BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 10/01/2005

METTIAMO DEI LIBRI NEI NOSTRI PROGETTI

di Emanuele Fontana

Il mercato della formazione professionale in Italia è attualmente dominato da strumenti di finanziamento pubblico, validi aiuti a persone e organizzazioni che vogliono investire tempo e risorse sulle sviluppo di competenze e capacità.

Ovviamente la presenza massiccia del Fondo Sociale Europeo e degli strumenti di agevolazione tipo la Legge Quadro 236/93 implicano scelte di fondo che privilegiano modalità di progettazione e gestione orientate su logiche di controllo e verifica delle risorse spese piuttosto che sulla effettiva qualità dei percorsi proposti.

Non mancano e non sono mancati problemi seri di articolazione della spesa, gestione malandata (per usare un termine ambiguo) delle risorse: una serie, per dirla in due parole, di inefficienze del sistema che, dopo un po’ di tempo hanno complicato la vita di tutti.

Non è colpa della burocrazia. Per una volta.

La colpa, se di colpa si tratta, ricade su operatori avventati che troppo spesso hanno gestito con leggerezza i progetti. Ne consegue che gli enti pubblici, provider dei finanziamenti, abbiano adottato una strategia penetrante, volta più al controllo puntuale sulla documentazione probante le spese, che alla verifica qualitativa di quello che effettivamente viene erogato.

Gli stessi problemi si riversarono sulla gestione di prodotti didattici e materiale di disseminazione. Per rendicontare, cioè portare a finanziamento, prodotti didattici di qualsiasi tipo o gestire momenti di diffusione di buone prassi, di qualunque genere siano, lo sforzo del progettista e del coordinatore del progetto è purtroppo consistente.

Tanto consistente che a volte si preferisce perdere risorse, a danno degli utenti e dei cittadini tutti, piuttosto che avventurarsi in progetti innovativi o dare alla luce prodotti che con le logiche rigide e schematiche di una rendicontazione per un finanziamento pubblico hanno troppi, anche se non insormontabili, problemi.

A livello di macchina pubblica prevale una logica formale del controllo. Inefficace sul piano della verifica della qualità del prodotto ma efficacissima sul piano della verifica dei dati quantitativi di spesa. Con il risultato che il prodotto in se non interessa a nessuno. Ne da una parte ne dall’altra.

Non tutti i problemi stanno a monte del processo comunque. Anche una certa pigrizia di coloro che gestiscono le risorse determina il mancato utilizzo di risorse importanti per i risultati che possono dare. Spesso l’improvvisazione del progettista e del coordinatore decretano la fine sostanziale del progetto già dopo l’avvio. Rimane una vita formale con i suoi limiti, le sue ambiguità, la sua inesorabile inefficacia. Il risultato è esasperatamente negativo se si parla di diffusione di buone prassi. Chi realmente trova interessanti depliant colorati con pochi inefficaci slogan. O va a vedersi un convegno finale dove si parla di massimi sistemi con, fra l’altro, spesso troppa approssimazione. Chi veramente va a visitare un sito che contiene solo le dispense fornite agli studenti nel corso del progetto e nient’altro.

Come si fa perciò a gestire la diffusione di buone pratiche di un progetto nel migliore dei modi, facendo veramente un servizio al pubblico interessato. Come si abbatte questa logica perversa di controllo formale sopra ogni altra.

Trovo una sola risposta. L’eccellenza nella produzione di materiale.

La logica deprimente del controllo può essere superata con una vero e proprio investimento in eccellenza. Gli strumenti ci sono, basta un po’ di impegno e di seria pianificazione delle risorse cosiddette soft.

Ci sono i soldi. Mancano tempo e fantasia a tutti coloro che volontariamente o meno lasciano che un loro progetto, interessante e innovativo in fase di presentazione, si appiattisca su logiche di standardizzazione. Capisco che pianificare un percorso di disseminazione sia difficile ma dopo tutto deve essere il lavoro, vero e serio, di tutti coloro che hanno a cuore temi come la diffusione delle conoscenze, la proliferazione delle buone prassi, la semplice, anche se impagabile, restituzione di un’esperienza vissuta.

Fare libri e lasciare che la carta respiri l’esperienza è secondo me la via di uscita.

Destinare in fase di progettazione alla restituzione vera e libera di un lavoro una parte del budget significa dare una profondità a quello che è stato. Una profondità analitica, studiata. Un buon metodo per far rimanere nel tempo un’esperienza che diversamente andrebbe perdendosi.

Parlo di un prodotto editoriale dedicato. Una cosa ben diversa da una plaquette o un pieghevole informativo. Analogamente diversa da un CD Rom o un sito Internet.

Un libro vero, denso, misurato, dove a parlare siano i protagonisti dell’esperienza. Non solo chi ha gestito, chi ha fatto lezione, chi ha in mano lo strumento ma anche e soprattutto coloro che hanno “subito” l’esperienza. Chi ha deciso di dedicare ore, giorni o mesi ad una esperienza di apprendimento. Gente che sicuramente ha qualcosa di originale da dire.

Il materiale c’è. E’ sotto gli occhi di tutti. Non si tratta di assemblare dispense o dare colore a paginette web stilizzate. Si tratta di ascoltare la gente che partecipa al tuo progetto e dargli una vetrina nella quale discutere seriamente le loro idee.

Aggiungere a questo altri contributi e condire il tutto con un po’ di fantasia è la strada da percorrere. La strada che può salvarci dalla noia.

Io ci ho provato con Il ristorante come metafora di cui magari qualche recensore parlerà nella sezione di Bloom! a questo dedicata. Ne hanno già parlato in www.sapereperfare.it

In tutti i casi lo si trova in libreria, è uscito a novembre 2004 da Guerini. www.guerini.it

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