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Pubblicato in data: 28/11/2005

DISTRETTI INDUSTRIALI FRA CRISI E SVILUPPO

di Emanuele Fontana

Introduzione.

Il processo di creazione e consolidamento di un distretto industriale è basato su una dinamica fluida contraddistinta dalla presenza di prerequisiti storici, sociali e culturali alla base di uno sviluppo omogeneo. Non vengono escluse da questa direzione di marcia crisi e cambiamenti radicali o meno nella configurazione del sistema distrettuale.

Rapporti fiduciari, consuetudini, preferenze delimitano sentieri di sviluppo del distretto in una riproposizione schematica di modelli di sviluppo economico basati su concetti evoluzionistici del sistema. Se si parla di crisi del modello distrettuale bisogna distinguere fra approcci differenti che configurano dinamiche di crescita o declino. Le evoluzioni nell’uno o nell’altro senso definiscono ‘assetti di marcia’ differenti [Bellandi, 2003].

Dinamiche di crescita.

Dati gli aspetti fondanti di un distretto e le conseguenti dinamiche evolutive si riconoscono processi di crisi e cambiamento radicati nella dinamica stessa di crescita. Momenti di discontinuità della struttura in via di formazione insorgono come aspetti imprescindibili di un percorso di sviluppo e consolidamento del modello distrettuale. Senza la necessaria dinamica evolutiva scomposta in processi di crisi e cambiamento la stessa struttura distrettuale non potrebbe rigenerarsi e verrebbero meno i presupposti di sviluppo del modello.

Nella discussione sullo sviluppo locale bisogna tener presente la dinamica evolutiva di un sistema che regola la sua struttura su aspetti caratteristici del luogo, cultura e sostrato sociale intesi come sistema di rapporti fondanti. Si tratta di prerequisiti organici a un modello di sviluppo ben identificato che assurgono al ruolo di veri e propri valori costituenti.

In una logica di crescita e consolidamento del modello distrettuale la dinamica valoriale che ne sottende la costruzione è imprescindibilmente centrata sul rispetto o meno di caratteristiche comuni, momenti di affermazione di questo o quel presupposto di base. Fuori dal sentiero consolidato si possono perpetuare destrutturazioni del sistema e di conseguenza perdita della necessaria consistenza.

Le realizzazione del modello distrettuale dipende da fasi di sviluppo locale che si fondano sulla dinamica di apertura normativa e cognitiva. Accogliendo il comportamento cooperativo di uno o più agenti nella dinamica di sviluppo e consolidamento [Bellandi, 2003]. Uscire da questa logica significa porre seri problemi alla affermazione del modello e ridefinire o limitare la dinamica evolutiva.

Importante aspetto la consapevolezza dei processi di affermazione delle dinamiche distrettuali. In questo senso la crisi di crescita è un momento di non allineamento rispetto al modello da consolidare. Il rientro nella logica di sviluppo locale con la condivisione consapevole segna il superamento della crisi e la sua metabolizzazione come momento di crescita.

La crisi di crescita può perciò definirsi come una temporaneo disequilibrio rispetto ai criteri di conduzione del “senso di marcia” di un sistema distrettuale .

Discontinuità patologiche e crisi del sistema.

La discontinuità patologica del sistema e la sua evoluzione in senso di crisi parte dal presupposto di non allineamento fra sostenibilità delle crescita e capacità di costruzione di beni pubblici o quasi-bubblici valevoli per il sistema nel suo complesso. La natura dinamica del modello distrettuale consente di per sé un’apertura pressoché ineliminabile a momenti di crisi o declino. Nella continua evoluzione verso forme massimamente stabilizzate di distretto possono verificarsi momenti di discontinuità negativa che portano alla dissoluzione del modello. In questi casi l’intervento deve essere profondo e di carattere radicale. Orientato più che altro ad una ridefinizione dei parametri di crescita ed un allineamento omogeneo a questi. In caso contrario vi è l’uscita dal modello distrettuale e la sua non riproducibilità strutturale [Pietre e Sabel, 1987].

Volendo definire momenti e aspetti più significativi del declino distrettuale vengono identificati alcuni contesti e scenari che partendo dalla crescita di costi ambientali ingovernabili giungono alla definizione di problematiche di conoscenze contestuali non adattabili al progresso tecnologico necessario nel momento dato [Bellandi, 2003, pag. 220, 221].

Parallelamente agli esempi di declino distrettuale la letteratura di riferimento sancisce un passaggio logico dalla discontinuità strutturale alla crisi, attraverso la definizione di crisi sistemiche che partono dal sistema di produzione locale sul quale si sviluppo il distretto. Questo per ribadire una contestualizzazione irriducibile al livello territoriale e culturale della dinamica evolutiva e della dinamica di declino del modello distrettuale.

Quali reazioni alla discontinuità.

Le discontinuità sistemiche nell’affermazione del modello distrettuale risentono della definizione di sviluppo locale e dei parametri di evoluzione del sistema. Le reazioni alle discontinuità del sistema devono, per essere incisive, caratterizzarsi per una forte identità strutturale. Andare a fondo del problema e proporre radicali miglioramenti, spesso sconvolgendo gli equilibri sui quali fino ad ora era giocata la dinamica distrettuale. Equilibri che, per le argomentazioni precedenti, sono caratterizzati da forte dinamicità e di conseguenza sempre esposti a possibili evoluzioni in senso negativo o positivo.

Affrontare la crisi con l’integrazione verticale o orizzontale è un approccio radicale che snatura di per sé la forma distrettuale [Bellandi, 2003].

Tale spostamento di pratica coordinativa è più che altro un salto di dimensione che un tentativo di intervento entro un percorso di sviluppo. Alternativamente a questo si evidenzia invece il ruolo di promotori e gestori di cambiamento locale non necessariamente accentratori di mezzi.

Un ruolo di guida in transizione che afferisce ad agenti in grado di rilanciare la dinamica del mercato distrettuale senza comprometterne la sua natura [Silver, 1984].

Una soluzione appunto transitoria che permette di identificare soggetti idonei al traghettamento fuori dall’area di crisi. Le stesse dinamiche di superamento della crisi e di stabilizzazione del processo di sviluppo portano poi alla riorganizzazione della linea di sviluppo del distretto ed alla diminuzione del ruolo dell’agente di cambiamento; in un ritrovato equilibrio distrettuale.

La crisi generata dalla discontinuità strutturale può anche essere affrontata ed eventualmente superata con il ricorso alla molteplicità di competenze all’interno di un distretto. Vi possono essere infatti rilanci dell’attività distrettuale sulla base di nuovi prodotti o posizionamenti alternativi di parti di prodotti. Le competenze interne al distretto industriale possono favorire la nascita di nuovi mercati appannaggio di imprese o gruppi di imprese che riescono a riposizionare prodotti o servizi non troppo dissimili dai precedenti ma comunque per molti aspetti differenti [Bellandi e Russo, 1994].

In questo contesto il discorso si ampia fino ad evolvere nelle tematiche della nascita di nuovi distretti.

Appendice. 

Il caso del distretto orafo di Arezzo. 

1. Nascita del distretto e ruolo della Gori & Zucchi.

All’inizio del secolo esistevano ad Arezzo alcuni laboratori orafi localizzati nel centro storico della città, luogo del resto caratterizzato dalla presenza di quasi tutte le attività artigianali.

Accanto alle botteghe orafe (all’ epoca non più di 3 o 4) sorgevano gli altri laboratori artigiani fra cui botteghe di intagliatori, tessitori, falegnami, che contribuivano a dare un’impronta caratteristica al centro storico, sulla falsa riga di una cittadella medievale.

I laboratori orafi più noti erano quelli dei Borghini e dei Prosperi, famiglie che al tempo rappresentavano la tradizione e garantivano una certa continuità alla produzione orafa aretina.

La produzione era basata soprattutto su lavori di arte sacra (lampade votive, residenze eucaristiche), ma anche la produzione profana riscuoteva un notevole successo commerciale: anelli ed orecchini in stile “chianino”.

Altri prodotti tradizionalmente fabbricati ad Arezzo erano i monili in canna vuota con la tecnica della “pagnottina”.

La produzione era destinata esclusivamente al mercato locale, veniva di fatto assorbita dalle famiglie benestanti della città e da chiese e conventi dei dintorni.

La lavorazione artigianale (completamente o quasi, manuale) e la limitata produzione di oggetti contribuivano a caratterizzare in modo particolare il prodotto, che spesso assumeva le caratteristiche digioiello.

Un cambio di prospettiva considerevole si ebbe nel 1926 con la fondazione della Gori & Zucchi, prima azienda orafa della provincia di Arezzo, destinata a diventare la più grande produttrice di oggetti in oro del mondo.

L’azienda nacque dalla collaborazione di due “signori”, come li definiva, nel suo libro sulla Gori & Zucchi, Mario Guidotti (critico letterario),che oltre a dare il nome alla fabbrica tracciarono una decisa linea strategica che permise uno sviluppo interessante dal lato della professionalità e della competenza.

I lavori in oro risultavano essere fatti con particolare cura dei particolari, concepiti con un’ottica artigianale che privilegiava la qualità, il tutto contribuiva a creare l’immagine dell’imprenditore dotato di buon gusto, libero dai condizionamenti del mercato, il “signore” per dirla conMario Guidotti.

Si può quindi rilevare lo stretto legame fra la cultura artistico-artigianale e la moderna produzione di oggetti in oro, che, perlomeno nella zona di Arezzo risente della profonda influenza di questo modo di concepire la lavorazione.

Nel 1934 fu assegnato alla Gori % Zucchi il primo marchio di fabbrica della provincia di Arezzo, per il settore orafo, 1AR.

È in quegli anni che la fabbrica comincia a meccanizzare la produzione di alcuni oggetti, adottando nuove tecniche (stampato e tranciato) diverse dalle tradizionali. Alla fine degli anni ‘30 la Gori & Zucchi contava circa 50 operai, una notevole dimensione per una azienda che produce oggetti in oro, e continuava a crescere con ritmi incessanti.

L’inizio della seconda guerra mondiale e le successive vicendefrenarono l’attività dell’azienda e ne misero in crisi l’espansione, come del resto avvenne per tutte le altre attività produttive che non fossero collegate con la produzione bellica. Nel bombardamento di Arezzo del 1944 lo stabilimento fu completamente distrutto.

L’attività orafa sembrava così subire una brusca frenata, ma la ferrea volontà dei due fondatori permise di rimettere in piedi la fabbrica. In poco tempo si ritornò alle dimensioni di prima del conflitto, ma per quanto riguarda la produzione si registrò un brusco calo, conseguente alla crisi economica del dopoguerra.

Tuttavia la rinascita dell’azienda dalle sue ceneri (e non in senso metaforico) mise in evidenza, oltre alla determinazione dei proprietari,la solidità di un’impresa capace di fungere da trampolino di lancio per l’economia aretina degli anni a seguire.

 

2. Configurazione del distretto orafo.

Grazie alla spinta innovativa della Gori & Zucchi nel corso del dopo guerra ad Arezzo nacquero e crebbero aziende di piccole e medie dimensioni per la produzioni di manufatti orafi. A vario titolo furono comunque legate alla Gori & Zucchi: fasonisti, conto terzisti, aziende satelliti in partecipazione. E’ del periodo degli anni ’70 la definitiva affermazione come sistema economico locale con la creazione di aziende che lavoravano e lavorano per l’indotto in ambiti di servizio avanzato per la produzione ma anche commerciale, export e promozionale in genere. Ruolo importante anche quello svolto da associazioni di produzione e associazioni di categoria, sempre attente, dai ’70 in avanti allo sviluppo del settore.

Dalla autonomizzazione di un sistema sostanzialmente fondato con modalità di “azienda solare” [Pietre e Sabel, 1987] si è giunti al riconoscimento della forma distrettuale negli anni ’90. Stando alle dinamiche intraprese dalle aziende del settore ed alla modellizzazione di approccio riconducibili al sistema distrettuale.

Distretto efficiente per tutto il decennio degli anni ’90, con relativo sviluppo incondizionato su mercati emergenti extra italiani (Venezuela, Medio Oriente, Russia).

 

3. Dalla strutturazione alla crisi.

La grande evoluzione degli anni ’90, anche in termini di numero di imprese (1898 nel 1997), a subito poi un inceppamento con la fine del decennio. Un brusco calo della produzione è sfociato nella chiusura di laboratori e piccole imprese e nella sostanziale crisi della produzione per carenza di mercati di sbocco. Nel 2003 le imprese censite erano 1120.

Leggendo la dinamica della crisi alla luce di quanto riportato in questo lavoro si evidenzia subito un disallineamento fra prerogative del distretto in quanto tale e sostrato economico sociale (sistema dei valori) della comunità di riferimento. La produzione di catename in genere, praticamente prodotto unico dagli anni ’90 in poi, ha generato si un incremento dei fatturati ed un proliferare delle imprese ma nel medio periodo ha comportato un riposizionamento del prodotto. Alla base del distretto c’era la produzione per piccoli lotti, l’orientamento artigianale-artistico di un prodotto unico. La dinamica della produzione del catename è orientata necessariamente a grandi mercati di sbocco, modellati sul concetto di massa.

Una volta diminuita la domanda di prodotto, dovuta a fattori esogeni soprattutto si è assistito all’inceppamento del sistema ed alla caduta improvvisa della produzione.

I fattori di tale rallentamento della domanda sono ovviamente legati al ruolo di sostituzione giocato dai prodotti di alta tecnologia, resi appetibili nel mercato del superfluo, o comunque del non essenziale, per la rinnovata competitività sul prezzo.

Altro fattore determinante la fine della percezione del ruolo di prodotto rifugio per quanto riguarda l’oro e gli oggetti da esso ricavati.

Parallelamente alle problematiche di crisi patologica si sono aggiunte dinamiche di crisi di crescita che coordinate male sono poi degenerate in crisi di sistema. E’ mancato infatti per tutto il decennio dei ’90 un approccio alla diversificazione. Si faceva il catename e il suo mercato sembrava infinito. Perché porsi il problema del dopo?

 

4. Quali interventi per il superamento della crisi.

Le modalità di superamento della crisi sistemica sono necessariamente ricondotte al ruolo di agenti per lo sviluppo locale e sfruttamento delle competenze distintive [Bellandi, 2003].

Una leadership privata o pubblica per il traghettamento dalla crisi ad un rinnovato sviluppo è alla base del concetto di agente locale per lo sviluppo. Nel contesto aretino si è assistito alla ingerenza, positiva ovviamente, del governo locale con l’istituzione, da parte della Provincia, dell’Istituzione dei Distretti Industriali. Un ruolo analogo per la promozione, l’elaborazione di analisi e la conduzione di giuste dinamiche di coordinamento fra imprese non è ancora svolto da imprese stesse o loro consorzi o, ancora associazioni. Forse per mancanza di visione o per mancanza di mezzi. La stessa Gori & Zucchi, per ovvi motivi interni, non può svolgere un ruolo che in altri omenti poteva essere suo. I problemi della Gori & Zucchi sono riconducibili soprattutto alla necessità di riallocare le risorse e risolvere i problemi organizzativi interni: in poche parole è cresciuta troppo per la mole di produzione oggi necessaria al mercato.

Il ruolo dell’agente locale è allora in mano al settore pubblico che sta coordinando iniziative e strumenti di intervento. E’ un lavoro in progress, iniziato da un biennio, che non può ancora essere sottoposto a valutazione.

Se una strada sembra irta e complicata l’altra appare invece più agevole.

Le competenze distintive interne al distretto sembrano fornire un modello concreto volto a ridefinire il sistema e a proporre soluzioni.

Si tratta della riconversione alla produzione di manufatti in argento. Con tecnologia simile e macchine pressoché uguali moltissime aziende stanno producendo tonnellate di oggetti in argento. Il mercato, diversissimo solo da pochi anni fa, sta accogliendo la produzione con la necessaria attenzione. Sembra insomma che si assista ad una riconversione basata sulle compente acquisite nel passato e rigiocate nel presente come alternativa. Anche in questo caso per dare giudizio e vedere risultati bisogna aspettare ancora.

Bibliografia.

 

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Schumpeter J.A. [1942]

Capitalism, Socialism and Democracy, London, Allen and Unwin. Trad. it. Capitalismo, socialismo e democrazia, ETAS, Milano, 1984.


Parures composte da anello, orecchini, collana con pendente, bracciale e spilla e tutti erano realizzati con sottili lamine d’oro rosè -cioè a bassa caratura- modellati a volute e decorati con perle quasi sempre false e con vetri colorati ispirati alla “Belle époque”.

Sagoma della canna a sezione ovoidale che rammentava una forma di pane.

Oggetti in oro sui quali si montano pietre preziose, che gli conferiscono valore aggiunto, diversa dalla oreficeria costituita di pezzi interamente in oro, spesso risultato di lavorazioni più semplici.

Leopoldo Gori, senese, era agente di commercio, Carlo Zucchi, aretino, era titolare di uno dei laboratori orafi del centro storico.

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