BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 23/02/2004

HACCP. L'AMBIENTE VINCOLANTE

di Emanuele Fontana

Dal 1997 le aziende alimentari, di qualsiasi dimensione e con qualsiasi tipo di struttura, si trovano a dover sottostare ad un sistema di controllo introdotto a livello italiano dalla Legge 155 a ratifica di una direttiva europea di standardizzazione.

E’ un sistema che verte sul controllo dei punti critici di contatto nella manipolazione degli alimenti, eliminando di fatto il rischio di problemi derivanti dalla mancata sanificazione delle strutture [1] .

Un sistema serio ed efficace che ha richiesto uno sforzo considerevole alle imprese ma che ha segnato definitivamente l’affermarsi di standards igienici verificabili formalmente. A livello di sistema normativo l’accoglimento della direttiva europea ha comunque generato, secondo chi scrive, una serie di problemi applicativi.

In sintesi bisogna considerare quanto segue:

1.     l’applicazione del sistema si rifà a modelli di gestione che sono patrimonio delle grandi industrie alimentari e possono essere messi in pratica quasi esclusivamente in sistemi organizzativi dettagliatamente codificati;

2.     negli altri paesi europei il legislatore nazionale ha posto dei paletti riguardo alla applicazione della legge, escludendo dalla procedura le micro imprese o introducendo delle semplificazioni specifiche;

3.     i controlli sull’applicazione della norma, a livello di micro imprese della ristorazione e della manipolazione alimentare, stentano a trovare applicazione e in molti casi sono del tutto assenti.

In questo contesto appare evidente come la HACCP sia un procedimento specifico delle grandi industrie alimentari che operano spesso con sistemi qualità certificati e non hanno difficoltà ad applicare modelli di controllo già ampiamente sperimentati.

Il ricorso alle competenze interne e a modelli gestionali codificati non è possibile per realtà che non hanno una struttura aziendale definita, quasi sempre delegano le attività di staff all’esterno e, soprattutto, vivono della particolarità della lavorazione artigianale dei prodotti, spesso impostata su criteri e regole che non contemplano la possibilità di standardizzare un controllo.

Il ristoratore che, oltre alla definizione del proprio brand, fa della tipicità della cucina il proprio modus operandi in tutti gli aspetti della manipolazione si trova spesso a dover introdurre una normativa che paradossalmente lo danneggia.

Manipolare le verdure, realizzare il pane, produrre le pietanze ricorrendo a tecniche ormai in disuso nella grandi produzioni di massa qualificano il ristoratore ma allo stesso tempo informano una modalità gestionale che non può essere vincolata a standard determinati.

In questo caso il ristorante Da Alighiero è un marchio di sicura qualità nella ristorazione toscana ma evidentemente vive la normativa come un sistema rigido che limita le proprie peculiarità tradizionali.

Bisogna considerare che la preparazione di una particolare pietanza, che trova compimento in procedimenti antichi e ritualizzati della cucina del luogo, non incrocia molto spesso i criteri di lavorazione e conservazione imposti dalla normativa.

Per fare un esempio, il formaggio di fossa, conservato nel sottosuolo, in pozzi artificiali di due metri di profondità, non può essere soggetto ai criteri rigidi della conservazione in frigorifero a temperatura costante. O meglio può benissimo essere conservato in frigo ma perde le caratteristiche e la specificità di una conservazione che pur non scientificamente controllabile, consente l’efficace formazione delle muffe e si risolve nella determinazione di un gusto particolare. La conservazione in frigo non consente di vivere il piacere del gusto in profondità. Limitando di fatto la qualità.

Non è solo un problema di lacci e laccioli al vivere e mangiare con un certo stile ma si tratta di un problema serio per le lavorazioni tradizionali. Una piena oggettività nel controllo definisce, giustamente, procedure efficaci e garantisce l’affidabilità ma il brand “Da Alighiero” in questo caso perde la possibilità di offrire le cose secondo il suo stesso essere un ristorante tipico.

In altri contesti, per ovviare alla norma, si è intervenuti a livello di garanzia imponendo criteri specifici di lavorazione come modelli di tipicità imprescindibili.

Nell’esempio delle cantine storiche di Avignonesi si è visto come l’intervento dell’Università di Perugia abbia consentito di salvare l’impostazione tradizionale dell’affinamento in botte superando le rigide istanze della norma ma garantendo la necessaria sicurezza.

Le pareti delle cantine storiche del produttore Avignonesi sono da un centinaio di anni ricolme di una muffa che si sviluppa in conseguenza dell’affinamento del vino in botte. Queste muffe a loro volta completano l’affinamento del vino sviluppando dei processi chimici che caratterizzano quel determinato prodotto.

A una prima verifica era indubbio come fosse necessario impiantare un modello di sanificazione impostato sui criteri di HACCP. Per forza di cose perciò era necessario rivestire le pareti con mattonelle e ripulire completamente tutto dalle muffe. L’eliminazione delle muffe avrebbe però pregiudicato la funzione che queste assolvono.

Per ovviare alla “tragedia” conseguente si è pensato bene di evidenziare le caratteristiche biologiche delle muffe, arrivando a dimostrare, grazie al sapiente lavoro analitico e di ricerca dell’Università, la loro assoluta essenzialità nella maturazione del vino e la loro incontestabile positività nella conservazione.

Insomma con la dimostrazione scientifica del fatto che le muffe fanno bene al vino in botte e che le caratteristiche inarrivabili di quel vino risiedono nella sua maturazione in quelle cantine, si è giunti a scongiurare l’adeguamento dei locali alla normativa. La deroga naturalmente è stata concessa nella consapevolezza della assoluta igiene dei locali, dove le muffe, fra l’altro, eliminano anche i cattivi odori che sarebbero presenti in un locale asettico e che non consentirebbero ai cantinieri di lavorare in sicurezza.

Ora nel caso di Avignonesi l’interesse scientifico è stato coniugato alla tutela di una processo di produzione secolare impedendo di fatto un danno ma per le micro imprese della ristorazione non è altrettanto agevole proporre e dimostrare modelli in deroga.

Un piccolo ristorante, un’impresa di modeste dimensioni ma che fa delle tipicità la propria specifica caratteristica non ha altrettanto spazio di contrattazione ne può innescare processi come quello sopra esposto per evidenti vincoli di opportunità ma anche di efficacia.

Proprio per evitare questi problemi altri paesi europei (Francia, Germania, Inghilterra) hanno recepito la Direttiva derogando, con buon senso, in determinati aspetti.

Le micro imprese della ristorazione per esempio sottostanno ad un regime semplificato di obblighi inerenti l’HACCP. Evitano il ricorso allo stesso modello della grande impresa con il ricorso a dichiarazioni periodiche certificate da enti terzi.

Un modo del tutto efficace per impedire fraintendimenti ma anche tutelare le caratteristiche di certe lavorazioni.

Se da noi la scelta è stata differente lo si deve essenzialmente al fatto che, a differenza di altri paesi, non avevamo un sistema di controlli definito.

Spesso i controlli stessi venivano effettuati da enti diversi che agivano in base a criteri disomogenei quali la competenza territoriale (ASL), la gravità delle violazioni (NAS - Nuclei Antisofisticazioni dei CC)  o addirittura enti locali per le pratiche burocratiche di variazione e adeguamento. Con l’introduzione della 155 si è assistito ad un miglioramento nella gestione dell’igiene. Certezza della normativa, sicura del controllo, impostazione di un verificabile sistema di addestramento. Tutte caratteristiche positive di un sistema che ha finalmente definito una materia.

A margine di questo però si assiste alla generazione di problemi gestionali che incidono sul buon funzionamento delle aziende di ristorazione caratterizzate dalla tipicità della propria produzione. E’ evidente come ad oggi si debba e si possa ragionare in prospettiva riformista sulla norma.

Nel nostro paese la richiesta di una semplificazione per le micro imprese giunge da più parti (sindacati, associazioni di categoria, enti locali). Anche e soprattutto in riferimento alla tipicità dei prodotti e alla tradizione della cucina italiana.

Spesso si propongono a livello locale ma anche nazionale modelli di sviluppo e promozione del patrimonio enogastronomico e della ticipità della lavorazione artigianale che indubbiamente trovano una limitazione strutturale nella codifica in termini di HACCP. E’ un dato di fatto purtroppo che molte produzioni risentano di queste limitazioni e lo stesso isolante Da Alighiero non può svolgere quello che sarebbe essenziale per una corretta impostazione della cucina tipica del territorio in cui opera.

“Non o bene cosa vogliano con questa HACCP. Ti dicono di adottare un piano, fare dei corsi, impostare certe cose. E va tutto bene. Ma poi però non tengono conto del fatto che io ho impostato un ristorante in una certa maniera e alcune volte non posso, se voglio mantenere le mie caratteristiche, fare quello che dice il piano HACCP.

Se voglio fare il pane non lo posso fare perché on ho gli spazi adatti e soprattutto non ho un forno adibito alla cottura del solo pane. Allora perdo la possibilità di servire i miei clienti in una certa maniera. D’altra parte non posso, per tre o quattro chili di pane, mettere su un forno come quello del fornaio qui accanto che produce quintali di pane. Insomma dovrebbero gestire la cosa con un po’ di buon senso, anche considerando il fatto che io faccio tutto in casa.”

Le parole del gestore del ristorante Da Alighiero descrivono perfettamente il vincolo di processo che una norma può imporre.

“Ma poi c’è da considerare che qui,come altrove, non hanno svolto nessun controllo. Insomma ho adottato il piano ma nessuno è venuto a dirmi se va bene o male. Si capisce come un ristoratore possa trovare poco conveniente adottarlo”.

Considerando l’affermazione si intuisce la non perfetta pervasività della norma, vissuta come un limite, un intoppo all’attività.

Non è questa la sede di discutere l’applicazione di una legge. Parliamo piuttosto dei vincoli organizzativi che impone. In questo senso non si trova una sola ragione per non dare ragione a Gianni. Soprattutto è da sottolineare il fatto che un sistema così rigido non è funzionale a micro imprese che fanno della tipicità la loro ragion d’essere.

Organizzate sostanzialmente come imprese a forte caratterizzazione imprenditoriale, dove la delega è limitata e il meccanismo di coordinamento è indubbiamente riconducibile all’adattamento reciproco i ristoranti tipici hanno esigenze particolari.

Un sistema di controllo così impostato limita, del nostro caso, la possibilità di lavorare tradizionalmente le materie prime contribuendo forse e limitare l’attività del ristorante.

Appendice.

Di seguito è esposto, molto sinteticamente, lo schema per l’applicazione dell’HACCP nella ristorazione. Parlando del ristorante è obbligatorio sapere che cosa è e come funziona un sistema di HACCP in quanto, come abbiamo visto,  può essere letto come vincolo organizzativo ma anche come stimolo, serve al gestore ma soprattutto serve al cliente.

Con il Decreto Legislativo n. 155/97 sono state introdotte in Italia alcune Direttive Comunitarie concernenti l'igiene dei prodotti alimentari e dal 28 giugno '97 sono entrate in vigore le disposizioni in merito al sistema di prevenzione igienico-sanitaria HACCP (analisi del rischio e dei punti critici di controllo).

Devono applicare le disposizioni tutti i commercianti che:        

1. vendono prodotti alimentari (ingrossi di alimentari, negozi di alimentari, gastronomie, rosticcerie, macellerie, pasticcerie, fruttivendoli, pizzerie al taglio, gelaterie, ambulanti alimentaristi, etc.);

2. somministrano alimenti e bevande (ristoranti, pizzerie, trattorie, osterie, locande, gelaterie, bar, birrerie, pub, circoli, strutture ricettive con somministrazione, agriturismo con somministrazione, ambulanti con somministrazione di cibi e bevande, etc.)

L'obbligo generale è quello di garantire che le fasi del trattamento dei prodotti alimentari avvengano in modo igienico.

Il responsabile deve effettuare l'autocontrollo avvalendosi dei principi del sistema HACCP:

1. analisi dei potenziali rischi per i clienti;

2. individuazione dei punti in cui possono verificarsi dei  rischi per gli alimenti;

3. decisioni da adottare riguardo ai punti critici individuati, cioè a quei punti che possono nuocere alla  sicurezza dei prodotti,

4. individuazione ed applicazione di procedure di controllo e di sorveglianza dei punti critici;

5. riesame periodico dei rischi, dei punti critici e delle procedure di controllo e di sorveglianza;

6. Il continuo miglioramento qualitativo dei prodotti alimentari venduti, soprattutto dal punto di vista della loro igiene ;

7. Il miglioramento della formazione del personale, particolarmente sui concetti di igiene alimentare e sulla educazione relativa ai comportamenti da rispettare per il mantenimento costante dell'igiene personale;

8. La riduzione degli sprechi, ossia dei prodotti che non vengono somministrati in quanto non sufficientemente sicuri dal punto di vista igienico;

9. La garanzia di un elevato standard qualitativo per tutte le unità produttive appartenenti alla catena di distribuzione.

Esiste un sistema sanzionatorio per coloro che non osservano l’applicazione del sistema HACCP che giunge fino alla chiusura dell’attività o a multe elevate.

Gli organi di vigilanza sono le ASL territoriali.


[1] HACCP: Hazard Analysis and Critical Control Point.

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