BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 22/11/2004

IL MILAN COME MODELLO DI MARKETING

di Emanuele Fontana

Il Milan è la squadra di Berlusconi. Lo stesso che ha il controllo di gran parte dell’informazione sportiva italiana. Lo stesso che ha cambiato il mondo del calcio in maniera profonda.

Il disegno strategico era già chiaro fin dal 1986. Il Milan sarebbe divenuta la prima squadra italiana con forte caratterizzazione televisiva per sfruttare le potenzialità del mezzo catodico combinate ai valori della passione sportiva dei tifosi. Un modello di marketing strategico che si sarebbe realizzato con la costruzione di una squadra adatta alle esigenze televisive, la ricerca continua dello spettacolo in campo e fuori, l’enfasi sulle competizioni europee piuttosto che sul “provinciale” campionato italiano e lo sfruttamento delle potenzialità combinatorie dei brand del gruppo.

Fino ad allora il calcio era stato un gioco romantico, per nulla importante in termini di ritorno economico. Difficilmente un imprenditore avrebbe sfruttato il calcio come strumento di marketing per la promozione integrata del proprio sistema di brand. Tutt’al più c’era chi non perdeva soldi con il calcio. Presidenti mitici come il pisano Anconetani, Rozzi dell’Udinese e altri imprenditori d’assalto utilizzavano le proprie squadre per generare profitto. Semplicemente però con le campagne acquisti e vendite dei calciatori oculate e intelligenti. Per il resto possedere una squadra di calcio equivaleva a buttar via soldi in una passione che aveva ben poco a che vedere con gli affari.

Il Milan berlusconiano operò una rivoluzione fondamentale del mondo del calcio. Berlusconi trasformò la squadra in una veicolo di promozione delle attività aziendali, aggiungendo ad un già consistente apparato di informazione l’ultimo anello mancante: la passione sportiva.

Certo se Berlusconi non avesse avuto le TV probabilmente il modello sarebbe stato impostato su criteri differenti, o forse non sarebbe nemmeno nata l’idea. E’ innegabile che l’avere a disposizione la televisione abbia definito i criteri della riuscita del disegno strategico. Un matrimonio diciamo di convenienza. Da una lato la forte presa del calcio sull’immaginario collettivo, dall’altro la straordinaria riuscita del calcio in televisione e la conseguente importanza di questa nella promozione di tutto quello che ruota intorno al calcio e nel calcio.

Di fatto oggi il modello berlusconiano del Milan anni ‘90 è quello maggiormente efficace a livello di conduzione aziendale di una squadra di calcio. Il Real Madrid ne ha fatto tesoro, trasformando una squadra in una sorta di teatrino delle stelle. Dove l’immagine televisiva è tutto. Il Manchester è altrettanto attento. Il Chelsea vuole ricavarsi il suo spazio.

Le altre squadre italiane di prima fascia hanno inteso bene la lezione. Dagli anni novanta infatti si sono strutturate in maniera efficiente per raggiungere l’efficacia operativa nel nuovo contesto di mercato. In funzione dell’efficienza economica le squadre hanno modellato la loro struttura organizzativa con investimenti in risorse umane adatte alla gestione del processo di creazione di immagine. Hanno inserito manager per il controllo dei processi. Hanno infine realizzato un passaggio epocale aprendosi al mercato azionario.

Anche se con un po’ di ritardo rispetto al Milan hanno comunque impostato la loro struttura e adeguato la loro mission in maniera ottimale per la gestione del fatto di essere un brand di successo.

In questo senso mi viene da pensare al triste tramonto del mondo FIAT. Il fatto che la Juventus, pur proprietaria di un patrimonio enorme di sostenitori e simpatizzanti, non abbia capito la valenza del sistema di promozione e immagine fino all’avvento del Milan, forse è significativo della altrettanto sconvolgente declino della capofila FIAT. Certo il Milan di Berlusconi è nato nella televisione. Ha calcato un campo già patrimonio del sistema di aziende del cavaliere anche in termini di approccio epistemologico. Il mezzo calcio è stato da subito il messaggio. Lo testimonia l’impostazione del gioco: il modo di affrontare le partite con una determinata strategia. Il Milan di Sacchi per questo è stata la squadra più adatta al modello televisivo. Probabilmente il Sacchi che ha cambiato il calcio negli anni ’90 era l’uomo ideale per le efficienze berlusconiane. Il fatto che la squadra giocasse in trenta metri per novanta minuti secondo me ha reso efficace il rapporto con la televisione. Ha concesso alla TV la possibilità di seguire il gioco in maniera migliore, eliminando i tempi morti di uno spettacolo che in anni precedenti era stato spesso avido di sensazioni forti.

Con una squadra così, onestamente la più forte che abbia visto giocare, il Sacchi profetico di quegli anni ha generato, inconsapevolmente, un iperbole adattativi che ha portato anche le altre società ad adeguarsi prima di tutto nel gioco. Si sono confusi in questo modo gli elementi del cambiamento. Dal livello organizzativo, al livello del gioco, per tornare all’assetto societario in un susseguirsi di adeguamenti e cambiamenti. Anche questo è un parametro dello sviluppo organizzativo.

Pagina precedente

Indice dei contributi