BLOOM! frammenti di organizzazione

Ciao, a chi come me è entrato un giorno in questo sito, ha cominciato a curiosarvi e, vinto il primo momento di smarrimento per l'eterogeneo groviglio di idee, opinioni, esternazioni, ha finito per apprezzarlo !

21 febbraio 2001

Il contributo che vorrei lasciare, riguarda il CONFRONTO.
Mi chiamo Luca, sono italiano, ho 36 anni, e nella mia carriera lavorativa mi sono trovato molto spesso a cooperare con colleghi di altre nazioni.

Superato con l'apprendimento di un discreto inglese il problema di "comunicazione", mi sono trovato di fronte ad una nuova prospettiva : lo "schema mentale". Ovvero, non è sufficiente esprimersi, farsi capire, e nel contempo comprendere il senso "letterale" dei nostri interlocutori.bisogna comprendere ciò che ti stanno realmente dicendo, quale è il loro modo di ragionare e di affrontare il problema o l'oggetto su cui verte la conversazione.
La prima volta che mi trovai a scorgere tale dettaglio, fu nel seguire il progetto d'implementazione di una procedura informatica aziendale, che comportava il doverla condividere con alcuni colleghi della ns. filiale in Giappone.
La cosa, in sé,  era tutt'altro che complicata: gli si doveva spiegare come gestire una forecast di vendita, in modo tale da permetterci di tarare al meglio le unità produttive che avrebbero dovuto far fronte alle probabili richieste di mercato.
Il software era già esistente, e da tempo sviluppato/testato/utilizzato nella ns. casa madre italiana.
Ebbene, la sorpresa fu scoprire come, più di un concetto che noi  "italiani" ritenevamo scontato ed estremamente logico/chiaro. non lo fosse necessariamente per gli amici nipponici ! E quando dico "sorpresa" non intendo il fatto che inizialmente non capissero i ns. ragionamenti, ma bensì che, una volta capiti, spiegandoci la loro ottica, frutto dell'approccio culturalmente diverso allo stesso problema, ci fecero comprendere che.non era poi così scontato ciò che noi ritenevamo tale !
Da quel momento, cominciai ad avere la curiosità non solo di farmi capire dal mio interlocutore, ma prima di tutto di capire chi egli fosse in realtà, al di là del suo aspetto, ruolo, carica, e magari, di quanto mi avevano anticipato o raccontato di lui : I Tedeschi, sotto sotto, continuavano a ritenersi "razza eletta", ed in particolar modo amavano snobbare alla stragrande "noi" italiani (chissà per quale strana reminescenza.), anche se eravamo
la casa madre.i "padroni". Gli olandesi erano di un freddo "glaciale", e pensavo "forse è per questo che lì le canne sono legalizzate.sarà proprio per aiutarli a socializzare !"
L'Americano era il classico "easy going", ovvero, aveva comunque e sempre un tale senso di "smisurate risorse" a sua disposizione, che tutto era facile e fattibile. Per usare un gergo tecnico comune nell'ambito produttivo, sembravano  ragionare sempre a "capacità infinita".
Il Cinese aveva bisogno di te solo per avere un'utile, una convenienza economica, per sfruttarti commercialmente. Non sentiva bisogno alcuno di integrarsi culturalmente con te, anzi lo evitava bene.
Il Danese sbandierava che "in Danemark all is well organized".salvo poi non crederci nemmeno lui, ma continuando comunque a portare ad oltranza la propria bandiera. E così via. Quanto in minima parte accennato sopra, mi ha via via portato, col passare degli anni e delle esperienze,  ad una conclusione: a noi "italiani" manca capacità di CONFRONTO.
Stringi stringi, preferiamo non conoscere il ns. interlocutore, lo temiamo. 
Preferiamo andare per "sentito dire", per conoscenze, per la "nomea" che qualcuno si è fatto. Tutto ciò, senza cogliere l'occasione di conoscere realmente la persona, porla innanzi a noi con l'intento di capire chi essa sia in realtà.
No,no,  CONFRONTARCI è pericoloso. e se poi la persona che ho di fronte è diversa dalle informazioni che mi sono, come al solito, premunito di raccogliere su di essa ? (naturalmente sempre ed immancabilmente attraverso le stesse fonti). E se provando a conoscere "a viso aperto" chi ho realmente di fronte scoprissi che i miei "amici", le mie persone di "fiducia", i miei "riferimenti", sono dei referenti sbagliati ?
Forse è proprio ciò che temiamo.
A me un giorno, in un azienda, un responsabile del personale (col quale prima di quel momento avevo parlato per 15 min.)
disse : "guarda, è meglio se ti trovi un'alternativa, perché, vedi, io sono anche convinto che tu ha fatto delle cose apprezzabili in questa azienda (io c'ero da 9 anni, lui da 1 mese), ma, come dire, ti sei fatto una brutta nomea !).
Nel giro dei 2 anni successivi sono diventato direttore di produzione in una multinazionale americana, con 22 filiali sparse per il mondo e 6.000 dipendenti.
Feci il colloquio di assunzione (in Inglese) col Vice President del gruppo, e col Worldwide production and service President.a proposito, con quest'ultimo credo di aver fatto l'unico colloquio realmente "tecnico" della mia carriera e, strizza a parte, fu una soddisfazione infinita !
Sapevo di essermi impegnato negli anni precedenti, di aver lavorato per dare il mio contributo all'azienda e per migliorare costantemente la mia preparazione.ma non ero necessariamente così presuntuoso da sperare di passare la selezione, l'avevo presa come "una prova".
Capii dopo, che proprio l'impossibilità per quelle persone di avere su di me "nomee" e/o raccomandazioni, le aveva poste nella condizione di CONFRONTARSI , e di considerarmi per ciò che ero realmente.
Da quel giorno, anche se è spesso difficile, e molte volte scomodo, non ho mai smesso di ricercare il CONFRONTO, come non ho smesso di ringraziare quel responsabile del personale, che ora lavora a Washington, per l'involontaria occasione che mi ha offerto.
Chissà, magari anche lui oggi, calato nella realtà americana, e con meno "riferimenti" a disposizione, ha cominciato  a CONFRONTARSI.

Ciao e Complimenti !


Caro amico,

le riflessioni che proponi sono interessanti. E’ certo che noi italiani siamo diversi dai tedeschi e dai giapponesi. La cultura resta una fondamentale caratteristica distintiva. E’ una fertile differenza da valorizzare; allo stesso tempo può essere un grave limite. Troppo spesso si tende a trascurarne la presenza, o si lavora –più o meno consapevolmente– per azzerarla, per diluirla in una ‘cultura d’impresa’ standard, globalizzata….

Ma mi fermo, perché prima di continuare vorremmo sapere per quale motivo un così interessante contributo giunge sotto forma di e-mail dove, al posto del mittente, si legge "Mittente non specificato". E’ chiaro che se ci arriva un messaggio che chiede l’anonimato, l’anominato sarà rispettato. Però, proprio perché il tema è il confronto, avremmo preferito un po’ più di trasparenza.

Francesco Varanini e Davide Storni

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