BLOOM! frammenti di organizzazione

Problemi complessi

Temo che il problema sia più complesso, almeno per quello che mi riguarda. Io non ho detto quanto chi mi risponde ha voluto farmi dire. A questo proposito faccio due osservazioni:

1) un sito pubblico non è luogo per parlare direttamente di sé (consiglio la lettura di un saggetto di Virginia Wolf dal titolo 'Una stanza tutta per sé' che spiega bene il concetto), pertanto considero scortese che qualcuno si sia permesso di pensare a tanta mia maleducazione

2) altrettanto scortese è usare un messaggio altrui per dire cose che con esso nulla hanno a che vedere, ma che chi risponde aveva comunque in animo (consiglio di fare un po' di scuola usufruendo del lascito intellettuale di Donna Letizia, dalla quale molto si può imparare sulle buone maniere).

Torniamo ai contenuti della mia osservazione precedente. Che mi senta o meno sottovalutata non importa. Io opero per fare progetti sorretti da due principi:

- i modelli (l'assetto assiomatico e consensuale del progetto)

- l'immaginazione (gli aspetti effimeri che possono portare a mosse diverse ma intraparadigmatiche nel gioco linguistico generato nella grammatica del modello).

<Esattezza ed anima>, direbbe Musil. <Langue e parole>, direbbe Saussure (anche se non sono una degna figlia, ho padri intellettuali sparsi per ogni dove). Il fatto è che questo è un approccio totalizzante, che deve avere alle spalle una Azienda Cliente ed una Azienda Fornitore entrambe di provata moralità (il progetto è generato da una opzione consapevole di entrambe le imprese) e professionalità (il progetto ha risorse professionali e budget adeguati). Poiché la congiunzione è saturnina, i progetti a volte prendono altre vie. Ne viene che la mia azienda paradossalmente mi suggerisce di cambiare mestiere nel mentre ratifica quello faccio (Watzlawick e Bateson potrebbero parlare di double-bind o azienda schizofrenogena). E' la difficoltà a fare progetti che mi porta a pensare ciò che ho detto dell'effimero.

Le altre osservazioni sull'insincerità di un approccio interstiziale non erano rivolte alla mia azienda ma proprio a chi lo suggerisce, a Bloom; penso infatti che Bloom punti a dare valore ai perdenti, ai poveri di spirito, ma mettendosi paternalisticamene nei panni di un management di vincenti che si rivolgono graziosamente ad idioti. Indipendentemente dal fatto, non certo gradito, che mi abbiate messo a far parte di questa categoria, è esattamente quello che mi aspettavo avreste fatto e di cui dicevo nel mio precedente messaggio. In sintesi: davvero pensate di poter lavorare ai progetti negli interstizi? E come? Negli interstizi non si fanno progetti perché il concetto di progetto è fondamentalmente finalistico, diacronico, sincronicamente totalizzante, è un iperspazio in un ambiente aziendalmente, socialmente e tecnologicamente quasi-stabile, in cui cioè si possano prefigurare stazioni di consolidamento e configurazioni finali. Il progetto può crescere e mutare per competenze e passioni interstiziali ma queste ultime spesso si smarriscono se non sono sorrette da un progetto. La totalità di cui parlo non è l'unione mistica (l'altro stato di Musil) ma è una totalità progettuale in cui ciascuna parte è correlata alle altre. Per dirla in termini kantiani il progetto costituisce un approccio sintetico a priori e l'operatività si dispiega in termini analitici. BPR, cultura aziendale, investimenti, metodi, modelli, gestione del progetto, architettura tecnologica, architettura applicativa, rete, persone, organizzazione del lavoro, dei tempi, dei costi .... Tutto, altrimenti niente progetto. Qual è l'alternativa interstiziale al progetto? Ho provato a cercare sollievo nelle catastrofi e nei frattali, ma non l'ho trovato.

Ringrazio cordialmente per l'attenzione e per il quasi dimenticato gusto della conversazione trovato in questi scambi testuali.

Roberta Paini , 07/02/1999


Ringrazio anch’io per il contributo. Gli atteggiamenti e le intenzioni che Roberta Paini attribuisce a Bloom, e a me in particolare, non sono gli atteggiamenti e le intenzioni di Bloom e di chi qui risponde. Però le cose che Roberta Paini scrive sono intelligenti e acute, e quindi meritano di essere pubblicate.

Francesco Varanini

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