BLOOM! frammenti di organizzazione

Egregio Dr.Storni

tra il rischio di monopolizzare la Sua attenzione e,conseguentemente, lo spazio posta di BLOOM, e quello di apparire scortese, sino ad oggi ho corso il secondo,quindi, non mi trattengo oltre dallo scriverLe.
Desidero ringraziarla per i consigli bibliografici ed informarla che ho gia provveduto ad acquistare "Images".
La soluzione organizzativa prospettata nella precedente Sua, mi pare affascinante perche considera le persone, anzi direi muove dalle persone ed ha come fine, anche, le persone (mi piacerebbe saperne di piu sul modello organizzativo che ne e derivato) che poi sono quelle che vanno a "riempire" gli schemi organizzativi.
Tuttavia, mi pare che la realizzazione di un tale modello presupponga necessarimente un elevato grado di maturita ( o elevate competenze emotive), oltre che dei managers, anche delle persone. Infatti non vedo a quali altri elementi possa farsi ricorso, nell'ambito di un gruppo autodiretto, per gestire il conflitto, fenomeno, forse marginale, ma comunque sempre presente nelle organizzazioni.
Attendo Sue delucidazioni.

Cordialmente

Salvatore Guli 14/12/1999


Egr sig Guli,

prima di tutto devo ribadire che Bloom! è uno spazio a sua disposizione, come è a disposizione di tutti gli internauti, non è certo un luogo per pubblicare idee mie e di Varanini (sarebbe in tal caso uno sciocco esercizio di vanità). Certo noi riteniamo di avere qualche cosa da dire, di tanto in tanto, ma siamo più interessati all’ascolto (o meglio alla lettura, anche se su internet la comunicazione ha più le caratteristiche del linguaggio verbale che dello scritto) e se scriviamo tanto è solo perché non c’è ancora una partecipazione sufficiente a garantire un flusso di nuovi scritti/idee/provocazioni sufficiente a mantenere il sito vivo.
Bloom! è uno spazio a disposizione per tutti quelli che sono interessati ad un confronto di idee, quindi ben vengano le sue lettere.
Le invio qualche spunto in risposta della sua lettera, lasciando eventuali approfondimenti ai prossimi momenti di incontro sulla rete.


Uno degli effetti di un intervento di empowerment è l’accrescimento della consapevolezza del processo e delle proprie capacità e competenze.Questa maggior consapevolezza portò ad una discussione sul ruolo di capo, tradizionalmente fondato sulla gestione del tempo dei collaboratori e sulla micro-organizzazione (divisione dei compiti, gestione delle ferie e dei permessi, promozioni). Le persone che avevano partecipato al progetto avevano dato prova di capacità organizzativa e di orientamento ai risultati, oltre a dimostrare capacità di apprendimento e di lavoro di gruppo. Inevitabilmente la vecchia figura di capo fu messa in discussione.
Proponemmo allora un nuovo modello organizzativo centrato sui gruppi di lavoro autodiretti. I gruppi avevano degli obiettivi assegnati e si muovevano in un contesto di regole abbastanza semplice (uguaglianza dei membri del gruppo, scelte tendenzialmente da prendere all’unanimità, impegno sui risultati, …), entro il quale potevano esercitare un ampio potere di scelta relativamente alla gestione del tempo e alla micro-organizzazione. Ogni gruppo eleggeva un rappresentante incaricato di discutere gli obiettivi e i risultati con i superiori.
I gruppi hanno operato per tre anni ottenendo sempre ottimi risultati.
Tuttavia il modello brevemente descritto è contingente. È difficile dire quale modello organizzativo possa emergere da esperienze analoghe.
In realtà interventi di questo tipo non hanno per definizione un modello di riferimento, in quanto tendono a ricercare nuovi punti di equilibrio, ovviamente temporanei. Descriverei l’approccio più come un cammino che come l’applicazione di un modello.
Naturalmente abbiamo fornito alle persone un contesto e delle regole sintetizzate in due tabelle che recitavano: “il capo non deve: assegnare i compiti, …..   il capo deve: provvedere alle informazioni necessarie allo svolgimento delle attività, …….”, “ il gruppo non deve: …..”.
Con questo abbiamo cercato di fornire le linee di confine entro le quali i gruppi potevano operare più che dettagliare attività e compiti.
La struttura derivante dalla introduzione dei gruppi di lavoro autodiretti vedeva un ribaltamento nei rapporti fra capo e persone operative, con lo spostamento sul gruppo di compiti prima specificamente del capo.
Un altro elemento era rappresentato dalla riduzione di un livello gerarchico con la sparizione della figura di capo-ufficio.
Ma direi che queste erano soluzioni intermedie, mentre l’obiettivo vero era di sviluppare un processo di empowerment che mirasse ad aumentare la consapevolezza, la capacità e la tensione al risultato nelle persone a livello operativo. Perché consapevolezza e capacità di evoluzione delle competenze sono in grado di generare soluzioni organizzative, come infatti successe, mentre non sempre le soluzioni organizzative riescono a generare consapevolezza e evoluzione delle competenze.
Le fasi del processo di empowerment sinteticamente sono: stabilire un contesto, mettere a disposizione informazioni, stimolare il processo desiderante, favorire l’accesso a risorse, favorire la sperimentazione. Un altro elemento fondamentale nel nostro caso specifico consistette nella sponsorship della direzione Personale e Organizzazione e di alcuni referenti di linea.
Quindi se proprio vogliamo tratteggiare un modello: struttura piatta, ruoli invertiti (capo come facilitatore), attenzione alla circolazione delle informazioni, definizione dei limiti e degli obiettivi vs definizione dettagliata dei compiti.
E un patto forte con le persone: il modello e la delega si conquistano, restano cioè valide fino a che si raggiungono i risultati.

Il cambiamento è sempre un momento di rottura con la cultura e direi anche della struttura esistenti. Da qui nasce una infinita letteratura sulla resistenza al cambiamento.
Io non credo alla resistenza al cambiamento. Certo anche noi abbiamo avuto opposizione, incredulità, qualche persona ha continuato ad operare in perfetta solitudine (noi lasciavamo al gruppo di decidere la divisione dei compiti e quindi essi avevano anche al possibilità di continuare ad operare come prima).
Penso invece che in ogni cambiamento ci sia un problema di regole del gioco. Alcuni colgono nelle nuove regole del gioco delle opportunità, altri capiscono di non averne o di averne meno e cercano di rifiutare il gioco (passano in continuazione o lasciano il tavolo da gioco).
La resistenza non viene dalla mancanza di comprensione del cambiamento, ma dalla comprensione dello stesso e da una decisione presa dopo aver valutato le possibilità di vittoria al nuovo gioco.
Quindi la resistenza al cambiamento deriva da una insufficiente analisi, o da insufficiente comunicazione, o dalla proposizione di regole manifestamente negative per alcuni individui o gruppi.
Direi che la popolazione con la quale abbiamo sperimentato la nuova impostazione organizzativa ha dato risposte coerenti con le possibilità di vittoria e di perdita dei singoli. Chi mirava ad una crescita personale e professionale ha dato un ottimo contributo al successo dell’iniziativa. Chi non aveva più scusanti per giustificare una modesta carriera ha deciso di passare. Chi sfruttava la incapacità dei capi per gestirsi il proprio tempo in attività affatto estranee all’azienda ha cercato di non giocare al nuovo gioco (per loro il valore era il non coinvolgimento e il non impegno).
Penso anche che sia inutile cercare di convincere tutti e di smuovere tutti.
Devo a Massimo Bruscaglioni la metafora della fattoria e del grattacielo.
Costruire il grattacielo vicino alla fattoria e lasciare libertà di accesso. Alcuni verranno e si accorgeranno delle differenze accettandole e traendone benefici; altri aspetteranno ancora un po’; altri ancora decideranno di restare nella fattoria.
La capacità di impostare giochi a somma maggiore di zero (win-win) è prerequisito per la migrazione dalla fattoria al grattacielo di un numero significativo di persone.
Costruire dei vantaggi e renderli evidenti e credibili.
Le cosidette resistenze sono dovute a costruzioni insufficienti dei giochi, non a scarsa comprensione o maturità delle persone (e qui stiamo parlando dell’80/90% delle persone che sono nella norma, tralasciando i leaders così come coloro che presentano patologie o situazioni compromesse).
Spero con queste brevi note di aver almeno in parte risposto alla sua lettera.
Non esiti a chiedermi specifici chiarimenti e ad inviarci sue riflessioni (anche se critiche).

Davide Storni

Provi a leggere di Crozier e Friedberg, Attore Sociale e Sistema, ETAS. Parla del potere e della costruzione dei giochi, è un libro un po’ vecchiotto, ma insostituibile.

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