TI CAMBIO I CONNOTATI. BREVE SGUARDO SULLA FORMAZIONE CHE CAMBIA
E’ ovvio come
la formazione sia una esperienza di apprendimento svolta o “subita”
nell’età adulta. Si sono affermati anche altri contesti ma comunque
una prima definizione deve tener conto di questo principio.
Il concetto di formazione implica una definizione abbastanza rigida. Formare
è plasmare, costringere quasi, a prendere forma. In sostanza la sintesi
semantica del verbo formazione nel contesto aziendale si riferisce ad attività
tese a plasmare un lavoratore per svolgere compiti propri di una mansione.
Nei processi di riorganizzazione aziendale, nelle sessioni di inserimento in
azienda di neo assunti e in momenti di contingente cambiamento tecnologico,
la formazione evidenzia la sua missione istituzionale mettendo in campo processi
di trasformazione delle competenze individuali.
In un sistema organizzativo definito tutte le procedure formative assolvono
o meglio assolvevano a questa funzione principale.
Da alcuni anni però il progresso tecnologico e soprattutto la rivoluzione
informatica e telematica hanno decretato un radicale cambiamento negli scenari
in cui si muovono le esperienze di formazione o più in generale le esperienze
di apprendimento nell’età adulta.
In considerazione del fatto che il significato di formazione non è più
lo stesso anche la terminologia in questo senso tende a non essere più
sufficiente.
Per descrivere esperienze di apprendimento dell’età adulta sarebbe
forse più opportuno ricorrere a termini come orientamento piuttosto che
formazione.
Orientamento implica non più un plasmare, costringere in una forma ma
diventano sinonimo di apertura, allargamento degli orizzonti.
Orientare al lavoro ma anche, e qui risiede il cambiamento, a vivere esperienze
di apprendimento come momenti di arricchimento culturale oltre i classici cicli
scolastici della scuola e dell’università.
Ad una prima analisi della domandi di formazione si nota che alle richieste
vincolate dalla necessità di avere competenze spendibili in contesti
specifici si affiancano richieste di formazione (orientamento) ad aspetti che
non sembrano direttamente connessi allo sbocco lavorativo.
Fioccano infatti a livello di CFP (centri di formazione professionale) richieste
che spesso esulano dal contesto di inserimento diretto nel mondo del lavoro.
Spesso, l’esperienza di dirigere un CFP e il confronto con i colleghi
di mezza Italia, me lo dicono, coloro che si rivolgono ad un CFP per avere formazione
si orientano ad esperienze che non sono direttamente finalizzate al lavoro e
che non vanno a completare i curricula gi acquisiti. Chiedono corsi, iniziative,
momenti di confronto su aspetti generali della cultura. Quasi a delegare alla
formazione le carenze che la scuola o l’università no hanno saputo
colmare.
Si va verso un deciso ricorso alla formazione per la ricerca del benessere e
della crescita personale anziché ricorre al corso per l’addestramento
su specifiche tematiche che magari aprono possibilità lavorative immediate.
Il caso emblematico è l’interesse crescente per i corsi di sommelier
che vedono parteciparvi in maggioranza cittadini non direttamente legati al
mondo dell’enologia.
Ancora il corsi di informatica di base, telematica, i corsi che sviluppano la
creatività sul web, non sono più fruiti da futuri addetti ma da
liberi cittadini che vogliono risposte di arricchimento culturale piuttosto
che inserimento nel mondo del lavoro.
Già negli anni 60 le grandi aziende fornivano programmi di formazione
non direttamente connessi con l’addestramento professionale ma ora il
discorso è diverso.
Prima ancora dell’entrata nel mondo del lavoro le persone chiedono orientamento,
arricchimento del proprio bagaglio culturale senza interessarsi alla finalità
lavorativa.
Si generano in questo modo istanze civili che chiedono di essere esaudite non
più e non solo dalla scuola o dall’università perché
c’è bisogno di modalità flessibili di organizzazione che
i CFP, gli enti locali, le associazioni di categoria, i sindacati e perfino
le piccole e medie imprese possono senza dubbio fornire.
Se è vero che siamo nella società della conoscenza è altrettanto
vero che non è più possibile che enti di formazione, sindacati
e imprese non si facciano carico, magari attraverso strutture delegate, di questi
bisogni.
E’ fuor di dubbio che questi bisogni esistono, è necessario pertanto
che tutti si facciano carico di promuovere e portare avanti iniziative di crescita
personale. Tutti ne trarranno beneficio ed in particolare il sistema economico
delle imprese potrà sfruttare queste dinamiche sotto due aspetti.
Da un lato è evidente che personale con interessi diversi ma colto, uscito
da esperienze di arricchimento della cultura personale, sia più propenso
ad imparare una specifica mansione. Sia in un certo senso formato ad apprendere.
Da una altra prospettiva c’è da considerare che la tanto richiamata
flessibilità potrà finalmente essere perpetrata quando la forza
lavoro anche a livello di competenze di base avrà a un bagaglio culturale
più elevato anche se meno specialistico.
Se un operaio è anche un esperto di vini, perché è venuto
nel mio CFP a formarsi su questo tema dopo il lavoro in fabbrica, avrà
sviluppato una sensibilità, una cultura che gli potrà permettere
di affrontare i momenti di flessibilità imposta con la consapevolezza
di saper fare altro. Non avrà difficoltà a trovare impiego in
una cantina, in un ristorante o lavorare in proprio.
Da queste brevi note emerge chiaro che la formazione non è più
pensabile come solo ed esclusivo momento di addestramento al lavoro o nel lavoro.
Da oggi in poi bisogna fare i conti con una domanda diversa, che verte sulla
voglia di apprendere e di migliorasi delle persone.
Facendocene carico tutti, sindacati, associazioni di categoria, imprese enti
locali, sapremo rispondere ad un quesito insistente della società della
conoscenza diffusa: divenire tutti più colti.
Bibliografia.
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