BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 10/11/2003

IL MODO DEI CLUSTER

di Emanuele Fontana

C’è un certo fermento, in rete e non, per le potenzialità offerte dell’architettura combinata in modo diffuso di macchine calcolatrici. Sia Sun Networks che altri produttori, stanno pensando, e in alcuni casi si vedono dei prototipi già in funzione (esempio N1), a integrare la potenza di calcolo di diversi PC impostando modelli a cluster.
In sintesi si tratta di utilizzare più computer per distribuire il lavoro di elaborazione fra loro ma generare un risultato comune. In alternativa all’utilizzo di Mainframe potenti ma costosissimi.
Esempi eclatanti di applicazione si hanno già nel settore delle previsioni metereologiche dove è necessaria una enorme potenza di calcolo per fare delle stime su milioni di variabili (il classico esempio del battito d’ala della farfalla a Tokio che si inserisce fra le cause scatenanti di un ciclone a Cuba suona familiare agli apologeti del sistemismo estremo).
Molto più semplicemente l’applicazione del cluster di calcolo alle previsioni metereologiche è frutto dell’intelligenza progettuale di alcuni programmatori universitari (MIT soprattutto) che per carenza di risorse non possono permettersi di utilizzare grandi macchine di calcolo, necessarie a fare previsioni su milioni di variabili.
Uno stratagemma che sta generando interesse e soprattutto implica sviluppi interessanti: mutando di fatto l’atteggiamento delle grandi software farm.
Riassegnando le risorse si spalma il lavoro su più PC e si contrae la possibilità di errore. Sta poi all’abilità del sistemista di rete rendere omogeneo il calcolo e affidabile il risultato.
Immediato il risvolto sulla rete delle reti. Non mi sembra azzardato infatti ipotizzare che fra un po’ di tempo cominceremo a trovare on line strumenti di lavoro cluster oriented. Basati sulla articolazione concettuale del calcolo diffuso su più PC.
Nascono però alcuni interrogativi fra cui la stessa riallocazione della risorsa Internet.
Effettivamente non mi sembra azzardato pensare a una ristrutturazione in ottica cluster di alcuni servizi o “ambienti” del web. In pratica con l’avvento dell’architettura a cluster di calcolo non vedo quale difficoltà ci possano essere per implementare modelli di simulazione, diffusi poi in rete, in grado di predire i risultati delle partite di calcio o stime sul business del futuro. Genericamente è probabile che migliaia di PC, a distanza di migliaia di chilometri, facciano calcoli per risolvere problemi che agli utenti di quei PC non servono a nulla.
Si potrebbe configurare un mondo web votato al calcolo clusterizzato (azzardo un temine mio) piuttosto che al servizio degli utenti. Nuovi scenari di business per chiunque con un po’ di cervello voglia utilizzare la “forza” a costo zero di milioni di PC per scopi indecifrabili all’utente PC connesso con ADSL. Si tratta di chiedere l’assenso all’utilizzo del computer di casa, ufficio o scuola e, istallando il software giusto, condividere un calcolo scomposto. Manovra che è troppo facile far fare ai milioni di internauti sparsi per il mondo. Forse in alcuni più estremi alcuni potrebbe non chiedere il permesso ma scaricarti pezzi di software da elaborare.
Esistono già programmi affini al concetto di cluster ma con strutture differenti. Il progetto SETI at HOME per esempio è una risorsa condivisa per la ricerca di vita extraterrestre. Si accede al sito, si scarica l’applicativo e automaticamente il proprio PC scandaglia i dati provenienti da rilevazioni basate sulla radiazione cosmica di fondo per vedere se ci sono stati inviati segnali da altri mondi.
Ad ogni PC viene assegnato un certo quantitativo di dati da processare ogni tot d tempo. Scaricare i dati da elaborare con un modem a 56k implica non più di 6 secondi (figuriamoci cosa si può fare con la ADSL). E’ un sistema poco raffinato e un po’ macchinoso, perché devi cliccare almeno due o tre volte fra le pagine, ma consente di far lavorare su uno stesso obiettivo migliaia di PC sparsi per il mondo semplicemente invitandoti a farlo.
Il sistema SETI è un primo passo concettuale verso il cluster di calcolo risalente alla fine degli anni novanta e mi sembra che la dica lunga sulle possibilità di applicazione e sulla generazione di scenari alternativi al criterio di utenza del web fino ad ora dominante.
Si è spesso parlato di cluster e modelli di cluster anche in riferimento ad aziende, operanti su uno stesso territorio, con vocazione produttiva affine.
Con la definizione di distretto industriale si tende ad identificare un cluster di aziende che cooperano e nello stesso tempo sono in concorrenza, con metodi e criteri diversi, insistendo principalmente in un area produttiva riconoscibile all’esterno.
Il distretto può essere un archetipo di cluster a livello materiale ma pensiamo alla rete informatica. Aggregare aziende a livello di condivisione di compiti, con architetture software basate su sistemi a cluster significherebbe distribuire il lavoro su più punti di elaborazione in strutture differenti.
Naturalmente penso esclusivamente ad architetture basate sullo sfruttamento dei PC aziendali per elaborare calcoli complessi che servano alle singole aziende.
Un esempio di clusterizzazione potrebbe essere rappresentato da un programma per contabilità distribuito fra le piccole imprese di un distretto industriale. A scapito della privacy forse ma a vantaggio di una elaborazione condivisa che sfrutti le variabili e le costanti di tutti gli aderenti e rimandi a risultati condivisibili. Ad esempio l’elaborazione di una strategia omogenea per abbassare i costi di produzione aggregando i fornitori. La differenza con le dinamiche distrettuali “fisiche” di adesso risiederebbe esclusivamente nel fatto che una impostazione a cluster con calcolo multiplo che sfrutti i PC delle aziende aggregate potrebbe trovare la soluzione in tempi brevissimi e in automatico senza il ricorso alla valutazione umana.
Per assurdo si potrebbe far lavorare solo le macchine su specifici aspetti della gestione ma anche della strategia, perché no.
Ancora una sostrato di elaboratori operativi come cluster di calcolo in automatico, senza il controllo del demiurgo umano, potrebbe permettere la validazione di procedure alternative a quelle adottate fin ora incidendo fortemente sull’approvvigionamento, come l’esempio di prima, ma anche su vendita, contabilità analitica, controllo qualità diffuso.
Clusterizzare un distretto industriale, nel senso del software, non è così lontano dalla realtà come può sembrare. Si potrebbe anche proporre.
Implicazioni negative per la verità ci sono: privacy interna ed esterna (rivolta a tutti gli stakeholders), aggregazione forzata verso una sola azienda (il passo dalla pianificazione strategica di gruppo alla fusione è breve) e non ultima una certa limitazione del business (tutti i prodotti del distretti, con il distretto, non oltre il distretto). Pericoli ovvi e dietro l’angolo ma evitabili con la necessaria cautela e con la progettazione di piattaforme tarate sulle effettive esigenze.
Per ora mi fermo al distretto ma l’ottica del cluster può andare oltre, come tutti intuiamo. Fino ad una colossale clusterizzazione dei PC in rete. Scenario da capogiro in cui le macchine veramente potrebbero cominciare a lavorare non più per noi ma al posto nostro.


Bibliografia.

Jeremy Rifkin, L’era dell’accesso, Mondadori, 2001.
Emanuele Fontana, Distretti industriali, DPS, 2002.
Arnaldo Camuffo, Duelli organizzativi, da Sviluppo e Organizzazione n. 293 set/ott 2002

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