BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 04/10/1999

SULLA CREATIVITÀ

di Davide Storni

Sono convinto anch'io della necessità di ricorrere alla creatività come affermano Liberati e Zanotti. Il problema però va visto su due piani diversi: il primo è aziendale e qui non vi è dubbio che le risposte da dare siano in termini di maggiore efficienza e di ricerca di risposte adeguate alle attuali richieste del mercato. La struttura di costi attuale è senz'altro insostenibile da parte delle imprese e richiede risposte coerenti in termini di riduzione degli organici e riqualificazione delle competenze esistenti in azienda. Certo questo non sarà sufficiente perché le nuove modalità di approccio al cliente, leggasi Internet, richiederanno il ripensamento complessivo della catena del valore e delle modalità di erogazione del servizio, cioè creatività.

Vi è però un altro piano di analisi del problema ed è il livello complessivo del sistema economico italiano. Se da un punto di vista aziendale è logico dedurre costi in eccesso, da un punto di vista collettivo questo processo potrebbe portare a significative criticità. Questo perché il fenomeno delle riduzioni di organico e della necessità di riqualificazione dell’organico rimanente non riguarda solamente poche aziende, ma riguarda interi settori e in particolare quello bancario e assicurativo. Il verificarsi in contemporanea di significativi fenomeni di ristrutturazione comporterà la ricerca, a livello di sistema economico, di ricette che attualmente non ho ancora intravisto. Si parla tanto di flessibilità e certamente questa è la via da praticare per consentire alle aziende di non ripetere l'errore fatto negli scorsi decenni accumulando personale in eccesso. Ma non penso che flessibilità possa risolvere tutti i mali. Proprio in questi giorni si potevano leggere sul Corriere delle statistiche riguardanti la distribuzione della ricchezza negli Stati Uniti, patria della flessibilità e maestro mondiale di economia. Gli effetti della riduzione dei carichi fiscali e della maggior flessibilità si sono in effetti tradotti in un aumentata competitività delle aziende, hanno però anche portato ad un aumento della ricchezza a disposizione dell’1% della popolazione già più ricco e ad una simultanea riduzione della ricchezza a disposizione del 38% della popolazione più povero.

Gli Stati Uniti sono anche il paese che al mondo ha una percentuale più alta di guardie e strutture di protezione private. Una continua riduzione del potere di acquisto delle fasce di popolazione più debole non può che inasprire problemi sociali quali la criminalità, la bassa scolarità e in generale aumentare il disagio sociale. Se in un paese come gli Stati Uniti dove si ritiene generalmente che se una persona è povera è esclusivamente per colpa sua probabilmente questo stato di cose può essere accettato, ma in un paese come l'Italia dove il ceto medio è sempre stato molto consistente e dove non esistono contrasti estremi la ricetta americana può risultare dannosa.

Certo anche a livello complessivo la risposta giusta può essere la creatività, mirata all'individuazione di nuove tipologie di lavoro e alla costruzione di un sistema sociale che punti allo sviluppo di cultura, competenze e capacità, elementi base sia per la crescita dell'economia, sia per miglioramento sociale dell'individuo, sia per un miglioramento del sistema sociale complessivo.

Oggi non vedo a questo livello molta creatività in opera.

Ma anche a livello aziendale dobbiamo ammettere che la maggior parte delle fusioni ed acquisizioni, da molti salutate come un elemento di crescita della competitività e della razionalità del nostro sistema economico, sono più il risultato di strategie finanziarie che non di progetti industriali. Quasi sempre a vincere nell'attuale quadro competitivo non sono le aziende più creative ed efficienti, ma quelle che possono vantare le migliori alleanze nel mondo della finanza o che possono far valere la loro posizione predominante sul mercato. E dove è la creatività in tutto questo?

Non giudica temi come troppo pessimista. Convinto anch'io che a fianco di fenomeni negativi si stiano sviluppando, probabilmente non così evidenti, anche dei fenomeni positivi. Il mio apparente pessimismo non è altro che un tentativo di stimolare la discussione e di fare emergere anche qualche spunto positivo.

Attenzione anche ad un altro aspetto.

Se un’azienda ha necessità di ridurre gli organici del 30%, la mia ipotesi evolutiva non ha ovviamente senso (come giustamente fatto rilevare dal Liberati).

Ma il problema delle aziende di fronte a questa svolta tecnologica e competitiva è un altro. Non ridurre del 30%, ma ridurrre dell’80% per poi assumere il 50% mancante.

Questo per un problema di inadeguatezza delle competenze, dovuta in particolare alla svolta tecnologica. Un amico esperto di architetture di sistemi (veramente esperto e riconosciuto come tale dal mercato) mi confidava poco tempo fa che suo figlio, novello ingegnere, lo considerava un dinosauro dell’informatica e concludeva la sua confessione dicendomi ".. e probabilmente mio figlio ha ragione".

Se questa persone vissuto nel settore informatico e per spingere e far evolvere il settore informatico possiede oggi competenze obsolete, possiamo immaginarci il livello dei dipendenti medi di assicurazioni, banche, ecc.

Di fatto mentre l’evoluzione della tecnologia informatica sta subendo un’accelerazione senza precedenti, le competenze hanno un temo di obsolescenza ben inferiore alla vita lavorativa media di un lavoratore. Pensate solamente ai programmatori assembler, poi cobol, poi RPG, anche quest’ultima ormai "razza" residuale.

L’impatto sociale di queste ristrutturazioni, se guardate solamente da un punto di vista di razionalità organizzativa e microeconomica potrebbe essere quindi ben superiore. Non il 30%, ma un 80% di persone senza un posto di lavoro. E’ pur vero che questo faciliterebbe l’assorbimento della disoccupazione giovanile, ma significherebbe anche trovarsi frotte di quarantenni in giro senza lavoro, né si può pensare ad un loro massiccio impiego come braccianti agricoli.

In quest’ottica richiedere alle aziende un impiego straordinario in favore di una evoluzione delle competenze dei loro dipendenti significherebbe un salto in avanti significativo a livello di sistema, in quanto si aumenterebbero le competenze complessive, si ridurrebbe il disagio sociale, si creerebbe un maggior coinvolgimento dei lavoratori. In quanto ai giovani, loro si hanno più possibilità di adattarsi a nuove forme di lavoro e sono in grado di esprimere maggior creatività dei loro genitori (lo stanno già dimostrando), magari sostenuti economicamente da famiglie che hanno mantenuto un livello di reddito decoroso grazie alla riqualificazione professionale.

In quest’ottica credo che la scelta per una "progressiva evoluzione delle persone coinvolte nei processi di cambiamento" resti una opzione valida, sicuramente a livello macroeconomico, ma ritengo anche a livello della singola azienda.

PS: mi scuso per la eccessiva lunghezza della risposta, ma su questo argomento si potrebbe parlare per delle ore.

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