriche
a media ed a alta tensione, dagli Elettrodotti in genere, ecc.). Quindi queste
emissioni non esistono in natura ma sono prodotte dalle “attività
umane”. Dal momento che molti processi biologici del corpo umano vengono
attivati da impulsi elettrici, come accade per le trasmissioni dei segnali nervosi
o la contrazione dei muscoli, è plausibile pensare che i CEM possano
interferirvi in vario modo. Ad oggi, non esistono documenti, studi o esperimenti
sufficientemente approfonditi in grado di dimostrare che queste emissioni non
fanno male alla salute. L’Organizzazione mondiale della sanità
e lo Statuto della Comunità europea invitano ad applicare il principio
di precauzione, che afferma che “occorre usare con prudenza e cautela
tutte quelle tecnologie che non risultano essere sicuramente innocue, superando
il criterio corrente per il quale va ammesso l’utilizzo di processi e
prodotti finché non sia dimostrata la loro nocività”. L’Istituto
Superiore della Sanità già dal 1995 ha evidenziato la correlazione
tra esposizione ed aumento del rischio di leucemia infantile. L’Agenzia
Internazionale per la Ricerca sul Cancro (AIRC) nel 2001 ha classificato i campi
elettromagnetici come “possibilmente cancerogeni per l’uomo”.
Medici, scienziati e ricercatori riuniti a Friburgo nel 2002 al convegno dell’Associazione
interdisciplinare per la Medicina Ambientale, hanno constatato un drammatico
incremento di patologie croniche e gravi, nonché il moltiplicarsi di
ulteriori disturbi, tutti riconducibili all’esposizione di fonti di CEM.
Disturbi generici come insonnia, vertigini, emicrania, impotenza erano già
stati evidenziati in Russia in addetti alla manutenzione delle linee elettriche
a cavallo tra gli anni sessanta e settanta.
Il problema, insomma, nasce per i cosiddetti “effetti a lungo termine”,
derivanti da esposizioni prolungate anche a dosi di centinaia di volte inferiori
a quelle stabilite per proteggersi dagli effetti immediati (per esempio un’abitazione
situata vicino ad un elettrodotto o un impianto di radiotrasmissione). Tali
effetti possono essere rilevati solo da indagini epidemiologiche sulle popolazioni
esposte per lunghi periodi. Per le basse frequenze (gli elettrodotti), molte
indagini hanno dimostrato che vi è certezza scientifica del rapporto
causa-effetto di un aumento dell’incidenza di alcune gravi patologie,
tra le quali la leucemia infantile o il tumore alla mammella maschile.
Allora se non siamo sicuri che fa male non siamo neanche sicuri che faccia bene.
In Italia la legge quadro 36/2001 ha recepito il principio di precauzione per
tutelare i lavoratori, le lavoratrici e la popolazione dall’effetto dei
campi elettromagnetici, promuovendo la ricerca scientifica per la valutazione
degli effetti a lungo termine e attivando misure di cautela. Ma nel settore
della telefonia mobile il legislatore italiano ha preso la direzione opposta.
Con il decreto Gasparri del settembre 2002 si è data una forte accelerazione
alla deregolamentazione delle autorizzazioni all’installazione di infrastrutture
per la trasmissione di ponti-radio privilegiando sostanzialmente lo sviluppo
economico del settore dei “cellulari”. La nuova tecnologia di telefonia
satellitare che consente di inviare foto e filmati attraverso gli apparecchi
cellulari (umts), inoltre, potrebbe comportare l’installazione di altri
44 mila tralicci, che andrebbero a sommarsi ai circa 12 mila esistenti, aumentando
ulteriormente la creazione dei campi ad alta frequenza, praticamente assenti
in natura. Lo stesso decreto, tra l’altro, ha elevato a 5 micro tesla
i valori minimi delle emissioni (il precedente era a 0,2 micro tesla). Dieci
volte superiore ai valori associati a leucemie infantili. Già adesso
ci sono 151 impianti che emettono campi elettromagnetici superiori, in volt
e ampere per metro, ai livelli sopportabili dall’uomo. Alcuni sono vicini
a case, scuole, luoghi di lavoro. E ancora da qualche mese è stata varato
un altro decreto strettamente legato alla possibilità di costruire più
facilmente elettrodotti per trasportare l’energia elettrica. Il decreto
denominato appunto “sblocca centrali”, ha dato il via a una pioggia
di richieste per la costruzione di nuove centrali. Nel Lazio, solo per fare
un esempio, a fronte di una più che adeguata riserva e disponibilità
energetica, sono previste ben otto nuove centrali termoelettriche in provincia
di Roma, tre in quella di Latina e due nel frusinate; un totale di 13 nuove
centrali in una regione che comprende il polo di Civitavecchia e quello di Montalto
di Castro. Per non parlare poi del devastante mega-elettrodotto nel Parco del
Pollino in Calabria già in via di realizzazione nonostante l’opposizione
di molti enti locali e la pendenza di alcuni ricorsi al TAR.
La questione energetica si intreccia con le fragilità ambientali ed impone
una discussione profonda sull’uso delle risorse energetiche, il loro utilizzo
e le relazioni con la crisi climatica. Innanzitutto è necessaria una
revisione radicale del modo di consumare, produrre e distribuire l’energia,
anticipando il passaggio inevitabile a un sistema economico libero dai rischi
connessi all’uso dei combustibili fossili. Bisogna superare lo schema
fonti fossili/mega-impianti termoelettrici/rete di distribuzione a favore di
una distribuzione decentrata o locale che utilizzi invece fonti rinnovabili
in reti piccole o addirittura micro. Ci salviamo insomma con l’innovazione
e lo sviluppo di tecnologie delle fonti rinnovabili, soprattutto nel solare
fotovoltaico e nell’eolico che hanno permesso in certi paesi, (vedi fra
tutti la Germania) un abbattimento significativo dei costi consolidandosi nella
produzione industriale.
In molti sostengono che un mondo senza petrolio è possibile, anzi è
inevitabile. Forse è ancora troppo presto. Ma bisogna iniziare a pensarci.
E’ arrivato il momento per una filosofia che ci induca a pensare ad una
vita più sana e meno inquinata.