BLOOM! frammenti di organizzazione

Caro Francesco,

credo che i consigli (Come cercare e cambiare lavoro. Modesti consigli ad uso di giovani , e anche meno giovani) siano preziosi per coloro che si apprestano ad entrare nel mondo del lavoro.

Dubito invece che possano realmente aiutare chi vorrebbe CAMBIARE lavoro – non solo azienda – orientando il proprio percorso professionale verso nuovi settori.

Penso che prima di integrare la propria formazione attraverso corsi, master, stages (e già qui diamo per scontata la possibilità che tutti possano permetterselo), si debbano fornire gli strumenti che rendano possibile la consapevolezza delle potenziali risorse, mezzi essenziali attraverso cui appropriarsi di un progetto personale.

Credo che non sia sufficiente la sola autovalutazione, senza il supporto di una mediazione sociale che stimoli la conoscenza di se stessi attraverso il confronto.

Tutti abbiamo un sogno nel cassetto. Ma quanti di noi siamo consapevoli di possedere le qualità e le competenze per permettere al nostro vissuto di avvicinarci il piú possibile alla sua realizzazione ?

L’amico di famiglia, l’insegnante, il collega, possono,all’occasione, dispensare consiglisulla base della propria esperienza – consigli utili, per carità ! – ma non possono guidarci nel difficile cammino di ricerca attraverso un autentico processo maieutico.

Uno strumento valido in questo senso potrebbe essere il bilancio delle competenze.

In Francia già la legge del 1971 sulla formazione permanente contribuisce allo sviluppo di procedure di riconoscimento e di validazione delle competenze. E ne 1986, sempre in Francia, nascono i Centri Interistituzionali di Bilancio di Competenze, vere e proprie strutture specialistiche volte ad agevolare il processo di cambiamento dell’attività lavorativa.

In Italia solo ora si comincia a parlarne, ma in modo confuso.

Non si è ancora capito chi eroghi il servizio e ancora meno chi siano gli utenti. 

Ma facciamo un passo avanti.

Supponiamo che in tempi record l’Italia si metta al passo della Francia.

Immaginiamo di trovarci di fronte a Roberta, laureata in architettura, che , per una serie di sfortunate circostanze è stata costretta a chiudere nel famigerato cassetto il diploma di laurea e la vocazione di architetto.

Immagiamo che a distanza di anni, riemerga la voglia di dare sfogo a quel progetto abbandonato.

Roberta fa un bilancio di competenze. Le conoscenze ci sono, magari un po’ impolverate ; ci sono anche le inclinazioni, e , se hanno resistito al tempo, forse hanno anche piú valore.

Ma la mia domanda è : ci sarà qualcuno disposto ad assumerla, a 40 anni…e senza esperienza pregressa ?

Forse, prima di ri-formare Roberta, bisognerà de-formare chi fino ad ora ha cestinato il suo curriculum. 

A presto, credo.

Nicoletta Zagaria


Cara Nicoletta,

è sicuro che l’amico di famiglia, l’insegnante, il collega, il parente, il semplice conoscente a cui si chiede un parere – è chiaro che tutti loro possono fare poco. Ma quello che fanno, lo faranno mossi da un’esperienza, dainteresse e da unpunto di vista. Così saranno comunque in qualche modo d’aiuto.

È chiaro che si tratta di un aiuto insufficiente – e che ognuno sarà costretto a cavarsela, sopratutto, da solo. Però questa è la realtà, e a questo è bene essere preparati.

Dici, giustamente, che una cosa è l’autovalutazione, e una cosa diversa è una valutazione data da chi conosce meglio il mercato, ed è dotato di strumenti più sofisticati.

Le aziende dovrebbero, anche nel loro interesse, conoscere le competenze di chi lavora con loro, ed anche il loro potenziale.

Un comprensorio, un distretto, una provincia, una regione, dovrebbero valorizzare le conoscenze e le capacità presenti sul loro territorio.

Le comunità professionali, comunità di pratiche –organizzazioni che al di là del territorio riuiniscono le persone che condividono un interesse, una professionalità, una passione– dovrebbero fare circolare informazioni e favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Ci sono poi società di ‘recruitmnent’ e di ‘job hunting’, ci si può rivolgere a loro. E società di outplacement, o forse sarebbe meglio dire ‘consulenti di carriera’, che–pagati dall’azienda chevuole fare uscire la persona– allenanoe sostengono la persona nella ricerca del nuovo lavoro.

In questi casi si aggiunge all’autovalutazione una valutazione di terzi, di ‘esperti’.

Purtroppo, non credo che queste valutazioni aggiungano molto a quello che la persona sa già di sé.

C’è spesso un sostanziale disinteresse per la persona, per chi veramente è. Gli strumenti sono spesso inadeguati. Partono da schemi dati a priori. Vedono solo in parte, in piccola parte le nostre vere potenzialità.

L’autovalutazione, sostenuta dal consiglio di qualcuno che ha con noi un rapporto affettivo, o un rapporto di stima, conta più dei ‘bilanci delle competenze’ costruiti secondo modelli precisi e standardizzati.

E insomma, in generale resto convinto di una cosa: dobbiamo accettare che il più delle volte il lavoro si trova ‘per caso’: in virtù di coincidenze, di legami sottili che siamo stati capaci di costruire con persone e modi diversi dal nostro.

È quindi importante, per ognuno di noi, accrescere la nostra capacità di ‘leggere i segnali deboli’, di cogliere le situazioni, di connettere tra di loro informazioni diverse. Così come è importante l’autostima e la consapevolezza di ‘chi siamo’. Bloom, e la rivista Persone & Conoscenze, vorrebbero essere utili proprio per questo.

Non credo quindi che cambierebbero molto in meglio le cose se in Italia si affermasse il ‘Bilancio delle Competenze’. Anzi, starei per dire: temo che le cose cambierebbero in peggio.

Dico questo ammettendo che dell’esperienza francese dell’ADVP (Activation du Developpement de la Vocation Professionelle), edei C.I.B.C. (Centri Interistituzionali di Bilancio delle Competenze), con i loro operatori specialmente formati, ne so poco.

So che i C.I.B.C. nascono nel 1986. Sono strutture che lo Stato riconosce come luoghi specializzati a cui rivolgersi per un bilancio delle competenze. Le strutture specialistiche di erogazione possono essere sia pubbliche che private e devono avere determinati requisiti prestabiliti dalla legge per essere abilitate e certificate.

Tutto risale, anzi, a quanto ho capito, ad una del 16 luglio 1971, sulla ‘formazione permanente’. Di lì nacquero proceduredi riconoscimento e di validazione dellecompetenze.

Poi c’è Il Libro Bianco Europeo "Insegnare e Apprendere: verso la società cognitiva", Bruxelles,

1995. Che sostiene l’importanza del riconoscimento delle competenze acquisite mediante riconoscimento delle competenze acquisite mediante lo sviluppo di ‘Sistemi di accreditamento’ e l’istituzione di una ‘Carta dellecompetenze’.

In particolare il documento personale o carta delle competenze dovrà contenere la storia individuale consentendo di registrare e descrivere le competenze acquisite, indipendentemente dalla sede e dal momento della loro acquisizione.

Questo approccio porta alla definizione di Unità Capitalizzabili cumulabili e riconoscibili, articolate in relazione alle condizioni di uso delle competenze.

Dietro sta il giustissimo il principio secondo cui si apprende durante tutto l’arco della vita, in diversi contesti e situazioni ed in particolare attraverso l’esperienza diretta sul lavoro. È insomma la questione dei ‘crediti formativi’, fondata su diversi passaggi, durante la vita, da momenti di formazione (scolastica, universitari, presso imprese) a momenti di lavoro.

In questa ottica il ‘Bilancio delle competenze’ sarebbe utile a ciascuno per aggiungere in modo a tutti visibile al suo ‘portafoglio’ ciñ che ha imparato a fare, migliorando così il suo valore in quanto risorsa, la sua vendibilità, la sua impegabilità.

Questo Bilancio, a quanto pare, è una cosa complicata. Non è una serie di test , non è una diagnosi di personalità, non è una psicoterapia, non è una prova di selezione, non è un colloquio di valutazione, non è un semplice riconoscimento delle risorse acquisite.

Insomma, è una di quelle cose complicate che fanno la gioia degli specialisti vecchi e nuovi, ermeneuti della formazione, educatori degli adulti, psicologi, selezionatori patentati ecc.

Di questo passo, nascerà la nuova figura professionale di coloro che, solo loro, possono costruire e vidimare il ‘Bilancio delle competenze’. E magari, poi, le persone potranno svolgere solo le professioni corrispondenti a quanto scritto su questa ‘patente’. Non conterà quello che uno sa fare, ma quello che apparescritto su questa patente. Non certo una passo avanti per Roberta che vuole fare l’architetto. Lei dovrà comunque mettersi in gioco e spendere la sua capacità di convinzione e la sua forza d’animo per convincere che quel lavoro, anche se non l’ha mai fatto, lo sa fare, e lo farà con piacere, e quindi con buon rendimento anche per il datore di lavoro.

Aggiungo anche che se in Francia tutto questo funziona, certo è dovuto anche al fatto che in Franciala Funzione Pubblica ha una logica e una coerenza complessiva dalla quale in Italia siamo lontani. Si sa che da noi le competenze in materia di lavoro e di formazione vedono in gioco Ministeri, Regioni, Province.

Utile quindi approfondire come funzionano in Francia questo ‘Bilancio’,l’Activation du Developement de la Vocation Professionelle, ei Centri Interistituzionali di Bilancio delle Competenze. Magari tu, che hai lavorato in Francia, hai qualcosa di pi} da raccontare. O magari qualche amico di Bloom ha qualcosa dadire in proposito.

Ma stiamo attenti a dire che tutto questo è per noi un futuro auspicabile.

Cari saluti

Francesco Varanini

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