BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 17/10/2005

LA FONISTA

di Emanuele Fontana

Una mia carissima amica vuole fare la fonista. Cioè vuole lavorare nella bottega di una parrucchiera alla fonatura dei capelli. In pratica sarebbe l’operazione di asciugamento del capello. La bottega in questione, laboratorio che dir si voglia, sorge naturalmente in provincia, lavora tre giorni a settimana, conta una parrucchiera esperta ed una apprendista, appunto promossa parrucchiera già che era fonista.

La mia amica è laureata, intelligente e sensibile, andrebbe bene per qualsiasi impiego di media responsabilità, senza esagerare. Solo che si è scocciata di mandar curricula e vuole un lavoro qualsiasi, quello che ti capita prima.

Ecco l’incontro con la parrucchiera.

La mia amica vede l’annuncio in vetrina, si presenta, fra l’altro le due si conoscono già, e si autocandida per il posto da fonista. Nulla viete alla parrucchiera di richiedere un curriculum vita, anzi, per una ragazza preparata, che ha perso molto tempo dietro le aziende, è un piacere fornire il curriculum: chi se l’aspettava tale richiesta.

La parrucchiera annuncia che farà una scrematura (cfr. Screening) delle candidature: la mia amica non è ovviamente sola a richieder il posto. E fin qui sia ancora sulla terra.

Passano un paio di settimane. La parrucchiera richiama la mia amica e la invita ad un colloquio conoscitivo. Bene, si dice.

Al momento del colloquio si accorge che non solo non era sola ma le altre candidate non sono nemmeno poche. Si ritrovano nel retro bottega in otto, più la parrucchiera e una non precisata consulente. E’ previsto un brain storming sulle tecniche di fonatura dei capelli.

Dopo un’ora di lavoro la sessione finisce. Saranno ricontattate solo le più idonee al ruolo.

Passano ancora giorni. Raccontandomi la storia l’amica chiarisce che a questo punto non è più solo attratta dal lavoro ma sta studiando il metodo, la situazione: insomma vuol capire perché per un posto come quello di fonista, con tutto il rispetto del profilo professionale, la si debba far così lunga.

Dopo un po’ la parrucchiera richiama le ragazze selezionate. Sono quattro. C’è ancora la consulente che si capisce essere esperta di orientamento e pari opportunità. E’ il momento del test psicoattitudinale. Una pagina fotocopiata dal solito libro di Angeli. La mia amica, presa dal fastidio, mette crocette a caso.

Dopo un mesemezzo dall’inizio del processo di selezione la mia amica viene chiamata dalla parrucchiera che le offre il lavoro con un contratto a progetto. Quelli che adesso sono l’unico, parossistico modo di cominciare a lavorare.

Sono presente alla telefonata ed ho il piacere di sentire la mia amica che manda a quel paese la parrucchiera.

Ora, la morale di tutta questa storia è abbastanza evidente. A parte il contratto a progetto che dovrebbe essere utilizzato solo in casi di collaborazione per incarichi appunto a progetto, di un certo livello di specializzazione. Dopo tutto siamo in Italia, ci si arrangia.

Quello che non capisco è chi e perché cerca di imporre modelli gestionali di realtà completamente diverse (grande impresa: dice ancora qualcosa questo concetto?) a micro imprese che nulla anno a che vedere con questi modelli. Non sono i loro, semplicemente.

La domanda è ovviamente retorica. Oltre ad avere dubbi su cosa cavolo c’entri la consulente di orientamento e pari opportunità con una selezione per fonista, mi domando perché le associazioni di categoria, gli studi privati e quant’altro ruota attorno alla micro imprenditoria italica continui a voler indirizzare il povero, poverissimo artigiano-imprendotore a dover ragionare come Lapo Elkan.

Va bene razionalizzare il processo di selezione, fare un ragionamento pratico e coerente sul profilo professionale, armonizzare l’organizzazione in conseguenza della ripartizione funzionale. Ma ci deve essere il buon senso alla base di tutto. Un sano, coerente buon senso a farci dire alla consulente di orientamento e pari opportunità che la fonista deve accendere e spegnere il fon sopra i capelli di un persona e non pilotare un caccia da combattimento in zona di guerra. Ripeto il rispetto per la professione di fonista è massimo. Come per il resto per tutte i lavori. Un bagno di umiltà però farebbe bene a tutti.

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