BLOOM! frammenti di organizzazione

(Nota della Redazione: dalla e mail si evince la Grande Azienda nella quale Roberta Paini lavora. Per questo non mettiamo qui il suo indirizzo. Il nome dell’Azienda lo farà Roberta, quando e se ne avrà voglia).

Ho aperto il sito. Faccio le osservazioni che seguono.

Le citazioni proposte di Musil o di Mann, elegie del frammento, sono in realtà colte da scrittori che avevano di mira il Tutto, la speranza più o meno fiduciosa di raggiungere il Tutto.

Vale per Musil, in qualche modo per Joyce. L'uomo senza qualità percorre la strada dell'esattezza ed arriva all'anima, alla passione totalizzante (come ogni passione che si rispetti) per sua sorella: fratello e sorella, amanti androgini, così come Sigmund e Siglinde nella nibelungica opera totale. Il mito di Ulisse è totalizzante, minuto dopo minuto, come la caduta degli dei, come il viaggio del viandante romantico. Anche i concetti di struttura e funzione lo sono: che 'Tutto si tenga' è la funzione epistemologia del principio di struttura nelle strutture elementari della parentela e nella complessità.

Io credo che il frammento e l'interstizio rappresentino, in forma un poco blasfema e insincera, l'incapacità morale di costruire sistemi aziendali in cui il lavoro sia piacere funzionale. Perché non si dà frammento conoscitivo o piacere produttivo, in aziende in cui la competizione globale ha generato meschine guerre tra poveri: siamo all'albero degli zoccoli.

Mi dispiace, ma in questa Cacania che è l'azienda in cui lavoro anche una proposta di creatività marginale mi sembra insincera, mi sembra un modo che definirei paternalistico, se lo potesse essere, per aggirare la realtà di rapporti di lavoro fondati su scarsa professionalità, povertà intellettuale e isteria per l'assenza del potere agognato; mi sembra insomma un tentativo soggettivo dei piccoli di occupare interstizi di potere lasciati inopinatamente liberi dal potere dei grossi.

Ogni passione spenta. E tuttavia è dalle relazioni soggettive tra 'lavoratori' che può aver luogo qualche forma di produttività sincera, gioiosa e forse remunerativa, anche in questi brutti tempi di fine impero. Ben sapendo che in tempi di scarsità di risorse le leggi del branco non sono queste, auguro buon anno.

Roberta Paini  03/01/1999


Cara Roberta,

fa piacere vedere che gli stimoli e le sollecitazioni e le provocazioni sono colti in modo così profondo. Siamo perfettamente d’accordo sul fatto che il frammento e l'interstizio rappresentano, "l'incapacità morale di costruire sistemi aziendali in cui il lavoro sia piacere funzionale".

E credo che siamo anche d’accordo su una cosa che non dici, ma che è il contenuto implicito di quanto scrivi: nel ‘ventre’ delle aziende ci sono risorse –o meglio, molto meglio: persone– sottovalutate e sottoutilizzate. Le aziende funzionano proprio perché ci sono queste persone. Che nonostante tutto, pur senza riconoscimenti, e solo perché non sono soggettivamente capaci di lavorare in un altro modo, continuano a trasferire nel lavoro pulsioni e desideri.

L’azienda, che è un organismo vivente, si nutre e vive di queste pulsioni, di questa capacità desiderante, ed è triste che il più delle volte non si renda conto di tutto questo, ed è ingiusto che non ‘remuneri’ in un modo o in altro questo contributo vitale.

Lo ridico con altre parole: anche in aziende che credono di operare in base a ben altre regole –quelle del business globalizzato, dell’asettico vantaggio competitivo, dell’acritico benchmarking con le best practices– le cose in realtà funzionano perché le persone che lavorano, lavorano in realtà per sé, per un proprio bisogno etico e per un proprio senso estetico, e per questo producono i risultati – risultati che poi l’azienda attribuirà (ingiustamente, d’accordo) attribuirà ad altri motivi, a spesso banali scelte manageriali.

Credo insomma che il "frammento conoscitivo" ed il "piacere produttivo" siano, per fortuna, incomprimibili. E se l’azienda non se ne rende conto, cosa fare? Si può continuare a sperare che l’azienda in cui si lavora (o un’altra) si accorga, magari per caso, delle capacità inutilizzate, e decida di dare maggiori spazi (talvolta accade). E si può destinare altrove le proprie pulsioni: in modo da non sprecarle, in modo da oggettivarle –almeno parzialmente– in una relazione con gli altri.

Io non credo sia "blasfemo e insincero" pensare che sia possibile costruire "sistemi aziendali in cui il lavoro sia piacere funzionale". Non credo che le Grandi Aziende non lo vogliano; il fatto è che non ne sono capaci.

La realtà di cui parli, "realtà di rapporti di lavoro fondati su scarsa professionalità, povertà intellettuale e isteria per l'assenza del potere agognato" è una realtà che la grande organizzazione subisce. Ma non una realtà che la grande organizzazione cerca e vuole.

Posso garantirti che almeno qualcuno, ai vertici di grandi aziende, e nelle direzioni del personale, si pone il problema. Con grande serietà si chiedono: come utilizzare meglio le ‘persone invisibili’, quelle che per carattere non ‘si mettono i mostra’ e non vengono messe in evidenza da nessun metodo di valutazione normalmente adottato?

Io credo che strumenti in grado di ‘portare alla luce’ queste risorse possono essere pensati e possono essere attivati. Come? Esperienze ed idee in proposito possono essere messe in circolo.

Questo è appunto lo scopo di Bloom. Bloom non vuole essere –non è– un piccolo mondo parallelo dove nutrirsi di illusioni. È un modo dove, senza deliri di onnipotenza, può crescere pensiero orientato a quella che tu chiami, con bella definizione, "produttività sincera, gioiosa e forse remunerativa". Aspetto dunque un tuo contributo.

Ultima, ma non ultima, la letteratura.

Secondo me (ognuno in forme diverse) Joyce e anche Proust; Mann, e in maniera più evidente Musil e Canetti, e anche Svevo, e anche Borges, secondo me parlano tutti, come tu dici, della Totalità. Ma non continuano a cercarla, perché sanno che è ormai irrimediabilmente alle spalle. Tutti loro ne celebrano la fine. (E dico ‘in maniera più evidente’ Musil e Canetti, e se vuoi Svevo, e se vuoi Kraus, perché hanno sotto gli occhi l’esempio più evidente della ‘fine della totalità’: l’impero asburgico, la Cacania). Bloom, prendendo da loro lo spunto, non cerca di costruire o ricostruire una qualche totalità. Ma solo di portare alla luce qualche frammento. Frammento di un forse possibile nuovo ordine. Frammento, in ogni caso, di un quadro che è per sua natura strutturalmente frammentario. La Rete, guarda caso, non è che un insieme di frammenti sparsi.

Cordialmente

Francesco Varanini

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