BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 27/12/2004

IL PACCO DI NATALE

di Emanuele Fontana

Non ho mai avuto soddisfazione. Mai una volta, nemmeno a scuola. Possibile che nessuno si renda conto che il “pacco” deve contenere cose utili?

Lavoro da un decennio. Ho cambiato diverse aziende, ora faccio un po’ il free lance ma sono sempre “inquadrato” in una organizzazione. Ebbene non c’è stato un Natale che non abbia ricevuto un “pacco”.

Capisco lo sforzo, lo slancio affettivo di dirigenti e impiegati per render più dolce la nostra permanenza in questo mondo. Siamo tutti più buoni, si sa.

Non capisco però il modo. Possibile che esistano solo pacchi standardizzati?

E’ ovvio che dipende dall’importanza del ruolo che si ricopre. Sinceramente però ho anche svolto ruoli di massiccia responsabilità. Ho diretto enti e strutture abbastanza note a livello perlomeno regionale. Insomma non è che anch’io sia l’ultimo arrivato.

Il “pacco” è comunque rimasto sempre lo stesso. Una irriverente bottiglia di spumante. Quello dozzinale.

Mai una volta uno champagnino, mai un cru italiano. Insomma sempre e comunque uno sfigatissimo ….. avete capito benissimo di che si tratta.

Poi il panettone. Scatolone colorato con stelle e stelline. Una macchia blu o rossa fra la nebbiolina sintetica dello scatolotto.

E’ altrettanto noto che da gennaio a marzo in casa mia si faccia colazione con i residui del “pacco”. A volte mi accorgo di mangiare panettone da mesi. Un anno, mi sembra il ’98, ho avviato l’ultima scatola il primo aprile.

Stesso discorso per il pandoro. Mostro sintetico che se non viene mangiato entro sette giorni (dato verificato scientificamente) dall’apertura provoca inarrestabili mal di pancia e inguatta la gola per mesi. Una volta un mio amico ha ingoiato mezzo pandoro il 2 febbraio, dopo averlo tenuto esposto all’atmosfera della cucina per un buon mesetto. Non ho saputo più nulla di lui.

Del torrone non ne voglio parlare. Sono convinto che sia frutto dell’aggressività sul mercato del mio dentista.

Un paradosso venne perpetuandosi quando, si era ancora nel vecchio millennio, un amico e collega mi trascinò in un supermercato di periferia, dove un vecchietto “spacciava” panettoni e pandori a febbraio inoltrato. Sotto costo. Giusto per ripulire il magazzino. La data di scadenza non superava nella maggior parte dei casi il primo maggio. Ebbene quell’amico… volle acquistarne una ventina. Così, per sadismo.

Mi ha detto poi che, dopo averli usati per la colazione fino al 25 aprile, utilizzò il resto del bottino per riempire la pancia pasciuta del proprio alano. Anche di lui (l’alano) non ho saputo più niente.

Sono le 12,22 del 23 dicembre 2004. Sono solo in ufficio e ho di fronte a me cinque pacchi. Non dico la provenienza per non offendere nessuno. Li guardo assorto. Pensando a loro, a me, al futuro.

Tre di loro sono perfettamente uguali. Gli altri due sono un po’ arrangiati ma contengono ugualmente le stesse inspiegabili cibarie.

Non posso lasciarli qui: li ritroverei a gennaio. Non posso portali a casa: la mia macchina è troppo piccola.

Starò con loro. A Natale e Capodanno. Non posso abbandonarli.

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